Caso Gilardi: Giovanni Colombo, il prof. Peluso e il papà di Brahim al processo per diffamazione
Un'altra giornata, quella di ieri in Tribunale, interamente dedicata al processo che vede come presunta parte lesa l'avvocato Elena Barra, all'epoca dei fatti amministratrice di sostegno di Carlo Gilardi, e come imputati le due giornaliste della trasmissione “Le iene”, Carlotta Bizzari e Giovanna “Nina” Palmieri e l'ex badante dell'anziano airunese, Brahim El Mazoury, tutti accusati di diffamazione.
Davanti al giudice Gianluca Piantadosi, è comparso Pier Clemente Peluso, collega ai tempi dell'insegnamento presso l'istituto Badoni e amico di vecchia data di Gilardi. Un legame iniziato proprio a scuola in quanto entrambi professori di tecnologia rurale, matematica finanziaria, economia, estimo legale, civile e catastale e proseguito anche fuori, con incontri presso l'abitazione del Cerè.
L'airunese è stato tratteggiato dal teste, esattamente come fatto da tutti coloro che si sono trovati a parlare di lui: persona colta, affabile, particolarmente generosa con il prossimo, propensa al perdono, con un'ampia disponibilità economica, ma per nulla interessata al denaro.
“Metteva la pensione nel cassetto e io gli dicevo di stare attento che con tutte le persone che giravano per casa, qualcuno avrebbe potuto fargliela sparire. Lui rispondeva: evidentemente aveva bisogno di soldi più di me” ha ricordato Peluso.
La notizia del ricovero in istituto, ha aggiunto ancora il teste, gli era giunta attraverso la trasmissione “Le Iene”, su segnalazione della figlia.
“Dopo un anno e mezzo di inutili tentativi di contattare Carlo mi sono deciso a parlare con la trasmissione. Quando avevo sentito l'amministratrice di sostegno mi era stato detto che non era il caso di andarlo a trovare e che in breve tempo si sarebbe sistemato il Cerè per farlo tornare a casa”.
L'incontro tra Peluso e Gilardi avviene una domenica, nel corso di una santa Messa celebrata presso l'istituto Airoldi e Muzzi a cui l'ex collega del professore partecipa appositamente, conoscendo la sua fede religiosa.
“E' stato molto felice di vedermi, mi sono seduto accanto a lui e poi l'ho riaccompagnato in camera. Mi ha detto che se avesse voluto uscire da lì aveva già trovato come fare ma non voleva mettere in difficoltà le persone addette alla sorveglianza. Lì si sentiva inutile, diceva di vegetare. Era arrabbiato con noi perchè diceva che ogni volta che la storia finiva in televisione lui veniva sgridato. Gli ho chiesto da chi ma non mi ha risposto”.
Incalzato dall'avvocato Elena Ammannato di parte civile sull'autorizzazione a divulgare immagini e video, il teste ha risposto che Carlo non gli impediva di fare fotografie ma di limitarsi per via dei rimproveri che poi subiva.
“Era una persona straordinaria, che aveva dedicato la vita ad aiutare gli altri, amava la sua libertà e voleva vivere alla sua maniera, libero con i suoi animali. L'ultima volta che lo avevo visto risale all'anno della laurea, non pensava che ce l'avrei fatta e invece sono andato da lui a comunicarglielo. Ho saputo che era in una Rsa tramite le Iene e mi sono chiesto come fosse possibile conoscendo Carlo che avesse cambiato stile di vita. Sul caso mi ero espresso in consiglio comunale dicendo che non era giusto che non si dicesse nulla sulla vicenda. Durante una manifestazione fuori dalla Rsa una donna in auto, uscita dal parcheggio dei dipendenti, mi aveva chiamato e mi aveva consegnato una busta. La lettera all'interno presentava una serie di critiche sulla Rsa ma non ho ritenuto di fare nulla, non l'ho portata in consiglio e quando sono stato contattato dalle Iene l'ho consegnata a a loro”.
E' stata poi la volta di Lahcem El Mazouri, papà di Brahim, primo a fare la conoscenza di Carlo, nel giugno del 1990, arrivato da pochi mesi in Italia e ospite di una volontaria del Mandic. Assunto presso una azienda di Olginate, che raggiungeva da Merate in bici, era stato poi accolto dal professore ad Airuno e dallo zio Franco. Trovata un po' di stabilità economica era riuscito a far arrivare i figli, nel 1993, e per 10 anni aveva abitato al piano superiore dell'immobile dove c'era Carlo fino a quando aveva acquistato un appartamento a Brivio.
“Carlo è stato come un parente per i miei figli, li curava e li ha istruiti, andava a parlare con i professori. Quando a Brahim (l'imputato, ndr) hanno trovato un problema al cuore è venuto con me all'ospedale di Bergamo dove lo hanno operato, non ci ha lasciati soli”.
Il teste ha poi ricordato il giorno del “prelievo” di Carlo dalla casa di Brivio, dove a suo dire si era recato per non andare in Rsa e in quanto il Cerè non era considerato idoneo. “Sono stati lì (carabinieri, sanitari, amministratore di sostegno) più di due e lo hanno portato via con la forza, lui non voleva andare. Ha tentato di scappare in cucina ma lo hanno preso. Non abbiamo più saputo dove era stato portato sino alla messa in onda della trasmissione”.
Invitato a riconoscere una lettera manoscritta firmata da Carlo Gilardi, il teste ha negato di averla mai vista e di non riuscire a leggere il carattere corsivo. Il giudice non ha così ammesso il documento.
