SCAFFALE LECCHESE/221: 'Il sentiero delle Grigne' di Angelo Sala, sulle tracce di Scaccabarozzi
Oggi, 15 settembre, si va di corsa sui sentieri del Grignone. È in programma la “Zacup”: partenza e arrivo a Pasturo, 27 chilometri di percorso, dislivello positivo di 2650 metri. “Skyrace” si chiama la specialità sportiva e la “Zacup” è una delle varie formule adottate negli ultimi vent’anni per gareggiare nel paesaggio delle Grigne. C’era una volta, per intenderci, il Trofeo Scaccabarozzi. Era stato ideato per ricordare il missagliese Giacomo Scaccabarozzi, alpinista di talento che ci ha lasciato anche qualche libro, tra cui quel “Cento idee per respirare” più volte ristampato da Bellavite Editore: raccoglie una serie di suggerimenti (cento, appunto) per escursioni le più diverse possibili, dalla semplice passeggiata sul monte Barro a una traversata sul Monte Bianco che è impresa alpinistica d’alto profilo. Per “respirare” appunto. Spiegava: «Respirare aria buona anche a due passi da casa, respirare con la mente, lasciarsi trasportare negli spazi liberi dove la fantasia può ancora volare e dove ognuno può ancora illudersi di essere libero e padrone del mondo».Giacomo Scaccabarozzi è morto nel 1998 in un incidente col parapendio proprio mentre volteggiava sulle guglie della Grigna. Fu per ricordarlo che, tre anni dopo, il Gruppo sportivo “Alpini” di Missaglia mise in piedi il trofeo in sua memoria. Era “il sentiero delle Grigne”, un itinerario che partiva sempre da Pasturo per abbracciare l’intero massiccio, toccando i punti cruciali: i Piani Resinelli, il rifugio Rosalba e poi l’Elisa e da qui al Bietti, al Bogani e al Brioschi per poi ridiscendere a Pasturo passando per il rifugio Riva.
Ed è lo stesso itinerario lungo il quale ci accompagna Angelo Sala in un libro – “Il sentiero delle Grigne” appunto – uscito proprio alla fine di quel 2001 che aveva visto la prima edizione del Trofeo Scaccabarozzi.
Il volume è parte di quella tetralogia che Sala ha dedicato ai monti lecchesi, pubblicata sempre dall’editore Bellavite, e di cui abbiamo già parlato in questa nostra rubrichetta. E anche in quest’occasione, al racconto si affianca un corposo corredo fotografico firmato da Luca Beretta e Stefano Giussani.Sala ci propone un itinerario a tutto tondo proprio seguendo l’itinerario del “Sentiero delle Grigne”, pur non trascurando le molte varianti e deviazioni che si incontrano lungo il percorso. Non si tratta certo di una guida escursionistica, ma si raccontano il paesaggio, la storia, l’ambiente. Per esempio: «Si continua superando una serie di costoni e di avvallamenti. Il più accentuato è il cosiddetto “Gerone”, un vero e proprio fiume di sassi che scende dalla Grigna, risultato dei processi naturali di erosione. (…) E’ l’unico tratto dove si sente il ritmo dei propri passi che provano il movimento delle pietre tra le quali abbondano le rose di montagna, i rododendri e i botton d’oro». E poi i boschi: «Il castagneto diffuso sicuramente dall’uomo con l’introduzione di una pianta che ebbe grande importanza sia per i suoi frutti alimentari che per la produzione dei pali e delle travi, indispensabili nella costruzione delle baite; la faggeta con alcuni esemplari davvero spettacolari ed eleganti (…) e tra i faggi si può osservare qualche larice e qualche betulla, qualche raro e ancor più maestoso esemplare di abete, poi noccioli e aceri, poi ancora cespugli di rosa alpina, maggiociondolo, lampone e caprifoglio; poi il querceto di roverella (…) poi ancora il bosco di robinia….».La lunga camminata comincia, come detto, da Pasturo, con quell’incanto di prati e pascoli che si aprono sopra il paese, proprio alle pendici della Grigna Settentrionale che per secoli i contadini hanno lavorato con tenacia fino ad altezze e pendenze incredibili: per rendercene conto, oggi, basta guardare certe baite e certi casotti sorti in luoghi apparentemente inaccessibili.
