Casa della comunità: come non sprecare una opportunità
Tra gli obiettivi principali del post pandemia, vi era sicuramente la Sanità sul territorio. Quella che più aveva sofferto nel periodo pandemico. A questo riguardo molti dei fondi del PNRR sono stati allocati su questa problematica.
Una delle principali realizzazioni previste a riguardo, erano le Case della Comunità.
Il 29 Aprile 2022 veniva inaugurata quella di Olgiate Molgora (la prima nel lecchese) dall’allora assessore Moratti. Come siamo messi a più di due anni di distanza da quell'evento? Se si guardano le dichiarazioni fatte allora, molta strada c’è ancora da fare!
Nella nostra provincia alcune sono ancora in fase di costruzione (progettazione), altre sono i vecchi poliambulatori della ex ASL a cui è stato dato una mano di vernice, altre realizzate in prossimità degli ospedali (una soluzione semplice ma forse poco utile). In alcune si è cercato di iniziare ad inserire qualche servizio nuovo, come l’infermiere di comunità o il PUA, Punto Unico di Accesso (sarebbe stato più facile chiamarlo Punto di accoglienza e strutturarlo di conseguenza).
Le motivazioni di questa situazione, simile ad altre non solo nel lecchese e non solo in Lombardia, sono complesse, ed una analisi approfondita, peraltro utile, comporterebbe molto più tempo e richiederebbe molta più pazienza a chi ci legge. Sicuramente finché non sarà sciolto il nodo della presenza ed organizzazione nelle Case di Comunità dei medici di famiglia, problematica che ha risvolti sindacali nazionali tuttora irrisolti, assicurando nello stesso tempo una loro presenza capillare sul territorio, sarà difficile far si che queste strutture possano dare un supporto concreto. Quindi entrare nel merito è sicuramente difficile e complesso, ma forse qualche considerazione in più sul metodo è possibile farla.
Semplificando, ma non di molto, tutto sta in un problema paradossalmente di tipo grammaticale. La normativa nazionale parla di “Casa della Comunità” mentre la declinazione lombarda tratta di “Case di Comunità”. Sembra una differenza banale ma è proprio il concetto di “Comunità” che deve essere messo a fuoco, e forse può rappresentare un possibile approccio per uscire dalla situazione di sostanziale “stallo” in cui queste strutture si trovano. Ed insieme a loro le opportunità per la nostra salute.
Essere “della Comunità” significa essere l'espressione di una entità ben delineata, che si declina e porta con se “bisogni di salute” ben definiti, come anche la necessità di percorsi personalizzati per dare risposte utili ed efficaci.
L’impressione è che oggi l’introduzione delle “Case della Comunità” segua lo stesso approccio dei poliambulatori dell'ex Asl: se ho risorse metto un servizio, se non ci sono si deve aspettare. Oggi più che mai sarebbe necessario un capovolgimento di questo approccio, facendosi che la “Comunità” divenga sia attore ma anche protagonista della propria salute e della organizzazione del proprio luogo di cura. Nella “Comunità” ci sono anche le aspettative sui temi della prevenzione, della educazione sanitaria (con la scuola in primo piano), dell’informazione (basti pensare alla popolazione anziana che sempre più fa fatica ad accedere a queste) che sono diverse dalla città al paese di montagna, da chi è prossimo ad un ospedale da chi vive lontano da ogni struttura sanitaria.
La “Comunità” è composta prima di tutto dai Comuni e quindi dai sindaci e dai loro delegati, che, non dimentichiamo, tra tutti gli attori coinvolti in questa progettualità, sono gli unici eletti dei propri concittadini. Ma c’è anche il terzo settore, il volontariato, che spesso svolge attività sussidiarie nel cercare soluzioni ai problemi, ma anche gli stessi operatori sanitari medici, infermieri, farmacisti, che su quel territorio lavorano e che conoscono in modo peculiare ed approfondito le necessità di salute di quella specifica popolazione.
Quindi un insieme di soggetti che fanno e che formano la “Comunità” di cui la struttura “Casa della Comunità” dovrebbe essere la realizzazione tecnica operativa di una serie di soluzioni condivise e compartecipate.
Prima dell'inaugurazione della Casa della comunità di Olgiate Molgora si era iniziato un pallido tentativo di “coprogettazione “ (espressione spesso usata nelle normative ma nel concreto poco praticata).
Probabilmente è da lì che bisognerebbe ripartire, pensando per ogni “Casa delle Comunità” ad una struttura (Comitato, Tavolo, Gruppo o qualcosa di simile) che raccolga insieme le espressioni prima citate della “Comunità” insieme ai referenti istituzionali sanitari e socio sanitari. Insieme si potrebbe progettare per ogni realtà un vero e proprio “Piano Operativo” con degli obiettivi di salute e di prevenzione chiari e misurabili , in cui ci sia anche qualche forma di condivisione con la popolazione di riferimento (empowerment di comunità)
La salute è un concetto che oggi ha diverse declinazioni: assistenza domiciliare, approccio sociosanitario, facilità di accesso alle prestazioni, etc. Se tutto questo viene trattato nella “Comunità” avrà sicuramente più possibilità di essere efficace e utile.
Sicuramente un problema che sino ad ora ha avuto poca attenzione ma è fondamentale per tutto questo, è quello della governance, ovvero qualcuno che sappia fare da regia e da sintesi, ma anche capace di decidere e, soprattutto ,assumendosene la responsabilità.
