Giir di Mont… letteralmente/8: l’alpe Rasga, “giù in un buco”, ma decisamente comoda, con il torrente che rinfresca e gli abeti del Cant che donano pace

Situato a soli 1080 m.s.l.m. – è il più basso – Rasga è l’ottavo alpeggio che incontriamo lungo il nostro percorso, quello del “Giir di Mont… letteralmente”. Per conoscere meglio questo mont, partiamo da una frequente osservazione fatta dai suoi alpigiani: “An se giò in d’un bòcc, ma lè un bel bòcc” (“Siamo giù in un buco, ma è un bel buco”). Ma… che significa?
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In sostanza, l’alpe Rasga viene spesso schernita perché decisamente poco panoramica – se “è giù in buco” … - e priva dei pascoli e di quell’ambiente di alta montagna che caratterizzano gli altri mont premanesi. “Però è un bel buco” rispondono quelli della Rasga, perché effettivamente anche a questo alpeggio non mancano dei punti di forza. Tra questi, c’è sicuramente il bel torrente che scorre proprio a fianco delle baite e che costituisce un motivo di divertimento per i più piccoli, oltre che di refrigerio nelle calde giornate estive. “Una valle di verde che culla il torrente, un oasi di pace con tanta bella gente” ripete la canzone del Grest del 1984. Esiste tra l’altro una piccola “piscina” per i più piccini (la “sère”), i quali si divertono anche sul sasso definito “bruscaröle”, che è una sorta di scivolo naturale sulla roccia.
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Nonostante il bel torrente sia uno dei maggiori punti di forza della Rasga, anche in questo caso gli alpigiani degli altri mont non mancano di far notare qualche lato negativo. Le solite strofe di “Ól Giir di mónt” spiegano che gli alpigiani della Rasga “[…] ai à da stà ént trii miis al an i’ méz al mósch e ai tavàan” (“Devono stare tre mesi all’anno in mezzo alle mosche e ai tafani”); questo per via di un clima particolarmente umido (vista la presenza del torrente) e caldo (per l’altitudine ridotta), ma anche per la storica presenza delle vacche che, monticate in alpeggio, attiravano per l’appunto mosche e tafani. 
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Il torrente, inoltre, ha spaventato più volte gli alpigiani, perché le baite sono costruite abbastanza vicine al corso d’acqua. In verità, alla Rasga non vi è mai stata nessuna esondazione degna di nota; mentre la distruzione dei vari ponticelli (come “il ponte delle capre”) costruiti lungo il torrente era un evento frequente dopo i temporali.
Proseguendo nella descrizione del nostro ottavo mont, dobbiamo anche sottolineare che l’alpe Rasga è l’alpeggio più vicino al paese, dunque il più comodo da raggiungere: per questo, risulta relativamente più frequentato degli altri nei periodi primaverile e autunnale. alpigiani_alla_croce_nel_Cant.jpg (743 KB)La Rasga si trova inoltre in una posizione abbastanza centrale rispetto al mosaico degli alpeggi di Premana: da lì si prosegue agilmente verso Caprecolo e Fraina (da dove siamo arrivati), verso Premaniga (dove stiamo per andare), ma volendo si può anche raggiungere la Valle dei Forni, passando per il sentiero che attraversa la zona del Cant (che, va detto, è abbastanza impervio).
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Quest’ultima prende il nome da “cantoon” (che in premanese significa costa, dorsale): non ha quindi a che fare con il cantare, anche se l’esposizione dell’area risulta ottimale per far sentire la propria voce nelle vallate adiacenti. E questo è proprio quello che accadeva – fino a qualche anno fa – il 18 agosto di ogni anno, quando gli alpigiani si riunivano nel Cant per celebrare la messa e godersi insieme un pranzo a base di polenta e spezzatino. La tradizione era tutto sommato recente, nata come ricorrenza dopo che il 18 agosto del 1988 “ol Remo” eresse in quella zona un crocifisso in stile tirolese per una grazia ricevuta ben ventisette anni prima, nel 1961. Dopo pranzo la giornata proseguiva sempre con una serie di canti in compagnia, che si udivano fino all’alpe Chiarino.

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Il Cant era, ed è, anche una zona paesaggisticamente incantevole, con un bel bosco di abeti che è zona molto ambita per la raccolta dei funghi. “Gli abeti del Cant ci donano pace, aria fina e stupende passeggiate” recita la canzone del Grest. Fino a qualche decennio fa, in verità, la zona era molto diversa nel suo aspetto: c’erano alberi più bassi, come le betulle, e l’area era ricca di mirtilli. D’altronde, come su molti altri alpeggi, il bosco ha preso decisamente e velocemente piede da quando si è abbandonata la monticazione degli animali. 
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Per concludere la descrizione della bella dorsale del Cant, ricordiamo che fino a qualche decennio fa la tradizionale fógarâte ardeva proprio nella parte bassa di questa zona, verso il fiume, in modo che fosse ben visibile anche da Premana.
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Per il resto, anche l'alpe Rasga ha vissuto uno sviluppo simile a quello degli altri alpeggi, con mucche e capre monticate in alpe e nei pascoli circostanti. Le aree più frequentate dai pastori erano él Piazz e marmîn; si saliva fino ai sass dól brasc (una sporgenza di sasso, simile a un braccio) e alla baite dól faèè per recuperare le capre e portarle in alpeggio. Una volta una delle manze di Dante Sanelli, alpigiano della Rasga, precipitò nell'impervia zona “dé sótt la scale”: si chiamò un macellaio che ripulì la carcassa sul posto, prima di portare a casa i vari tagli di carne.
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Oltre all'allevamento, sul territorio dell’alpeggio erano tante le postazioni in cui venivano creati i Pojàt, tipici allestimenti di legna ricoperta di terra, muschio e foglie, grazie alla combustione dei quali veniva prodotto il carbone vegetale, indispensabile per l’alimentazione delle fucine di Premana. Proprio alla Rasga è stato acceso l’ultimo nel 1981. Le alpigiane trasportavano il carbone a spalla nella loro “bisache” (saccone per il carbone di legna), fino al pónt di bónóm – vicinissimo all’attuale zona industriale di Premana – dove veniva venduto. 
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Un'ultima nota sull'alpe Rasga riguarda - come spesso accade nel nostro Giir di Mont… letteralmente - una cappelletta. Inaugurata il 15 agosto 1931 (e stranamente a valle della ex strada militare, mentre la maggior parte delle chiesette – sia in Val Fraina che nella Valle dei Forni - si trova a monte della stessa) fu edificata da Ettore Rusconi per grazia ricevuta. Passando da quelle parti in inverno, scivolò sul ghiaccio e corse il serio pericolo di precipitare nel fiume dai dirupi sottostanti la cappella. Fu Tell, il suo grosso cane da caccia, a salvarlo in extremis, trattenendolo per il vestito.
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Concludiamo in questo modo il nostro giro “in quel buco” che è la Rasga, ci rinfreschiamo nel torrente e ci prepariamo per l'ultima - e lunga, anche se meno ripida delle precedenti - ascesa di giornata. Mancano ancora quattro alpeggi prima di tornare a Premana. Insomma, iniziamo a sentire aria di traguardo ma… niente fretta. Godiamoci il nostro bel giro, c'è ancora tanto da scoprire e da ammirare.

Continua/9
Rubrica a cura di Alessandro Tenderini
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