Sala gremita per la serata sul contributo lecchese alla guerra a Gaza

Che ruolo hanno le armi italiane nella guerra in corso a Gaza? E quale il nostro territorio? Sono domande a cui ha provato a rispondere il Coordinamento lecchese stop al genocidio attraverso una partecipatissima serata di approfondimento che si è tenuta martedì in sala Ticozzi, durante la quale è intervenuto Duccio Facchini, nella sua veste di giornalista e direttore della rivista Altreconomia.
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Corrado Conti

Un incontro, come ha spiegato nell’introduzione Corrado Conti, che si inserisce nel percorso avviato nei mesi scorsi dal coordinamento: “Gaza è diventata un inferno sulla Terra, con persone che ammazzano, sparano e uccidono altre persone anche perché qualcuno fornisce loro armi per farlo. Anche nel lecchese c’è questo tipo di produzione e lo si sta denunciando da mesi perché qui prepariamo la guerra e non solo quella in Palestina. E per questo dobbiamo denunciare anche chi finanzia queste fabbriche. Dobbiamo essere coerenti e fermare la guerra qui”.
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Facendo un passo indietro, Facchini ha riportato alcuni dati delle Nazioni Unite utili per ricordare la situazione di grave difficoltà che la popolazione della Striscia di Gaza stava affrontando già prima del 7 ottobre 2023 a seguito della sua “chiusura” quasi ventennale: “Gaza è un territorio di 365 chilometri quadrati, una superficie che è meno della metà di quella della provincia di lecco, dove vivono 2,2 milioni di abitanti, a fronte dei 330mila del lecchese”. 
Già prima della guerra il tasso di povertà era al 60% e la disoccupazione 50 e nel 2015 l’agenzia Unctad aveva segnalato che di questo passo quel piccolo lembo di terra sarebbe diventato un luogo inabitabile entro il 2020. 
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Duccio Facchini

“In questo contesto è arrivato il 7 ottobre” ha sottolineato il giornalista. Da quel giorno la Striscia è senza corrente ed è difficilissimo l’accesso all’acqua potabile, il 96% della popolazione è a grave rischio di insicurezza alimentare, anche perché il 60/70% del bestiame è stato ammazzato e la gran parte dei terreni agricoli distrutta. 600mila studenti non hanno accesso ai servizi di istruzione, 8mila di loro sono stati uccisi così come 391 membri del personale scolastico. C’è stata una distruzione massiccia di strade, case, edifici commerciali e ospedali, su 36 esistenti 21 sono fuori uso. I morti accertati a causa della guerra sono più di 38mila, non si contano i dispersi e due milioni sono gli sfollati.
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Il primo corteo organizzato a Lecco

In questo quadro non è dunque secondario sapere chi fornisce ad Israele le armi con cui sta portando avanti questa offensiva per terra, cielo e mare senza precedenti. Facchini ha ricordato che negli ultimi dieci anni, tra il 2013 e il 2023, l’Italia è stato il terzo Paese dopo Stati Uniti e Germania a vendere armi a Tel Aviv: un canale dunque importante quello tra i due Paesi che secondo il governo sarebbe stato interrotto dopo il 7 ottobre. Già lo scorso gennaio Altreconomia ha provato a verificare tramite un accesso civico generalizzato le dichiarazioni di alcuni ministri ma il Ministero degli Esteri tramite la Uama (Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento) si è mostrato tutt’altro che trasparente negando le informazioni sull’export effettivo delle armi dall’inizio dei bombardamenti su Gaza, adducendo come motivazioni il “nocumento al sistema di difesa nazionale” e la tutela della “confidenzialità” con Israele. 
Tuttavia, attraverso l’analisi dei dati dell’Istat, Facchini ha rilevato che il flusso di armi verso il Paese in guerra non sarebbe stato affatto bloccato: tra ottobre e novembre del 2023 l’Italia ha esportato - nella ricostruzione del giornalista - “Armi e munizioni” verso Israele per un valore di 817.536 euro, in particolare 233.025 euro a ottobre e 584.511 a novembre e nel solo mese di dicembre del 2023, nel pieno dei bombardamenti da parte di Tel Aviv sulla Striscia, l’export italiano di “Armi e munizioni” ha toccato quota 1,3 milioni di euro. Per non parlare poi della delicatissima fornitura da parte di Leonardo (ex Finmeccanica) dei velivoli addestratori M346 per formare i piloti israeliani dei caccia. Su questo punto Facchini ha mostrato dati e atti che evidenziano esportazioni dalla provincia di Varese, dove ha sede la Alenia Aermacchi (gruppo Leonardo). 
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Nel frattempo Altreconomia ha interpellato anche l’Agenzia delle dogane e dei monopoli e dai dati ottenuti ha ricostruito che solo nei mesi di dicembre 2023 e gennaio 2024 l’Italia ha esportato in Israele armi e munizioni per oltre due milioni di euro: l’export della categoria “Bombe, granate, siluri, mine, missili, cartucce ed altre munizioni e proiettili, e loro parti” relativo ai mesi di dicembre 2023 e gennaio 2024, nel pieno dell’attacco militare di Israele a danno della popolazione civile di Gaza è di 1.011.510,5 euro a dicembre e 1.352.675 euro a gennaio 2024. Anche i dati dell’Istat relativi al primo trimestre 2024 dicono che l’Italia ha continuato a fornire armi a Israele per un valore di 1,5 milioni di euro e l’Agenzia delle dogane comunica che da ottobre 2023 a maggio 2024 sono uscite dall’Italia “Armi e munizioni” da dirette a Israele per 4,6 milioni di euro. 

