Galbiate: Caravaggio con le sue luci e ombre 'in scena' a San Michele
Lo scrittore e regista Paolo D’Anna ha presentato, nella serata di domenica, le opere più significative dello straordinario pittore Caravaggio ripercorrendone la vita e la carriera, offrendo al pubblico un viaggio nei momenti di luce e ombra di questo grande artista.
Come sfondo un luogo altrettanto suggestivo, la Chiesa Incompiuta di San Michele a Galbiate, che con la sua volta scoperta offre ai presenti un’ambientazione decisamente affascinante.
D’Anna è poeta, scrittore, autore e regista teatrale, nato a Caronia in provincia di Messina, attualmente vive a Calolziocorte.
La sua forte passione per l’arte lo ha avvicinato ai grandi personaggi di ogni tempo, sui quali ha realizzato diverse rappresentazioni teatrali. Tra questi non poteva mancare il lombardo Michelangelo Merisi, in arte Caravaggio, pittore nel quale arte, vita e morte si mescolano, in cui la violenza ed il realismo dei suoi quadri ripercorrono la sua stessa esistenza.
“Caravaggio, da sempre, mi ha profondamente affascinato: la foga, la frenesia con cui prepara e realizza i suoi capolavori è la stessa frenesia, la stessa violenza, con la quale corre verso l'autodistruzione. Ripercorrere la sua vita mentre guardiamo i suoi capolavori è quindi necessario per comprendere questo artista e la sua profonda rivoluzione” ha spiegato lo scrittore analizzando con i presenti i momenti più significativi di Merisi, che lo hanno condotto da Porto Ercole in Toscana, al Borgo di Caravaggio, un paesino in provincia di Bergamo, poi Milano, Roma, Napoli, Malta fino in Sicilia.
Solo inquadrando il tempo e la storia della sua vita si possono comprendere a pieno le sue opere. “Il 500 fu un periodo di grandi cambiamenti, sociali, culturali e quindi anche artistici. La Chiesa Cattolica impone un’arte sempre più ideologica, imbriglia le mani degli artisti in rappresentazioni canoniche e controllate. Le opere di Caravaggio sono, sin dalle prime, rivoluzionarie perché per lui, in alto, non sta nessun Dio. Fin da subito si percepisce una dualità, fatta di luci ed ombre, due poli che con l’avanzare della sua carriera artistica diverranno sempre più drammatici” ha spiegato D’Anna, raccontando le amicizie che, fin dagli albori, hanno accompagnato l’artista: il pittore siciliano Giovanni Minniti e, a Roma, il Cardinale Francesco Maria del Monte. “Il conflitto tra scienza e religione è nelle sue opere molto evidente. Anche Caravaggio, come Galileo Galilei, è incuriosito dalla natura delle cose. Ed è proprio sulla natura che si concentrano le prime opere. La canestra di frutta è la prima rappresentazione di natura morta in Italia. Lui conferisce alla natura la stessa importanza, la stessa centralità della figura umana e, per quel tempo, è un fatto certamente rivoluzionario. In quest’opera si ritrova tutto il senso del tragico, di una vita che nasce, passa dalla giovinezza e si spegne nella vecchiaia” ha argomentato lo scrittore, accompagnando il pubblico nella lettura delle opere proiettate sul maxischermo.
“Nella Vocazione di San Matteo Caravaggio ci spinge a guardare oltre, a soffermarci sui dettagli più nascosti. Tutti i ragazzi del quadro sono abbagliati, concentrati sulla venuta di Cristo, tutti meno il ragazzo capotavola, sui cui Caravaggio pone la luce. Anche in quest’opera è evidente il contrasto tra luce e tenebre, Caravaggio sembra riprodurre gli effetti teatrali, i personaggi escono dall’ombra per andare verso la luce. È l’emozione dell’attimo che fissa l’eternità” ha aggiunto D’Anna, addentrandosi nel periodo di vita più cupo dell’artista, quando la sua vita sregolata, che a posteriori potremmo definire in perfetto stile bohémien, gli valse la reputazione di pittore dissoluto e dissacratore. Con il quadro de “La Maddalena Penitente” rompe l’iconografia cattolica classica di Maria Maddalena, frutto di una tradizionale secolare che l’ha sempre rappresentata disperata, nel deserto o ai piedi della Croce. Lo stesso fa con la raffigurazione della Vergine Maria, la cui morte per l’artista non è un atto puramente spirituale ma è umanità, sofferenza e dolore incisi sul volto. “Questo è, secondo me, l’aspetto più rivoluzionario delle sue opere: Caravaggio non si conforma alle tradizionali iconografie imposte, umanizza il sacro, racconta persone che nei suoi quadri non fanno nulla se non essere loro stesse, rompendo, così, con la tradizione artistica di quel tempo, portando la religione più vicina all’uomo e rendendola, dunque, più umana” ha aggiunto, mostrando l’Incredulità di San Tommaso, il ritratto della giovane Beatrice Ceci fino ad arrivare ai suoi ultimi capolavori, come Davide e Golia, che ne racchiudono la profonda disperazione. “Caravaggio ha pagato ad un prezzo altissimo la sua libertà intellettuale ed artistica, stringendo, fino alla fine, tra le sue mani e nei suoi quadri, la vita” ha concluso, ringraziando gli organizzatori e i presenti per l’accoglienza.
