SCAFFALE LECCHESE/217: storia di Pietro Vassena, l'imprenditore inventore
Il museo della barca lariana di Pianello ha inaugurato una mostra dedicata al lecchese Pietro Vassena.
E’ un’occasione per riscoprire la figura di un imprenditore dalle genialità incompresa, ricordato soprattutto per la sfortunata vicenda del “C3”, il batiscafo per esplorazioni od operazioni di recupero sottomarine che per un breve periodo gli diede fama quasi mondiale prima di affondare definitivamente nel golfo di Napoli, costringendo Vassena ad accantonare il progetto per mancanza di finanziamenti.A raccontarci la vicenda di questo lecchese geniale c’è un libro dalla veste elegante stampato nel 1999 dall’editore lecchese Cattaneo su iniziativa dei figli dello stesso imprenditore: “Storia di un inventore. Pietro Vassena e il suo C3”. Autori del libro, lo storico Aroldo Benini e il giornalista Marco Corti. Il testo è inoltre corredato da molte illustrazioni provenienti dall’archivio di famiglia.
Pietro Vassena nasce il 21 aprile 1897 a Malgrate. Il padre gestisce un’osteria, mentre la madre, nei documenti anagrafici, è definitiva “benestante”, proveniente quindi da una famiglia di un certo agio. In osservanza ai canoni mitologici, gli autori sottolineano come gli slanci giovanili se non ancora infantili preannuncino il Pietro del futuro: «L’infanzia è quella di tutti i bambini di Malgrate, con qualche escursione a San Michele e a Pian Sciresa, qualche salita al Monte Barro, molte visite a Lecco ricca e industre, soprattutto al suo affollato mercato del sabato» dove «Pietro ha presto la sensazione che il mondo sta mutando (…) grazie a numerose invenzioni che lo incuriosiscono e di cui legge avidamente sui giornali che qualcuno lascia all’osteria paterna».
Siamo nel 1911, guerra di Libia: «L’attenzione di Pietro si concentra sulle navi che portano i soldati oltremare. E nave vuol dire motore, e i motori sono anche quelli dei treni e delle prime automobili, e hanno una capacità di attrazione incredibile su un ragazzo di paese con gli occhi aperti e il cervello pronto. Coi coetanei, infatti, a volte si spinge fino alla stazione ferroviaria di Lecco, ove ha modo di osservare, senza pagare il biglietto, locomotive a vapore ed elettriche. Sosta per ore alla stazione, ad osservare il movimento delle macchine. E’ ancora un bambino, non va ancora a scuola, ma parla di stantuffi e di freni, distingue i modelli, interpella il macchinista e il personale di macchina».
Al ritorno dalla prima guerra mondiale, Pietro Vassena trova lavoro come tornitore alla Faini che è già una grossa impresa del Lecchese e nota in Italia «come la prima industria che ha iniziato accanto alla tradizional costruzione di bacchette per ombrello, la fabbricazione di raggi per bicicletta e motocicletta. (…) E’ in questa azienda (…) che Pietro Vassena studia, osserva, propone modifiche, lancia idee, suggerisce i frutti delle sue osservazioni e dei suoi ripensamenti. Traendone, come sempre avviene, a volte qualche piccola soddisfazione, a volte un commento sprezzante, quello che in molti gli rivolgeranno anche più tardi, quando sarà un inventore affermato: “Tu sei matto!”».
Però alla Faini gli danno fiducia e Vassena mette a punto una macchina per automatizzare la costruzione di raggi per motociclette, ma soprattutto perfeziona un motore ausiliario da applicare alle biciclette. Il passo successivo è la realizzazione di una vera e propria motocicletta.
