ASST Lecco, Gedeone Baraldo, direttore sanitario del Manzoni e dell'Umberto I al traguardo della pensione: 'ce l'ho messa tutta'
Giovedì 20 giugno compirà 70 anni. Un compleanno da incorniciare, di quelli che ti cambiano la vita, un po' come il diciottesimo quando – da un giorno con l'altro – ci si sente grandi e indipendenti. Gedeone Baraldo, direttore sanitario dell'Ospedale Manzoni di Lecco e dell'Umberto I di Bellano e, prima ancora, del Mandic di Merate, tra due settimane esatte, spenta la candelina sulla torta, si congederà dall'ASST, completando – come sottolinea lui stesso – dopo Claudio Bonato di Patologia Clinica e Francesco Guerreschi del Centro Ilizarov, il trio di freschi settantenni che, in questo 2024, hanno raggiunto il traguardo della pensione. Una “meta” segnata da Baraldo dopo ben 35 anni di servizio nella sanità pubblica.
Specializzato dapprima in Medicina Fisica e Riabilitazione, poi in Igiene e Medicina Preventiva, indirizzo Organizzazione dei servizi ospedalieri, ha trascorso i primi anni della carriera all'allora USSL di Cremona per poi approdare, sei anni dopo, a Garbagnate Milanese e successivamente, quale coordinatore, al Distretto socio sanitario di base di Paderno Dugnano.
Vice direttore medico del Salvini di Garbagnate fino al 2000, ha trascorso poi i successivi 8 anni alla Direzione Generale Sanità di Regione Lombardia, occupandosi in prima persona – tra le altre cose - dell'organizzazione della Rete Malattie Rare, “ancora oggi citata come bell'esempio, prevedendo non solo di seguire i pazienti nei centri specializzati, ma anche, poi, sul territorio, nel loro ambiente sociale”.
Nel 2008 l'ingresso in quella che è ora l'ASST di Lecco, da direttore sanitario del Mandic, sua “casa” per ben 6 anni, per poi occuparsi a scavalco dei tre presidi e stabilirsi, infine, definitivamente al Manzoni, mantenendo anche l'impegno all'Umberto I.
“Posso dire che ce l'ho messa tutta” sostiene, chiamato a tracciare un bilancio di questi sette lustri in camice. La chiacchierata si svolge nel suo studio, tappezzato di carta, al piano – 1 del nosocomio di via dell'Eremo. Sono le 18, passate. Il cellulare squilla una prima volta per un problema al 4° piano per il quale forse c'è da attivare il manutentore: “finisco e vengo a vedere di persona”, assicura al suo interlocutore. Poi suona il fisso, risponde. E infine alla porta si presenta un RAD che accoglie comunque in ufficio, senza badare all'orario.
Come farà dal 21 giugno? “Ho una famiglia, non mi annoierò” assicura, non nascondendo preoccupazione per i bandi che vanno deserti e la disaffezione che i giovani stanno dimostrando verso gli ospedali di periferia, preferendo rimanere ancorati a quelli universitari.
“Non ho mai visto fiumi di denaro destinati alla risorse umane, ma ora si fa davvero fatica a trovare il personale. C'è carenza di medici e soprattutto di infermieri” evidenzia parlando in generale, citando anche la fatica per garantire in tale situazione le prestazioni nei tempi di garanzia stabiliti, per poi rimarcare come l'ASST di Lecco sia in comunque un'Azienda “molto avanzata”, un'Azienda di alta specializzazione che gratifica dunque anche chi vi lavora. E allo stesso tempo un'Azienda che ha “fatto scuola” nell'assistenza domiciliare integrata con il suo Dipartimento Fragilità sempre attento al territorio. “Una bella Azienda” insomma. “Abito a Milano, ma con entusiasmo ho lavorato qui”.
“Al mio arrivo, nel 2008, il dualismo Merate-Lecco era molto accentuato” aggiunge poi, sollecitato sul punto, avendo diretto entrambi i presidi. “Negli anni si è cercato di diversificare i servizi sanitari offerti, con un'articolazione differente. Il Mandic è ora un po' più orientato sulle specialità di base, riabilitazione cure subacute. E ci sarà anche a Merate un ospedale di comunità, a Bellano, dove è presente anche la CRA”.
Sempre a Merate è legato uno dei momenti più belli dell'esperienza lecchese: “ricordo anche il Natale del 2008, il mio primo Natale al Mandic: venne mandato in onda a un TG nazionale un servizio perché avevamo tagliato il traguardo dei 1.100 bambini nati”. Un numero che oggi impressiona, anche in considerazione della recente chiusura del Punto nascite del nosocomio di via Cerri.
“Sempre a Merate – aggiunge Baraldo – ho gestito ben dieci traslochi dal vecchio al nuovo dopo l'ottenimento dei finanziamenti per l'ammodernamento dei reparti ospedalieri”. E tra i vari tagli del nastro, come dimenticare l'avvio a Lecco della Cardiochirurgia, “un importante impulso per il Dipartimento cardiotoracovascolare”.
Il periodo del Covid, invece, la parentesi più buia di 35 anni di carriera: “la pandemia è arrivata del tutto inaspettata, non eravamo pronti. Io stesso sono stato tra i primi ad ammalarmi, qui, sul fronte. Tornano dopo un mese e mezzo di malattia sono venuto a sapere di quattro amici-colleghi morti, uno di Vimercate e tre di Cremona: non nascondo lo sconforto, si è spento l'entusiasmo... Poi c'è stata la reazione, con l'avvio, a meno di un anno dall'inizio dell'emergenza, della campagna vaccinale. Da igienista, comunque, non avrei mai pensato di trovarmi a fronteggiare nel 2020 una pandemia... Eravamo disarmati. Da guarito ho donato cinque volte il plasma, perché avevo molti anticorpi: inizialmente era l'unico strumento che sembravamo avere e funzionare...”.