E «questa prima parte del Sentiero delle Grigne è un invito a curiosare tra i Monti di Pasturo. Non si tratta di montagne ma di luoghi di antica vocazione agricola e pastorale. (…) Un territorio di valle come quello delle Grigne risulta segnato, anche nelle sue parti più difficilmente accessibili, dalla presenza dell’uomo che ha creato una trama fisica, dallo spessore storico secolare».
Si percorre quella che è la cosiddetta Traversata Bassa e che, solcando la valle della Pioverna raggiunge i Piani Resinelli, sbucando in prossimità del rifugio un tempo Sem Cavalletti della Società escursionisti milanesi, «prima struttura di ricovero per gli alpinisti e gli escursionisti dedicata a tale scopo ai piedi della Grignetta», e oggi passato di proprietà e diventato Soldanella. E a questo punto, il sentiero “attacca” le falde montane e si fa alpinistico, Più aspri il paesaggio e il cammino, pur con le magie create dalle rocce dolomitiche. Palestra, come si sa, di grandi arrampicatori, «anche se bisogna attendere la seconda metà dell’Ottocento perché gli alpinisti lombardi si accorgano delle Grigne».
Accompagnandoci, Sala ci dice: «La montagna si può vivere in due modi. La prima alternativa è quella di limitarsi ad osservare, a guardare, ad ammirare le montagne dall’automobile, dalla finestra dell’albergo, dalla stazione a monte della funivia. Questa visione. se da una parte sazia per l’abbondanza e la grandiosità delle immagini che si possono avere, finisce per accrescere il desiderio di gustare a pieno le sensazioni che la natura può dare. La seconda è quella di vivere la montagna da protagonista, a tu per tu con i boschi, le rocce, con i pascoli. Occorre, quindi, affrontare la montagna, occorre toccarla, occorre percorrerla, quindi andarci. E’ solo in questa maniera che si diventa attori, si recita cioè un ruolo primario, circondati da un magnifico scenario».
Come quello che si presenta a chi sale dal rifugio Elisa al rifugio Bietti, secondo Sala «il più bel sentiero d’alta montagna di tutte le Prealpi, soprattutto se lo si percorre nelle giornate cristalline d’autunno».
E quale miglior modo se non andare per rifugi che «qui ebbero un ruolo fondamentale sia per la conquista delle vette ma anche per una conoscenza più approfondita della montagna». E «tanto più che vi si trovano i piatti più buoni del mondo, come ebbero ad annotare, forse con esagerata enfasi, i primi escursionisti che raggiungevano un rifugio in Grigna».
Del resto «andare in montagna è indubbiamente una sensazione diversa dal fare quattro passi nel parco sotto casa (quando c’è, ovviamente). Sarà la maestosità del paesaggio che si può ammirare, sarà per quell’inconscio ritorno alle origini (…) sarà per quel pizzico di fatica e di sudore che fa riscoprire il sapore della conquista, sta di fatto che camminare in montagna appaga» e «oggi con il Sentiero delle Grigne siamo anche nel regno dei “rambo” della fatica. Ricordate quando la montagna era sinonimo di vacanze riposanti, di ossigenazione, di tranquillo relax per combattere lo stress accumulato durante l’anno? I tempi cambiano, le mode e le abitudini anche e quell’immagine che faceva della montagna la meta per vacanze di turisti di mezza e terza età, un po’ monotona per giovani rampanti, si è quasi completamente capovolta».Ancora oggi, comunque, i rifugi rimangono un punto di riferimento, per quanto alcuni abbiano appunto cambiato “pelle” così come cambiate sono le abitudini e cambiati i frequentatori della montagna. Era il 1891 quando venne inaugurata la prima capanna. Sala lo ricorda affidandosi alle parole di Franco Brevini, storico della letteratura e alpinista: «Nel 1891 ai Giardini pubblici di Milano la folla si accalca nei padiglioni dell’Esposizione nazionale delle arti e delle industrie. Il Club Alpino Italiano, fondato diciotto anni prima da Quintino Sella, partecipa alla “gran fiera” che consacra la nuova Milano scegliendo di celebrarvi il XIV Congresso degli Alpinisti Italiani. I delegati provenienti da tutta Italia vengono invitati a una cerimonia allora trascurata dalla stampa, ma destinata a segnare una tappa nella storia dell’alpinismo milanese. A circa 1800 metri di quota, sul versante settentrionale del Grignone, nella zona del Poiat, nota al mondo scientifico per gli studi del primo presidente della sezione milanese del Cai, l’abate Antonio Stoppani, viene inaugurata la Capanna Moncòdeno. Il rifugio durò poco. Nell’inverno del 1897 una slavina lo aveva già ridotto a cumulo di macerie. Ma la rozza costruzione di pietre squadrate segnava l’inizio della colonizzazione di quelle che nei decenni sarebbero divenute le montagne più popolari della Lombardia: le Grigne».