Uno così, naturalmente, ha la testa per mettersi in proprio e nel 1925 presenta la prima motocicletta con marchio Vassena. Senza dimenticare che, nel frattempo, l’attenzione è rivolta anche alla costruzione di motori fuori bordo con il marchio Elios, i primi a essere fabbricati in Italia. Nell’uno e nell’altro settore, l’attività di Vassena fa registrare un discreto successo. Non è il caso, comunque, di seguire nel dettaglio l’evoluzione imprenditoriale. Basti dire che all’epoca della maggior floridezza, Vassena sarà a capo di più di un’officina. Certo, il suo non è un vero e proprio gruppo industriale, la dimensione è ancora artigiana, ma la marcia in più è appunto quella genialità a volte scambiata per pazzia che lo fanno osare. Per esempio, nel 1932 s’inventa gli sci d’acqua. Non per farsi trainare dai motoscafi, bensì per camminare sul lago spingendosi con apposite racchette. Per lanciare il nuovo sport, promuove un “giro europeo sugli sci d’acqua” da svolgersi tra lo stesso 1932 e il 1937, ma limitandosi poi al primo anno e alle acque italiane. L’idea degli sci d’acqua non ha successo. Ma Vassena ci riproverà quasi trent’anni dopo, nel 1959, e allora avrà finalmente le copertine dei giornali, anche se pure quel secondo tentativo finirà in nulla. Però con quegli sci, Vassena “camminerà” sulle acque di Venezia per raggiungere lo yacht dell’armatore greco Aristotele Onassis, uno degli uomini più ricchi del mondo, e sottoporgli un progetto per il recupero del relitto del transatlantico “Andrea Doria” naufragato nel 1958.
Nel mezzo delle due epoche c’è la seconda guerra mondiale che anche per Vassena rappresenta uno snodo cruciale. Per la politica autarchica del fascismo aveva già inventato l’“Autargas”, un apparecchio da applicare a qualsiasi tipo di motore a scoppio per consentirne il funzionamento a carburanti non nobili: «L’aver messo in opera tali dispositivi; l’aver realizzato tre stabilimenti industriali (…) con l’impiego di circa 120 operai e l’aver mantenuto naturalmente contatti coi comandi nazifascisti durante la cosiddetta Repubblica di Salò furono fatti destinati a non passare inosservati. All’indomani della Liberazione (…) Pietro Vassena viene associato alle carceri speciali del tempo, in via Ghislanzoni, nel palazzo delle scuole» ed è in quei giorni che il “sommergibile” riemerge: «Il vero motivo per cui Pietro Vassena, l’inventore Pietro Vassena, decise di gettarsi a capofitto alla conquista degli abissi e quindi nella realizzazione di mezzi subacquei forse resterà uno dei tanti misteri che hanno accompagnato la vulcanica esistenza di questo straordinario personaggio. All’idea di realizzare un sommergibile, un Vassena ormai quarantenne pensa da tempo. Già nel 1938 ha pronto un progetto». Nel 1942 «riprende le sue “carte” e inizia la costruzione del primo modello-prototipo: un lanciasiluri. (…) i lì a poco l’inventore realizza un altro modello ancora più veloce. (…) Tra il 1944 e il 1945 Vassena è di nuovo a testa china sulle carte. (…) Inizia infatti gli studi per progettare un batiscafo per ricerche marine a grandi profondità, nonché per il recupero delle navi affondate durante la guerra. Questo nuovo progetto, frutto di anni e anni di pazienti studi e sacrifici – anche di carattere economico – sfrutta tutte le precedenti esperienze con lo scopo di rivoluzionare la tecnica dei recuperi marini. Progetto che viene però bruscamente interrotto il 28 aprile 1945 quando Vassena viene “fermato” e rinchiuso nelle carceri (“il collegio” come lo chiama lui) di via Ghislanzoni a Lecco, accusato di collaborazionismo con il nemico per le forniture di motori gasogeni ai tedeschi durante il periodo bellico. Nell’aula scolastica che porta la targa “3 C” Vassena continua però gli studi del suo nuovo sommergibile. E quando viene rilasciato, il 13 giugno dello stesso anno, l’inventore ormai ha le idee chiare: costruire il sommergibile dei suoi sogni chiamandolo C3, ovvero: cella numero 3, la “3 C” della scuola».