Il processo continua con l'audizione dei restanti testi, già calendarizzati.
Davanti al giudice Gianluca Piantadosi, è comparso Pier Clemente Peluso, collega ai tempi dell'insegnamento presso l'istituto Badoni e amico di vecchia data di Gilardi. Un legame iniziato proprio a scuola in quanto entrambi professori di tecnologia rurale, matematica finanziaria, economia, estimo legale, civile e catastale e proseguito anche fuori, con incontri presso l'abitazione del Cerè.
L'airunese è stato tratteggiato dal teste, esattamente come fatto da tutti coloro che si sono trovati a parlare di lui: persona colta, affabile, particolarmente generosa con il prossimo, propensa al perdono, con un'ampia disponibilità economica, ma per nulla interessata al denaro.
“Metteva la pensione nel cassetto e io gli dicevo di stare attento che con tutte le persone che giravano per casa, qualcuno avrebbe potuto fargliela sparire. Lui rispondeva: evidentemente aveva bisogno di soldi più di me” ha ricordato Peluso.
La notizia del ricovero in istituto, ha aggiunto ancora il teste, gli era giunta attraverso la trasmissione “Le Iene”, su segnalazione della figlia.
“Dopo un anno e mezzo di inutili tentativi di contattare Carlo mi sono deciso a parlare con la trasmissione. Quando avevo sentito l'amministratrice di sostegno mi era stato detto che non era il caso di andarlo a trovare e che in breve tempo si sarebbe sistemato il Cerè per farlo tornare a casa”.
L'incontro tra Peluso e Gilardi avviene una domenica, nel corso di una santa Messa celebrata presso l'istituto Airoldi e Muzzi a cui l'ex collega del professore partecipa appositamente, conoscendo la sua fede religiosa.
“E' stato molto felice di vedermi, mi sono seduto accanto a lui e poi l'ho riaccompagnato in camera. Mi ha detto che se avesse voluto uscire da lì aveva già trovato come fare ma non voleva mettere in difficoltà le persone addette alla sorveglianza. Lì si sentiva inutile, diceva di vegetare. Era arrabbiato con noi perchè diceva che ogni volta che la storia finiva in televisione lui veniva sgridato. Gli ho chiesto da chi ma non mi ha risposto”.
Incalzato dall'avvocato Elena Ammannato di parte civile sull'autorizzazione a divulgare immagini e video, il teste ha risposto che Carlo non gli impediva di fare fotografie ma di limitarsi per via dei rimproveri che poi subiva.
A testimoniare è stato poi Giovanni Colombo, all'epoca dei fatti consigliere comunale di Lecco e che con Gilardi aveva una conoscenza "risalente agli anni di gioventù" quando il professore gli impartiva ripetizioni.
“Era una persona straordinaria, che aveva dedicato la vita ad aiutare gli altri, amava la sua libertà e voleva vivere alla sua maniera, libero con i suoi animali. L'ultima volta che lo avevo visto risale all'anno della laurea, non pensava che ce l'avrei fatta e invece sono andato da lui a comunicarglielo. Ho saputo che era in una Rsa tramite le Iene e mi sono chiesto come fosse possibile conoscendo Carlo che avesse cambiato stile di vita. Sul caso mi ero espresso in consiglio comunale dicendo che non era giusto che non si dicesse nulla sulla vicenda. Durante una manifestazione fuori dalla Rsa una donna in auto, uscita dal parcheggio dei dipendenti, mi aveva chiamato e mi aveva consegnato una busta. La lettera all'interno presentava una serie di critiche sulla Rsa ma non ho ritenuto di fare nulla, non l'ho portata in consiglio e quando sono stato contattato dalle Iene l'ho consegnata a a loro”.
E' stata poi la volta di Lahcem El Mazouri, papà di Brahim, primo a fare la conoscenza di Carlo, nel giugno del 1990, arrivato da pochi mesi in Italia e ospite di una volontaria del Mandic. Assunto presso una azienda di Olginate, che raggiungeva da Merate in bici, era stato poi accolto dal professore ad Airuno e dallo zio Franco. Trovata un po' di stabilità economica era riuscito a far arrivare i figli, nel 1993, e per 10 anni aveva abitato al piano superiore dell'immobile dove c'era Carlo fino a quando aveva acquistato un appartamento a Brivio.
“Carlo è stato come un parente per i miei figli, li curava e li ha istruiti, andava a parlare con i professori. Quando a Brahim (l'imputato, ndr) hanno trovato un problema al cuore è venuto con me all'ospedale di Bergamo dove lo hanno operato, non ci ha lasciati soli”.
Il teste ha poi ricordato il giorno del “prelievo” di Carlo dalla casa di Brivio, dove a suo dire si era recato per non andare in Rsa e in quanto il Cerè non era considerato idoneo. “Sono stati lì (carabinieri, sanitari, amministratore di sostegno) più di due e lo hanno portato via con la forza, lui non voleva andare. Ha tentato di scappare in cucina ma lo hanno preso. Non abbiamo più saputo dove era stato portato sino alla messa in onda della trasmissione”.
Invitato a riconoscere una lettera manoscritta firmata da Carlo Gilardi, il teste ha negato di averla mai vista e di non riuscire a leggere il carattere corsivo. Il giudice non ha così ammesso il documento.
Il processo continua con l'audizione dei restanti testi, già calendarizzati.
S.V.