In viaggio a tempo indeterminato/343: Ricchi e Poveri a Sulawesi

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"Nel mio futuro che cosa c'è
sarebbe bello se fossi un re
così la bionda americana
o si innamora o la trasformo in rana."
Eh?!?
In che senso?
E in quel momento, seduta in un camion giallo diretto verso il nord di Sulawesi, mi sono resa conto che oltre al ritornello di questa canzone non conoscevo nulla.
"Ma ma mamma Maria ma
ma ma ma mamma Maria ma"
Che poi che senso ha il testo? Cosa volevano dire i Ricchi e Poveri? Che c'entra la rana?
"Ma ma ma mamma Maria ma
ma ma ma mamma Maria ma'
Ma, soprattutto, che cosa è venuto in mente a Paolo quando ha deciso di farla ascoltare a questo povero camionista che si è offerto di darci un passaggio?
"Ma ma ma mamma Maria ma
ma ma ma mamma Maria ma'
La cantiamo a squarciagola, fregandocene per qualche istante dello sguardo disperato/confuso del signore alla guida.
Deve essersi pentito di averci caricato a bordo del suo camion. O magari, invece, sta solo assaporando il momento in cui racconterà tutto ai suoi amici.
Quando gli mostrerà uno dei video che ci ha fatto in cui noi ridiamo e cantiamo.
"Ho dato un passaggio a due 'bule' dall'Italia che mi hanno fatto sentire delle canzoni famose nel loro Paese. La prima parlava di amore, la seconda era dedicata alla mamma. Non sono il mio genere, io preferisco le canzoni Minang!"

"Bule", ormai ci siamo abituati a sentirci chiamare così.
Sono soprattutto i bambini a usare questa parola e la urlano con quelle vicine stridule ma tenere.
Sono tre le fasi cruciali dell'approccio.
Prima fase: Ci vedono camminare per strada e sgranano gli occhi come se davanti a loro ci fossero degli alieni. È la mia fase preferita perché glielo leggi sul volto che sono straniti ma allo stesso tempo scalpitano.
Seconda fase: L'urlo "buleeeeee" e la corsa di avvicinamento. Questo è il momento in cui capiamo che dallo stupore sono passati ai fatti.
"Bule" è una parola strana e devo ammettere che all'inizio non capivamo bene se avesse una connotazione negativa oppure no.
Ci eravamo però subito accorti che la pronunciavano con un tono più dolce e gentile rispetto al "gringo" che usano i messicani per indicare gli stranieri, o meglio, gli statunitensi.
"Bule" deriva dalla parola "boulevard", cioè viale.
Durante la colonizzazione, le vie con le abitazioni degli olandesi venivano chiamate così. Gli indonesiani iniziarono quindi a usare la parola "boulevard" per indicare tutti gli europei che vivevano appunto in quei quartieri.
Ci siamo accorti, però, che c'è una cosa che gli indonesiani amano fare particolarmente. Amano follemente accorciare le parole.
"Terima kasih" (grazie) diventa "makasi".
Di "Selamat pagi" (buongiorno) rimane solo "pagi". E così via con molte altre parole, tra cui appunto "boulevard", diventato "bule".
Abbiamo chiesto a diverse persone la connotazione di questa parola e tutti sono stati concordi nel dirci che non è assolutamente negativa, anzi. 
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Ma torniamo alla terza fase: la corsa e l'urlo "what is your name". E inizia poi lo scambio di presentazioni. I bambini qui a Sulawesi sono davvero moltissimi e spesso giocano in gruppo per strada. È bellissimo vederli tutti insieme, con i più grandi che si prendono cura dei più piccoli. Questo però per noi significa cercare di ripetere correttamente una decina di nomi per volta. Alcuni sono più facili da ricordare come Api o Alfred. Altri sono decisamente difficili come Chahaya o Ningsih.
E poi ci sono quelli che ci fanno sorridere come Salsa o Afika.
L'Indonesia è un Paese con una popolazione molto giovane. Circa il 24% ha un'età compresa tra gli 0 e 14 anni e l'età media è di 30,1.
Per avere un'idea, in Italia l'età media è di 47,8 quindi decisamente più alta.
Il coro "buleeeeee" è quindi spesso composto da moltissime voci e una marea di manine sventolate.

Passano i giorni ma quegli occhioni sgranati ci strappano sempre un sorriso e ci cambiano l'umore.
È impossibile essere arrabbiati o tristi quando si accolti così trionfalmente.
Credo che una passeggiata in una cittadina qualunque di Sulawesi dovrebbe essere inserita tra i rimedi ufficiali per sentirsi bene.
O come canterebbero i Ricchi e Poveri:
"...una ricetta per l'allegria.
Legge il destino ma nelle stelle
E poi ti dice solo cose belle.”
Angela (e Paolo)
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