Tornato in libertà, Vassena si dedica anima e corpo al progetto. Nel 1948, il sogno sembra avverarsi.
Il 4 gennaio «l’inventore Vassena decide di effettuare alcune prove a secco con equipaggio all’interno del C3. Per fare ciò invita nel suo laboratorio, alle 14 precise, Nino Turati, un ex sommergibilista di Calolziocorte che si era offerto di collaborare con Vassena per lo sviluppo del C3. Si erano conosciuti per caso». L’esperimento fila liscio se si eccettua una capocciata di Vassena contro uno sportello. Il 6 gennaio altra prova e il 19 febbraio il debutto in acqua: «Lecco si sveglia con il freddo che si insinua giù per la schiena e con un fitto nevischio, tanto fastidioso quanto “rabbioso” perché sospinto dal vento. E’ il 19 febbraio. Vassena ha preso la tanto attesa decisione. Porterà il suo sommergibile al lago per il primo varo (…) tra la curiosità di un gruppetto di infreddoliti concittadini» E il 29 febbraio, il varo vero e proprio: «E’ una splendida giornata. (…) Alle 14.30 il C3 è già nel punto prestabilito dal suo costruttore per la prima immersione. La folla, che gremisce le banchine da ore, e che ha invaso tutti i punti possibili di osservazione, segue con interesse i movimenti del piccolo scafo. (…) Si chiude il boccaporto ed il sommergibile sprofonda lentamente. (…) I cuori degli spettatori pulsano in gola, il sommergibile (…) è definitivamente sparito. Sono secoli concentrati in pochi minuti». Dopo aver raggiunto i 34 metri di profondità, il C3 riemerge.
Il 9 marzo, le immersioni senza equipaggio nel golfo di Lecco: il batiscafo raggiunge i 235 metri di profondità «e malgrado la volontà del costruttore di far continuare la discesa del C3, si è costretti a sospendere l’operazione: il cavo telefonico è insufficiente». Il giorno successivo, ci si sposta ad Argegno dove il batiscafo supera i 400 metri di profondità e il 12 marzo, il C3 scende con a bordo Vassena e Turati e alle ore 13.16 «dal C3 comunicano di avere toccato il fondo. I due occupanti stanno magnificamente bene, la visibilità a tale profondità è assolutamente nulla e l’emozione è grande. (…) “Il fondale è buono, assolutamente piano e sabbioso” fanno sapere Vassena e Turati. Il C3 si è posato mollemente senza la minima scossa. (…) Il manometro di massima del piccolo sommergibile ha registrato la profondità record di -412 metri».
L’esperimento attira su Vassena l’attenzione di giornali e televisione, ma non solo: entra in contatto con il celebre fisico svizzero Auguste Piccard che in passato si era cimentato in avventurose perlustrazioni della stratosfera e ora sta preparando una “batisfera” per esplorare gli abissi marini. I due si incontrano e nasce un’amicizia che continuerà anche quando il C3 non ci sarà ormai più e saranno invece le “sfere” dello svizzero a scendere negli abissi per migliaia di metri.
Il batiscafo di Vassena viene quasi portato in tournée prima a Genova e poi a Napoli. L’8 ottobre un piccolo incidente che è un presagio. Vassena dimentica un boccaporto aperto e nella dimostrazione a pochi metri dalla Grotta Azzura di Capri, il C3 si inabissa. Ci vorranno cinque giorni per il recupero: per le riparazioni danno una mano economica anche i napoletani che organizzano una colletta. E così, il 4 novembre, si possono riprendere gli esperimenti di immersione, ma il 16 novembre, il C3 s’inabissa per sempre, forse per un errore di manovra, chissà. Negli anni successivi, Vassena darà anche credito all’ipotesi di un complotto americano.
Oggi, il relitto è ancora giù, al largo di Capri, assieme al sogno di Vassena. Nonostante nel 1988 si sia tentato un timido tentativo di individuarlo per riportarlo in superficie.