Siamo più o meno nella zona dove nel 1957 il Cai Monza avrebbe costruito il suo rifugio intitolato ad Arnaldo Bogani. Siamo ormai in quello che Sala definisce il cuore del Grignone. Risalendo lungo la via della Ganda, si entra infatti nell’ampio «anfiteatro che dalla cima scende sul versante nord della montagna. E’ questa una zona estremamente selvaggia e intatta». Ma «i ghiaioni, le forre, gli sfasciumi e le pareti rocciose che caratterizzano la parte più alta dell’anfiteatro del Moncòdeno e risalgono verso la vetta, vuole la leggenda che un tempo non fossero così. Anzi, proprio quel paesaggio adesso così desolato e deserto (…) la leggenda vuole che un tempo fosse un verdissimo pascolo» che Dio trasformò in pietraia per punire i pastori che non lo aiutarono quando percorse queste zone nei panni di un pellegrino. E ancora oggi «quando il vento soffia tra le pareti e i canaloni del Pizzo della Pieve, pare trasformarsi nelle grida lamentose di quei miseri».
Del resto – aggiunge la nostra guida - «pensare alle divinità, da queste parti, non è difficile. Certe formazioni rocciose naturali come la Porta di Parada o la Porta del Lupo, oppure la Porta Grande, evocano storie di giganti, dei e semidei che scorrazzavano tra queste montagne e galoppavano nella fantasia della gente. Dalla devozione di quest’ultima nacque, nell’Alto Medioevo e rimanendo ben viva ancora oggi, la leggenda dei fratelli eremiti o santi della montagna. (…) Avevano scelto ciascuno una cima, in vista l’una dell’altra, dove ritirarsi a pregare, venerati dalle popolazioni per la loro santità; e di una pia sorella che viveva al passo di Piazzo, tra Valsassina e Valvarrone. La memoria dei fratelli eremiti è oggi legata ad alcune chiesette alpestri che ne tramandano i nomi».
Ed è lo stesso itinerario lungo il quale ci accompagna Angelo Sala in un libro – “Il sentiero delle Grigne” appunto – uscito proprio alla fine di quel 2001 che aveva visto la prima edizione del Trofeo Scaccabarozzi.