I dati dell’Istat dicono anche un’altra cosa ha aggiunto ancora il relatore: degli oltre due milioni di euro della categoria merceologica “armi e munizioni” che l’Italia ha esportato verso Israele nell’ultimo trimestre del 2023, oltre un milione proveniva dalla provincia di Lecco, che si è attestata così per quel trimestre come la prima provincia in Italia per esportazioni di “armi e munizioni” a Tel Aviv. Un trend confermato anche nel primo trimestre 2024 dove il nostro territorio ha pesato per 1,2 milioni di euro su 1,5 complessivi. “Si tratta di dati ufficiali sui quali interrogarsi”, ha detto Facchini. Ma quali aziende hanno esportato? Per rispondere a questa domanda il direttore di Altreconomia è andato a spulciare la Relazione parlamentare che per legge (la 185 del 1990) il governo è tenuto a presentare al Parlamento ogni anno. Scorrendo l’ultima, relativa all’anno 2023, si rileva che tra le ditte con autorizzazioni per esportazioni definitive in Israele (il Paese “utilizzatore finale”) c’è anche la lecchese Invernizzi presse per poco meno di 540mila euro. Questa infatti si occupa, come spiega sul proprio sito, di “attrezzature rivoluzionarie per la produzione di munizioni”. Lo scorso anno, si legge nella Relazione governativa, avrebbe esportato tra gli altri anche in Qatar, Brasile, Polonia, India, Stati Uniti. Facchini ha raccontato di aver chiesto una intervista alla società per capire di più del legame commerciale con Tel Aviv, senza successo.
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Il presidio al termine del corte "Disarmiamo la Fiocchi"

Poi è stato affrontato il tema della Fiocchi Munizioni, che, come ha chiarito in premessa Facchini, non risulta tra le ditte che avrebbero “esportato definitivamente” materiale autorizzato da Uama nel 2023 verso Israele. Questa rimane comunque tra le prime aziende d’armi italiane: nel 2023 si è collocata al 14esimo posto per valore delle autorizzazioni all’export, per quasi 43 milioni di euro. 

Facchini ha ripercorso brevemente le principali caratteristiche societarie: Fiocchi Munizioni a fine marzo di quest’anno conta oltre 800 dipendenti ed è sottoposta alla direzione e coordinamento da parte della multinazionale CSG battente bandiera della Repubblica Ceca. Non essendo ancora pubblicato il bilancio 2023, Facchini ha ripreso i dati economici del 2022, con oltre 204 milioni di euro di ricavi (in fortissima crescita rispetto al 2021), che per quasi due terzi dipendono non dal settore caccia e tiro bensì, come si legge nel bilancio depositato presso la Camera di Commercio, dal settore “industria e difesa”.
M.V.
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