Vassena è costretto ad archiviare l’ambizioso progetto del “C3” ma continua comunque a lavorare, a progettare, a inventare, a immaginare il futuro: già nel 1948, disegna la sveglia trasparente («Un’antenata degli Swatch” si dice nel libro), mentre è del 1956 lo studio stazione motonautica galleggiante per il turismo lecchese da installare sull’Adda tra i due ponti (quello Nuovo è stato inaugurato da un anno e non è ancora intitolato a Kennedy).
Nel 1958, invece, è il momento del “Grillo”: «Salta, naviga, vola: capace di andare a cento all’ora in acqua come nell’aria, e capace anche di stare fermo in quota come un elicottero. Sarà una cosa meravigliosa. (…) Il modello definitivo del “Grillo” sarà contemporaneamente motoscafo, automobile, elicottero, salirà e scenderà verticalmente, potrà fare marcia avanti e marcia indietro, ruotare su sé stesso, fermarsi in aria. E porterà a bordo fino a quattro persone». Non se ne fece nulla: «Il “Grillo” non conoscerà mai la produzione industriale: l’invenzione era originale.
La trovata davvero straordinaria, ma i principali ostacoli riguardavano il sollevamento, i materiali impiegati erano troppo pesanti» e «l’invenzione che subito e a tutti apparve prodigiosa, venne abbandonata. Sarebbe stato necessario lavorarci sopra ancora molto tempo, trovare un finanziamento, qualcuno che ci avesse creduto davvero e avesse aiutato il geniale inventore, suggerendogli anche materiali più leggeri e altrettanto robusti. Ma a Pietro Vassena, allora come in passato e come, purtroppo, negli anni successivi, molti mostravano amicizia e simpatia, soltanto pochi erano disposti a rischiare su di lui e con lui. Molti se ne vantavano amici, ma quand’era il momento di affrontare le difficoltà prendevano le distanze, nel timore di rimetterci».
Pietro Vassena muore nel 1967. Solo trent’anni dopo, nel 1997, il Comune gli assegnerà la benemerenza civica di San Nicolò alla memoria.
E’ un’occasione per riscoprire la figura di un imprenditore dalle genialità incompresa, ricordato soprattutto per la sfortunata vicenda del “C3”, il batiscafo per esplorazioni od operazioni di recupero sottomarine che per un breve periodo gli diede fama quasi mondiale prima di affondare definitivamente nel golfo di Napoli, costringendo Vassena ad accantonare il progetto per mancanza di finanziamenti.A raccontarci la vicenda di questo lecchese geniale c’è un libro dalla veste elegante stampato nel 1999 dall’editore lecchese Cattaneo su iniziativa dei figli dello stesso imprenditore: “Storia di un inventore. Pietro Vassena e il suo C3”. Autori del libro, lo storico Aroldo Benini e il giornalista Marco Corti. Il testo è inoltre corredato da molte illustrazioni provenienti dall’archivio di famiglia.
Pietro Vassena nasce il 21 aprile 1897 a Malgrate. Il padre gestisce un’osteria, mentre la madre, nei documenti anagrafici, è definitiva “benestante”, proveniente quindi da una famiglia di un certo agio. In osservanza ai canoni mitologici, gli autori sottolineano come gli slanci giovanili se non ancora infantili preannuncino il Pietro del futuro: «L’infanzia è quella di tutti i bambini di Malgrate, con qualche escursione a San Michele e a Pian Sciresa, qualche salita al Monte Barro, molte visite a Lecco ricca e industre, soprattutto al suo affollato mercato del sabato» dove «Pietro ha presto la sensazione che il mondo sta mutando (…) grazie a numerose invenzioni che lo incuriosiscono e di cui legge avidamente sui giornali che qualcuno lascia all’osteria paterna».