Come sfondo un luogo altrettanto suggestivo, la Chiesa Incompiuta di San Michele a Galbiate, che con la sua volta scoperta offre ai presenti un’ambientazione decisamente affascinante.
D’Anna è poeta, scrittore, autore e regista teatrale, nato a Caronia in provincia di Messina, attualmente vive a Calolziocorte.
La sua forte passione per l’arte lo ha avvicinato ai grandi personaggi di ogni tempo, sui quali ha realizzato diverse rappresentazioni teatrali. Tra questi non poteva mancare il lombardo Michelangelo Merisi, in arte Caravaggio, pittore nel quale arte, vita e morte si mescolano, in cui la violenza ed il realismo dei suoi quadri ripercorrono la sua stessa esistenza.
“Caravaggio, da sempre, mi ha profondamente affascinato: la foga, la frenesia con cui prepara e realizza i suoi capolavori è la stessa frenesia, la stessa violenza, con la quale corre verso l'autodistruzione. Ripercorrere la sua vita mentre guardiamo i suoi capolavori è quindi necessario per comprendere questo artista e la sua profonda rivoluzione” ha spiegato lo scrittore analizzando con i presenti i momenti più significativi di Merisi, che lo hanno condotto da Porto Ercole in Toscana, al Borgo di Caravaggio, un paesino in provincia di Bergamo, poi Milano, Roma, Napoli, Malta fino in Sicilia.
Solo inquadrando il tempo e la storia della sua vita si possono comprendere a pieno le sue opere. “Il 500 fu un periodo di grandi cambiamenti, sociali, culturali e quindi anche artistici. La Chiesa Cattolica impone un’arte sempre più ideologica, imbriglia le mani degli artisti in rappresentazioni canoniche e controllate. Le opere di Caravaggio sono, sin dalle prime, rivoluzionarie perché per lui, in alto, non sta nessun Dio. Fin da subito si percepisce una dualità, fatta di luci ed ombre, due poli che con l’avanzare della sua carriera artistica diverranno sempre più drammatici” ha spiegato D’Anna, raccontando le amicizie che, fin dagli albori, hanno accompagnato l’artista: il pittore siciliano Giovanni Minniti e, a Roma, il Cardinale Francesco Maria del Monte. “Il conflitto tra scienza e religione è nelle sue opere molto evidente. Anche Caravaggio, come Galileo Galilei, è incuriosito dalla natura delle cose. Ed è proprio sulla natura che si concentrano le prime opere. La canestra di frutta è la prima rappresentazione di natura morta in Italia. Lui conferisce alla natura la stessa importanza, la stessa centralità della figura umana e, per quel tempo, è un fatto certamente rivoluzionario. In quest’opera si ritrova tutto il senso del tragico, di una vita che nasce, passa dalla giovinezza e si spegne nella vecchiaia” ha argomentato lo scrittore, accompagnando il pubblico nella lettura delle opere proiettate sul maxischermo.
“Nella Vocazione di San Matteo Caravaggio ci spinge a guardare oltre, a soffermarci sui dettagli più nascosti. Tutti i ragazzi del quadro sono abbagliati, concentrati sulla venuta di Cristo, tutti meno il ragazzo capotavola, sui cui Caravaggio pone la luce. Anche in quest’opera è evidente il contrasto tra luce e tenebre, Caravaggio sembra riprodurre gli effetti teatrali, i personaggi escono dall’ombra per andare verso la luce. È l’emozione dell’attimo che fissa l’eternità” ha aggiunto D’Anna, addentrandosi nel periodo di vita più cupo dell’artista, quando la sua vita sregolata, che a posteriori potremmo definire in perfetto stile bohémien, gli valse la reputazione di pittore dissoluto e dissacratore. Con il quadro de “La Maddalena Penitente” rompe l’iconografia cattolica classica di Maria Maddalena, frutto di una tradizionale secolare che l’ha sempre rappresentata disperata, nel deserto o ai piedi della Croce. Lo stesso fa con la raffigurazione della Vergine Maria, la cui morte per l’artista non è un atto puramente spirituale ma è umanità, sofferenza e dolore incisi sul volto. “Questo è, secondo me, l’aspetto più rivoluzionario delle sue opere: Caravaggio non si conforma alle tradizionali iconografie imposte, umanizza il sacro, racconta persone che nei suoi quadri non fanno nulla se non essere loro stesse, rompendo, così, con la tradizione artistica di quel tempo, portando la religione più vicina all’uomo e rendendola, dunque, più umana” ha aggiunto, mostrando l’Incredulità di San Tommaso, il ritratto della giovane Beatrice Ceci fino ad arrivare ai suoi ultimi capolavori, come Davide e Golia, che ne racchiudono la profonda disperazione. “Caravaggio ha pagato ad un prezzo altissimo la sua libertà intellettuale ed artistica, stringendo, fino alla fine, tra le sue mani e nei suoi quadri, la vita” ha concluso, ringraziando gli organizzatori e i presenti per l’accoglienza.
Sa.A.