Il volume è parte di quella tetralogia che Sala ha dedicato ai monti lecchesi, pubblicata sempre dall’editore Bellavite, e di cui abbiamo già parlato in questa nostra rubrichetta. E anche in quest’occasione, al racconto si affianca un corposo corredo fotografico firmato da Luca Beretta e Stefano Giussani.Sala ci propone un itinerario a tutto tondo proprio seguendo l’itinerario del “Sentiero delle Grigne”, pur non trascurando le molte varianti e deviazioni che si incontrano lungo il percorso. Non si tratta certo di una guida escursionistica, ma si raccontano il paesaggio, la storia, l’ambiente. Per esempio: «Si continua superando una serie di costoni e di avvallamenti. Il più accentuato è il cosiddetto “Gerone”, un vero e proprio fiume di sassi che scende dalla Grigna, risultato dei processi naturali di erosione. (…) E’ l’unico tratto dove si sente il ritmo dei propri passi che provano il movimento delle pietre tra le quali abbondano le rose di montagna, i rododendri e i botton d’oro». E poi i boschi: «Il castagneto diffuso sicuramente dall’uomo con l’introduzione di una pianta che ebbe grande importanza sia per i suoi frutti alimentari che per la produzione dei pali e delle travi, indispensabili nella costruzione delle baite; la faggeta con alcuni esemplari davvero spettacolari ed eleganti (…) e tra i faggi si può osservare qualche larice e qualche betulla, qualche raro e ancor più maestoso esemplare di abete, poi noccioli e aceri, poi ancora cespugli di rosa alpina, maggiociondolo, lampone e caprifoglio; poi il querceto di roverella (…) poi ancora il bosco di robinia….».La lunga camminata comincia, come detto, da Pasturo, con quell’incanto di prati e pascoli che si aprono sopra il paese, proprio alle pendici della Grigna Settentrionale che per secoli i contadini hanno lavorato con tenacia fino ad altezze e pendenze incredibili: per rendercene conto, oggi, basta guardare certe baite e certi casotti sorti in luoghi apparentemente inaccessibili.
E «questa prima parte del Sentiero delle Grigne è un invito a curiosare tra i Monti di Pasturo. Non si tratta di montagne ma di luoghi di antica vocazione agricola e pastorale. (…) Un territorio di valle come quello delle Grigne risulta segnato, anche nelle sue parti più difficilmente accessibili, dalla presenza dell’uomo che ha creato una trama fisica, dallo spessore storico secolare».
Si percorre quella che è la cosiddetta Traversata Bassa e che, solcando la valle della Pioverna raggiunge i Piani Resinelli, sbucando in prossimità del rifugio un tempo Sem Cavalletti della Società escursionisti milanesi, «prima struttura di ricovero per gli alpinisti e gli escursionisti dedicata a tale scopo ai piedi della Grignetta», e oggi passato di proprietà e diventato Soldanella. E a questo punto, il sentiero “attacca” le falde montane e si fa alpinistico, Più aspri il paesaggio e il cammino, pur con le magie create dalle rocce dolomitiche. Palestra, come si sa, di grandi arrampicatori, «anche se bisogna attendere la seconda metà dell’Ottocento perché gli alpinisti lombardi si accorgano delle Grigne».
Accompagnandoci, Sala ci dice: «La montagna si può vivere in due modi. La prima alternativa è quella di limitarsi ad osservare, a guardare, ad ammirare le montagne dall’automobile, dalla finestra dell’albergo, dalla stazione a monte della funivia. Questa visione. se da una parte sazia per l’abbondanza e la grandiosità delle immagini che si possono avere, finisce per accrescere il desiderio di gustare a pieno le sensazioni che la natura può dare. La seconda è quella di vivere la montagna da protagonista, a tu per tu con i boschi, le rocce, con i pascoli. Occorre, quindi, affrontare la montagna, occorre toccarla, occorre percorrerla, quindi andarci. E’ solo in questa maniera che si diventa attori, si recita cioè un ruolo primario, circondati da un magnifico scenario».
Come quello che si presenta a chi sale dal rifugio Elisa al rifugio Bietti, secondo Sala «il più bel sentiero d’alta montagna di tutte le Prealpi, soprattutto se lo si percorre nelle giornate cristalline d’autunno».
E quale miglior modo se non andare per rifugi che «qui ebbero un ruolo fondamentale sia per la conquista delle vette ma anche per una conoscenza più approfondita della montagna». E «tanto più che vi si trovano i piatti più buoni del mondo, come ebbero ad annotare, forse con esagerata enfasi, i primi escursionisti che raggiungevano un rifugio in Grigna».