Siamo nel 1911, guerra di Libia: «L’attenzione di Pietro si concentra sulle navi che portano i soldati oltremare. E nave vuol dire motore, e i motori sono anche quelli dei treni e delle prime automobili, e hanno una capacità di attrazione incredibile su un ragazzo di paese con gli occhi aperti e il cervello pronto. Coi coetanei, infatti, a volte si spinge fino alla stazione ferroviaria di Lecco, ove ha modo di osservare, senza pagare il biglietto, locomotive a vapore ed elettriche. Sosta per ore alla stazione, ad osservare il movimento delle macchine. E’ ancora un bambino, non va ancora a scuola, ma parla di stantuffi e di freni, distingue i modelli, interpella il macchinista e il personale di macchina».
Al ritorno dalla prima guerra mondiale, Pietro Vassena trova lavoro come tornitore alla Faini che è già una grossa impresa del Lecchese e nota in Italia «come la prima industria che ha iniziato accanto alla tradizional costruzione di bacchette per ombrello, la fabbricazione di raggi per bicicletta e motocicletta. (…) E’ in questa azienda (…) che Pietro Vassena studia, osserva, propone modifiche, lancia idee, suggerisce i frutti delle sue osservazioni e dei suoi ripensamenti. Traendone, come sempre avviene, a volte qualche piccola soddisfazione, a volte un commento sprezzante, quello che in molti gli rivolgeranno anche più tardi, quando sarà un inventore affermato: “Tu sei matto!”».
Però alla Faini gli danno fiducia e Vassena mette a punto una macchina per automatizzare la costruzione di raggi per motociclette, ma soprattutto perfeziona un motore ausiliario da applicare alle biciclette. Il passo successivo è la realizzazione di una vera e propria motocicletta.
Uno così, naturalmente, ha la testa per mettersi in proprio e nel 1925 presenta la prima motocicletta con marchio Vassena. Senza dimenticare che, nel frattempo, l’attenzione è rivolta anche alla costruzione di motori fuori bordo con il marchio Elios, i primi a essere fabbricati in Italia. Nell’uno e nell’altro settore, l’attività di Vassena fa registrare un discreto successo. Non è il caso, comunque, di seguire nel dettaglio l’evoluzione imprenditoriale. Basti dire che all’epoca della maggior floridezza, Vassena sarà a capo di più di un’officina. Certo, il suo non è un vero e proprio gruppo industriale, la dimensione è ancora artigiana, ma la marcia in più è appunto quella genialità a volte scambiata per pazzia che lo fanno osare. Per esempio, nel 1932 s’inventa gli sci d’acqua. Non per farsi trainare dai motoscafi, bensì per camminare sul lago spingendosi con apposite racchette. Per lanciare il nuovo sport, promuove un “giro europeo sugli sci d’acqua” da svolgersi tra lo stesso 1932 e il 1937, ma limitandosi poi al primo anno e alle acque italiane. L’idea degli sci d’acqua non ha successo. Ma Vassena ci riproverà quasi trent’anni dopo, nel 1959, e allora avrà finalmente le copertine dei giornali, anche se pure quel secondo tentativo finirà in nulla. Però con quegli sci, Vassena “camminerà” sulle acque di Venezia per raggiungere lo yacht dell’armatore greco Aristotele Onassis, uno degli uomini più ricchi del mondo, e sottoporgli un progetto per il recupero del relitto del transatlantico “Andrea Doria” naufragato nel 1958.