Forse il tempo delle soluzioni tampone e delle belle verniciature è finito e c'è necessità di concertare, organizzare, condividere e anche di avere coraggio: il coraggio di osare!
Una delle principali realizzazioni previste a riguardo, erano le Case della Comunità.
Il 29 Aprile 2022 veniva inaugurata quella di Olgiate Molgora (la prima nel lecchese) dall’allora assessore Moratti. Come siamo messi a più di due anni di distanza da quell'evento? Se si guardano le dichiarazioni fatte allora, molta strada c’è ancora da fare!
Nella nostra provincia alcune sono ancora in fase di costruzione (progettazione), altre sono i vecchi poliambulatori della ex ASL a cui è stato dato una mano di vernice, altre realizzate in prossimità degli ospedali (una soluzione semplice ma forse poco utile). In alcune si è cercato di iniziare ad inserire qualche servizio nuovo, come l’infermiere di comunità o il PUA, Punto Unico di Accesso (sarebbe stato più facile chiamarlo Punto di accoglienza e strutturarlo di conseguenza).
Le motivazioni di questa situazione, simile ad altre non solo nel lecchese e non solo in Lombardia, sono complesse, ed una analisi approfondita, peraltro utile, comporterebbe molto più tempo e richiederebbe molta più pazienza a chi ci legge. Sicuramente finché non sarà sciolto il nodo della presenza ed organizzazione nelle Case di Comunità dei medici di famiglia, problematica che ha risvolti sindacali nazionali tuttora irrisolti, assicurando nello stesso tempo una loro presenza capillare sul territorio, sarà difficile far si che queste strutture possano dare un supporto concreto. Quindi entrare nel merito è sicuramente difficile e complesso, ma forse qualche considerazione in più sul metodo è possibile farla.
Semplificando, ma non di molto, tutto sta in un problema paradossalmente di tipo grammaticale. La normativa nazionale parla di “Casa della Comunità” mentre la declinazione lombarda tratta di “Case di Comunità”. Sembra una differenza banale ma è proprio il concetto di “Comunità” che deve essere messo a fuoco, e forse può rappresentare un possibile approccio per uscire dalla situazione di sostanziale “stallo” in cui queste strutture si trovano. Ed insieme a loro le opportunità per la nostra salute.
Essere “della Comunità” significa essere l'espressione di una entità ben delineata, che si declina e porta con se “bisogni di salute” ben definiti, come anche la necessità di percorsi personalizzati per dare risposte utili ed efficaci.
L’impressione è che oggi l’introduzione delle “Case della Comunità” segua lo stesso approccio dei poliambulatori dell'ex Asl: se ho risorse metto un servizio, se non ci sono si deve aspettare. Oggi più che mai sarebbe necessario un capovolgimento di questo approccio, facendosi che la “Comunità” divenga sia attore ma anche protagonista della propria salute e della organizzazione del proprio luogo di cura. Nella “Comunità” ci sono anche le aspettative sui temi della prevenzione, della educazione sanitaria (con la scuola in primo piano), dell’informazione (basti pensare alla popolazione anziana che sempre più fa fatica ad accedere a queste) che sono diverse dalla città al paese di montagna, da chi è prossimo ad un ospedale da chi vive lontano da ogni struttura sanitaria.
La “Comunità” è composta prima di tutto dai Comuni e quindi dai sindaci e dai loro delegati, che, non dimentichiamo, tra tutti gli attori coinvolti in questa progettualità, sono gli unici eletti dei propri concittadini. Ma c’è anche il terzo settore, il volontariato, che spesso svolge attività sussidiarie nel cercare soluzioni ai problemi, ma anche gli stessi operatori sanitari medici, infermieri, farmacisti, che su quel territorio lavorano e che conoscono in modo peculiare ed approfondito le necessità di salute di quella specifica popolazione.
Quindi un insieme di soggetti che fanno e che formano la “Comunità” di cui la struttura “Casa della Comunità” dovrebbe essere la realizzazione tecnica operativa di una serie di soluzioni condivise e compartecipate.
Prima dell'inaugurazione della Casa della comunità di Olgiate Molgora si era iniziato un pallido tentativo di “coprogettazione “ (espressione spesso usata nelle normative ma nel concreto poco praticata).
Probabilmente è da lì che bisognerebbe ripartire, pensando per ogni “Casa delle Comunità” ad una struttura (Comitato, Tavolo, Gruppo o qualcosa di simile) che raccolga insieme le espressioni prima citate della “Comunità” insieme ai referenti istituzionali sanitari e socio sanitari. Insieme si potrebbe progettare per ogni realtà un vero e proprio “Piano Operativo” con degli obiettivi di salute e di prevenzione chiari e misurabili , in cui ci sia anche qualche forma di condivisione con la popolazione di riferimento (empowerment di comunità)
La salute è un concetto che oggi ha diverse declinazioni: assistenza domiciliare, approccio sociosanitario, facilità di accesso alle prestazioni, etc. Se tutto questo viene trattato nella “Comunità” avrà sicuramente più possibilità di essere efficace e utile.
Sicuramente un problema che sino ad ora ha avuto poca attenzione ma è fondamentale per tutto questo, è quello della governance, ovvero qualcuno che sappia fare da regia e da sintesi, ma anche capace di decidere e, soprattutto ,assumendosene la responsabilità.
Forse il tempo delle soluzioni tampone e delle belle verniciature è finito e c'è necessità di concertare, organizzare, condividere e anche di avere coraggio: il coraggio di osare!
Marco Magri, Medico