Del resto «andare in montagna è indubbiamente una sensazione diversa dal fare quattro passi nel parco sotto casa (quando c’è, ovviamente). Sarà la maestosità del paesaggio che si può ammirare, sarà per quell’inconscio ritorno alle origini (…) sarà per quel pizzico di fatica e di sudore che fa riscoprire il sapore della conquista, sta di fatto che camminare in montagna appaga» e «oggi con il Sentiero delle Grigne siamo anche nel regno dei “rambo” della fatica. Ricordate quando la montagna era sinonimo di vacanze riposanti, di ossigenazione, di tranquillo relax per combattere lo stress accumulato durante l’anno? I tempi cambiano, le mode e le abitudini anche e quell’immagine che faceva della montagna la meta per vacanze di turisti di mezza e terza età, un po’ monotona per giovani rampanti, si è quasi completamente capovolta».Ancora oggi, comunque, i rifugi rimangono un punto di riferimento, per quanto alcuni abbiano appunto cambiato “pelle” così come cambiate sono le abitudini e cambiati i frequentatori della montagna. Era il 1891 quando venne inaugurata la prima capanna. Sala lo ricorda affidandosi alle parole di Franco Brevini, storico della letteratura e alpinista: «Nel 1891 ai Giardini pubblici di Milano la folla si accalca nei padiglioni dell’Esposizione nazionale delle arti e delle industrie. Il Club Alpino Italiano, fondato diciotto anni prima da Quintino Sella, partecipa alla “gran fiera” che consacra la nuova Milano scegliendo di celebrarvi il XIV Congresso degli Alpinisti Italiani. I delegati provenienti da tutta Italia vengono invitati a una cerimonia allora trascurata dalla stampa, ma destinata a segnare una tappa nella storia dell’alpinismo milanese. A circa 1800 metri di quota, sul versante settentrionale del Grignone, nella zona del Poiat, nota al mondo scientifico per gli studi del primo presidente della sezione milanese del Cai, l’abate Antonio Stoppani, viene inaugurata la Capanna Moncòdeno. Il rifugio durò poco. Nell’inverno del 1897 una slavina lo aveva già ridotto a cumulo di macerie. Ma la rozza costruzione di pietre squadrate segnava l’inizio della colonizzazione di quelle che nei decenni sarebbero divenute le montagne più popolari della Lombardia: le Grigne».
Siamo più o meno nella zona dove nel 1957 il Cai Monza avrebbe costruito il suo rifugio intitolato ad Arnaldo Bogani. Siamo ormai in quello che Sala definisce il cuore del Grignone. Risalendo lungo la via della Ganda, si entra infatti nell’ampio «anfiteatro che dalla cima scende sul versante nord della montagna. E’ questa una zona estremamente selvaggia e intatta». Ma «i ghiaioni, le forre, gli sfasciumi e le pareti rocciose che caratterizzano la parte più alta dell’anfiteatro del Moncòdeno e risalgono verso la vetta, vuole la leggenda che un tempo non fossero così. Anzi, proprio quel paesaggio adesso così desolato e deserto (…) la leggenda vuole che un tempo fosse un verdissimo pascolo» che Dio trasformò in pietraia per punire i pastori che non lo aiutarono quando percorse queste zone nei panni di un pellegrino. E ancora oggi «quando il vento soffia tra le pareti e i canaloni del Pizzo della Pieve, pare trasformarsi nelle grida lamentose di quei miseri».
Del resto – aggiunge la nostra guida - «pensare alle divinità, da queste parti, non è difficile. Certe formazioni rocciose naturali come la Porta di Parada o la Porta del Lupo, oppure la Porta Grande, evocano storie di giganti, dei e semidei che scorrazzavano tra queste montagne e galoppavano nella fantasia della gente. Dalla devozione di quest’ultima nacque, nell’Alto Medioevo e rimanendo ben viva ancora oggi, la leggenda dei fratelli eremiti o santi della montagna. (…) Avevano scelto ciascuno una cima, in vista l’una dell’altra, dove ritirarsi a pregare, venerati dalle popolazioni per la loro santità; e di una pia sorella che viveva al passo di Piazzo, tra Valsassina e Valvarrone. La memoria dei fratelli eremiti è oggi legata ad alcune chiesette alpestri che ne tramandano i nomi».
Dario Cercek