Nel mezzo delle due epoche c’è la seconda guerra mondiale che anche per Vassena rappresenta uno snodo cruciale. Per la politica autarchica del fascismo aveva già inventato l’“Autargas”, un apparecchio da applicare a qualsiasi tipo di motore a scoppio per consentirne il funzionamento a carburanti non nobili: «L’aver messo in opera tali dispositivi; l’aver realizzato tre stabilimenti industriali (…) con l’impiego di circa 120 operai e l’aver mantenuto naturalmente contatti coi comandi nazifascisti durante la cosiddetta Repubblica di Salò furono fatti destinati a non passare inosservati. All’indomani della Liberazione (…) Pietro Vassena viene associato alle carceri speciali del tempo, in via Ghislanzoni, nel palazzo delle scuole» ed è in quei giorni che il “sommergibile” riemerge: «Il vero motivo per cui Pietro Vassena, l’inventore Pietro Vassena, decise di gettarsi a capofitto alla conquista degli abissi e quindi nella realizzazione di mezzi subacquei forse resterà uno dei tanti misteri che hanno accompagnato la vulcanica esistenza di questo straordinario personaggio. All’idea di realizzare un sommergibile, un Vassena ormai quarantenne pensa da tempo. Già nel 1938 ha pronto un progetto». Nel 1942 «riprende le sue “carte” e inizia la costruzione del primo modello-prototipo: un lanciasiluri. (…) i lì a poco l’inventore realizza un altro modello ancora più veloce. (…) Tra il 1944 e il 1945 Vassena è di nuovo a testa china sulle carte. (…) Inizia infatti gli studi per progettare un batiscafo per ricerche marine a grandi profondità, nonché per il recupero delle navi affondate durante la guerra. Questo nuovo progetto, frutto di anni e anni di pazienti studi e sacrifici – anche di carattere economico – sfrutta tutte le precedenti esperienze con lo scopo di rivoluzionare la tecnica dei recuperi marini. Progetto che viene però bruscamente interrotto il 28 aprile 1945 quando Vassena viene “fermato” e rinchiuso nelle carceri (“il collegio” come lo chiama lui) di via Ghislanzoni a Lecco, accusato di collaborazionismo con il nemico per le forniture di motori gasogeni ai tedeschi durante il periodo bellico. Nell’aula scolastica che porta la targa “3 C” Vassena continua però gli studi del suo nuovo sommergibile. E quando viene rilasciato, il 13 giugno dello stesso anno, l’inventore ormai ha le idee chiare: costruire il sommergibile dei suoi sogni chiamandolo C3, ovvero: cella numero 3, la “3 C” della scuola».
Tornato in libertà, Vassena si dedica anima e corpo al progetto. Nel 1948, il sogno sembra avverarsi.
Il 4 gennaio «l’inventore Vassena decide di effettuare alcune prove a secco con equipaggio all’interno del C3. Per fare ciò invita nel suo laboratorio, alle 14 precise, Nino Turati, un ex sommergibilista di Calolziocorte che si era offerto di collaborare con Vassena per lo sviluppo del C3. Si erano conosciuti per caso». L’esperimento fila liscio se si eccettua una capocciata di Vassena contro uno sportello. Il 6 gennaio altra prova e il 19 febbraio il debutto in acqua: «Lecco si sveglia con il freddo che si insinua giù per la schiena e con un fitto nevischio, tanto fastidioso quanto “rabbioso” perché sospinto dal vento. E’ il 19 febbraio. Vassena ha preso la tanto attesa decisione. Porterà il suo sommergibile al lago per il primo varo (…) tra la curiosità di un gruppetto di infreddoliti concittadini» E il 29 febbraio, il varo vero e proprio: «E’ una splendida giornata. (…) Alle 14.30 il C3 è già nel punto prestabilito dal suo costruttore per la prima immersione. La folla, che gremisce le banchine da ore, e che ha invaso tutti i punti possibili di osservazione, segue con interesse i movimenti del piccolo scafo. (…) Si chiude il boccaporto ed il sommergibile sprofonda lentamente. (…) I cuori degli spettatori pulsano in gola, il sommergibile (…) è definitivamente sparito. Sono secoli concentrati in pochi minuti». Dopo aver raggiunto i 34 metri di profondità, il C3 riemerge.