Ricordi che portano alla commozione. Per fortuna ormai lontani.
“Dobbiamo infondere coraggio ai giovani, coraggio soprattutto di perseguire la vocazione di essere medico, di cercare il bene dei pazienti e di non demordere davanti alle difficoltà. Ce l'abbiamo fatta e ce la faremo sempre”.
Specializzato dapprima in Medicina Fisica e Riabilitazione, poi in Igiene e Medicina Preventiva, indirizzo Organizzazione dei servizi ospedalieri, ha trascorso i primi anni della carriera all'allora USSL di Cremona per poi approdare, sei anni dopo, a Garbagnate Milanese e successivamente, quale coordinatore, al Distretto socio sanitario di base di Paderno Dugnano.
Vice direttore medico del Salvini di Garbagnate fino al 2000, ha trascorso poi i successivi 8 anni alla Direzione Generale Sanità di Regione Lombardia, occupandosi in prima persona – tra le altre cose - dell'organizzazione della Rete Malattie Rare, “ancora oggi citata come bell'esempio, prevedendo non solo di seguire i pazienti nei centri specializzati, ma anche, poi, sul territorio, nel loro ambiente sociale”.
Nel 2008 l'ingresso in quella che è ora l'ASST di Lecco, da direttore sanitario del Mandic, sua “casa” per ben 6 anni, per poi occuparsi a scavalco dei tre presidi e stabilirsi, infine, definitivamente al Manzoni, mantenendo anche l'impegno all'Umberto I.
“Posso dire che ce l'ho messa tutta” sostiene, chiamato a tracciare un bilancio di questi sette lustri in camice. La chiacchierata si svolge nel suo studio, tappezzato di carta, al piano – 1 del nosocomio di via dell'Eremo. Sono le 18, passate. Il cellulare squilla una prima volta per un problema al 4° piano per il quale forse c'è da attivare il manutentore: “finisco e vengo a vedere di persona”, assicura al suo interlocutore. Poi suona il fisso, risponde. E infine alla porta si presenta un RAD che accoglie comunque in ufficio, senza badare all'orario.
Come farà dal 21 giugno? “Ho una famiglia, non mi annoierò” assicura, non nascondendo preoccupazione per i bandi che vanno deserti e la disaffezione che i giovani stanno dimostrando verso gli ospedali di periferia, preferendo rimanere ancorati a quelli universitari.
“Non ho mai visto fiumi di denaro destinati alla risorse umane, ma ora si fa davvero fatica a trovare il personale. C'è carenza di medici e soprattutto di infermieri” evidenzia parlando in generale, citando anche la fatica per garantire in tale situazione le prestazioni nei tempi di garanzia stabiliti, per poi rimarcare come l'ASST di Lecco sia in comunque un'Azienda “molto avanzata”, un'Azienda di alta specializzazione che gratifica dunque anche chi vi lavora. E allo stesso tempo un'Azienda che ha “fatto scuola” nell'assistenza domiciliare integrata con il suo Dipartimento Fragilità sempre attento al territorio. “Una bella Azienda” insomma. “Abito a Milano, ma con entusiasmo ho lavorato qui”.
“Al mio arrivo, nel 2008, il dualismo Merate-Lecco era molto accentuato” aggiunge poi, sollecitato sul punto, avendo diretto entrambi i presidi. “Negli anni si è cercato di diversificare i servizi sanitari offerti, con un'articolazione differente. Il Mandic è ora un po' più orientato sulle specialità di base, riabilitazione cure subacute. E ci sarà anche a Merate un ospedale di comunità, a Bellano, dove è presente anche la CRA”.
Sempre a Merate è legato uno dei momenti più belli dell'esperienza lecchese: “ricordo anche il Natale del 2008, il mio primo Natale al Mandic: venne mandato in onda a un TG nazionale un servizio perché avevamo tagliato il traguardo dei 1.100 bambini nati”. Un numero che oggi impressiona, anche in considerazione della recente chiusura del Punto nascite del nosocomio di via Cerri.
“Sempre a Merate – aggiunge Baraldo – ho gestito ben dieci traslochi dal vecchio al nuovo dopo l'ottenimento dei finanziamenti per l'ammodernamento dei reparti ospedalieri”. E tra i vari tagli del nastro, come dimenticare l'avvio a Lecco della Cardiochirurgia, “un importante impulso per il Dipartimento cardiotoracovascolare”.
Il periodo del Covid, invece, la parentesi più buia di 35 anni di carriera: “la pandemia è arrivata del tutto inaspettata, non eravamo pronti. Io stesso sono stato tra i primi ad ammalarmi, qui, sul fronte. Tornano dopo un mese e mezzo di malattia sono venuto a sapere di quattro amici-colleghi morti, uno di Vimercate e tre di Cremona: non nascondo lo sconforto, si è spento l'entusiasmo... Poi c'è stata la reazione, con l'avvio, a meno di un anno dall'inizio dell'emergenza, della campagna vaccinale. Da igienista, comunque, non avrei mai pensato di trovarmi a fronteggiare nel 2020 una pandemia... Eravamo disarmati. Da guarito ho donato cinque volte il plasma, perché avevo molti anticorpi: inizialmente era l'unico strumento che sembravamo avere e funzionare...”.
Ricordi che portano alla commozione. Per fortuna ormai lontani.
“Dobbiamo infondere coraggio ai giovani, coraggio soprattutto di perseguire la vocazione di essere medico, di cercare il bene dei pazienti e di non demordere davanti alle difficoltà. Ce l'abbiamo fatta e ce la faremo sempre”.
A.M.