Il 9 marzo, le immersioni senza equipaggio nel golfo di Lecco: il batiscafo raggiunge i 235 metri di profondità «e malgrado la volontà del costruttore di far continuare la discesa del C3, si è costretti a sospendere l’operazione: il cavo telefonico è insufficiente». Il giorno successivo, ci si sposta ad Argegno dove il batiscafo supera i 400 metri di profondità e il 12 marzo, il C3 scende con a bordo Vassena e Turati e alle ore 13.16 «dal C3 comunicano di avere toccato il fondo. I due occupanti stanno magnificamente bene, la visibilità a tale profondità è assolutamente nulla e l’emozione è grande. (…) “Il fondale è buono, assolutamente piano e sabbioso” fanno sapere Vassena e Turati. Il C3 si è posato mollemente senza la minima scossa. (…) Il manometro di massima del piccolo sommergibile ha registrato la profondità record di -412 metri».
L’esperimento attira su Vassena l’attenzione di giornali e televisione, ma non solo: entra in contatto con il celebre fisico svizzero Auguste Piccard che in passato si era cimentato in avventurose perlustrazioni della stratosfera e ora sta preparando una “batisfera” per esplorare gli abissi marini. I due si incontrano e nasce un’amicizia che continuerà anche quando il C3 non ci sarà ormai più e saranno invece le “sfere” dello svizzero a scendere negli abissi per migliaia di metri.
Il batiscafo di Vassena viene quasi portato in tournée prima a Genova e poi a Napoli. L’8 ottobre un piccolo incidente che è un presagio. Vassena dimentica un boccaporto aperto e nella dimostrazione a pochi metri dalla Grotta Azzura di Capri, il C3 si inabissa. Ci vorranno cinque giorni per il recupero: per le riparazioni danno una mano economica anche i napoletani che organizzano una colletta. E così, il 4 novembre, si possono riprendere gli esperimenti di immersione, ma il 16 novembre, il C3 s’inabissa per sempre, forse per un errore di manovra, chissà. Negli anni successivi, Vassena darà anche credito all’ipotesi di un complotto americano.
Oggi, il relitto è ancora giù, al largo di Capri, assieme al sogno di Vassena. Nonostante nel 1988 si sia tentato un timido tentativo di individuarlo per riportarlo in superficie.
Vassena è costretto ad archiviare l’ambizioso progetto del “C3” ma continua comunque a lavorare, a progettare, a inventare, a immaginare il futuro: già nel 1948, disegna la sveglia trasparente («Un’antenata degli Swatch” si dice nel libro), mentre è del 1956 lo studio stazione motonautica galleggiante per il turismo lecchese da installare sull’Adda tra i due ponti (quello Nuovo è stato inaugurato da un anno e non è ancora intitolato a Kennedy).
Nel 1958, invece, è il momento del “Grillo”: «Salta, naviga, vola: capace di andare a cento all’ora in acqua come nell’aria, e capace anche di stare fermo in quota come un elicottero. Sarà una cosa meravigliosa. (…) Il modello definitivo del “Grillo” sarà contemporaneamente motoscafo, automobile, elicottero, salirà e scenderà verticalmente, potrà fare marcia avanti e marcia indietro, ruotare su sé stesso, fermarsi in aria. E porterà a bordo fino a quattro persone». Non se ne fece nulla: «Il “Grillo” non conoscerà mai la produzione industriale: l’invenzione era originale.
La trovata davvero straordinaria, ma i principali ostacoli riguardavano il sollevamento, i materiali impiegati erano troppo pesanti» e «l’invenzione che subito e a tutti apparve prodigiosa, venne abbandonata. Sarebbe stato necessario lavorarci sopra ancora molto tempo, trovare un finanziamento, qualcuno che ci avesse creduto davvero e avesse aiutato il geniale inventore, suggerendogli anche materiali più leggeri e altrettanto robusti. Ma a Pietro Vassena, allora come in passato e come, purtroppo, negli anni successivi, molti mostravano amicizia e simpatia, soltanto pochi erano disposti a rischiare su di lui e con lui. Molti se ne vantavano amici, ma quand’era il momento di affrontare le difficoltà prendevano le distanze, nel timore di rimetterci».
Pietro Vassena muore nel 1967. Solo trent’anni dopo, nel 1997, il Comune gli assegnerà la benemerenza civica di San Nicolò alla memoria.
Dario Cercek