Lecco: per la 'generazione Z' gli immigrati non son troppi ma sulla microcriminalità...

Le “differenze” fanno ormai parte della realtà e i giovani ne sono consapevoli, le accettano e abbandonano quella serie di stereotipi ancora molto forti una decina di anni fa e che resistono nella popolazione più matura e anziana. Il mondo è cambiato e così anche la percezione dello “straniero” che tale più non è perché vive e cresce in mezzo a noi.
E’, in sintesi, il risultato della ricerca condotta dall’associazione “Les Cultures” su un campione di studenti lecchesi e che aggiorna i dati degli analoghi sondaggi effettuati nel 1999 e nel 2010, evidenziando appunto una radicale mutazione della mentalità e di quello che solitamente viene definito il “comune sentire”.
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Maria Grazia Zanetti e Andrea Panizza

La ricerca è stata condotta nell’ambito del progetto “Nuove identità meticce” sostenuto dalla Fondazione comunitaria del Lecchese e sviluppato in collaborazione con l’associazione “Alliance of baime voices” promossa del nostro territorio per favorire l’integrazione culturale che ancora rappresenta il nodo che la politica dovrebbe sciogliere e che invece non affronta.
Nel sondaggio di quest’anno è stato interrogato un campione di studenti uguale a quello interpellato nelle precedenti ricerche, vale a dire le classi quarte di alcuni istituti superiori (Istituto Parini, Istituto Fiocchi, Istituto Bertacchi, Liceo Grassi, Istituto Badoni, Istituto Rota, Liceo Medardo Rosso): complessivamente 307 ragazzi, distribuiti in 19 classi e 7 scuole. Tra loro, certo, anche giovani di radice straniera, ma il campione è comunque costituito per il 91% di italiani originari. I risultati sono stati illustrati, nel corso di un incontro alla sede di “Les Cultures” a Lecco con l’intervento di Maria Grazia Zanetti e Andrea Panizza.
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I dati fanno registrare dunque una maggior consapevolezza. Rispetto al 2010, per esempio, cresce in modo significativo la percentuale di ragazzi che ha una percezione corretta della dimensione del fenomeno migratorio che diventa ancora più consistente quando si scende ad analizzare la presenza di “stranieri” a livello locale. Ed è crollato lo stereotipo che la presenza di stranieri sia eccessiva: se nel 1999 era il 60% degli intervistati a dire che ve ne fossero troppi, oggi sono il 19%. E cadono altri stereotipi: quello che gli immigrati tolgono lavoro agli italiani (la pensava così il 46% e oggi solo il 12%); anzi, il 60% ritiene che il contributo dei lavoratori immigrati sia fondamentale per il nostro Paese. Altro stereotipo, l’immigrato portatore di malattie: lo riteneva il 34% ora il 14 o che costituisca un pericolo per la nostra identità (dal 36 al 21%). Cala, pur restando forte, anche il dato relativo alla convinzione che gli immigrati accrescano la malavita: dal 71 al 44%; un dato che resta alto perché legato al fenomeno della cosiddetta microcriminalità che è comunque quello maggiormente percepito non solo per un’inquietudine diffusa ma anche per quei piccoli episodi che in qualche modo toccano tutti. Ed è uno degli aspetti sui quali riflettere – ha sottolineato Zanetti – riconsiderano gli interventi della politica perché se sul fronte dell’integrazione economica si è lavorato non così su quello dell’integrazione culturale. Recenti episodi cittadini come le risse nella zona della stazione ferroviaria cittadina e di via Volta costituiscono appunto la rappresentazione di questo problema. E infatti il 64% degli intervistati ritiene che l’immigrazione abbia peggiorato le condizioni di sicurezza a Lecco (per il 14% è “del tutto vero”, per il 20 “molto” e per il 30 “abbastanza”).
E comunque, a proposito di immigrazione, la fiducia nei confronti dei mezzi di informazione è decisamente problematica: solo il 10% dei ragazzi ritiene infatti che l’informazione sia corretta e bilanciata. Poco più di quell’8% che la ritiene invece molto enfatizzata e slegata dalla realtà. Tra i due estremi, c’è un 50% che le ritiene a tratti esagerata e legata a episodi di cronaca, ma sostanzialmente corretta. E c’è un 30% che la ritiene piuttosto enfatica ed emotiva e parzialmente slegata dalla realtà.
Significativo il dato relativo all’autodefinirsi da parte dei ragazzi più o meno razzista. Sulla cui valutazione influiscono gli stessi ragionamenti necessari alla compilazione del questionario distribuito dai ricercatori. Ai ragazzi è stato infatti chiesto se si autodefinissero razzisti all’inizio e al termine del sondaggio e le risposte sono cambiate. Con esiti sorprendenti. Nel 2010, infatti, era il 22% dei ragazzi che si autodefiniva razzista all’inizio del questionario per salire al 25% alla fine. All’inverso dei quest’anno, quando peraltro i “razzisti” sono calati: quasi il 10% alla domanda iniziale, quasi l’8% alla finale. E cresce anche la consapevolezza sugli atti di razzismo, un tempo magari sottovalutati e oggi invece riconosciuti come tali e in quantità non trascurabile indicando che c’è ancora un gran lavoro da fare: il 44% dei ragazzi dice avere compagni di classe apertamente razzisti, percentuale che sale al 57 se si prende considerazione l’intera scuola, mentre il 40% dice di avere assistito in prima persona a episodi discriminatori o razzisti in ambito scolastico. A questo proposito anche il giudizio sull’atteggiamento degli italiani nei confronti degli immigrati è completamente negativo: è indubbio che secondo i quasi diciottenni lecchesi gli italiani siano un popolo di razzisti. Gli italiani infatti sono considerati poco o nulla comprensivi e solidali (78%), abbastanza e molto diffidenti (84%), con propensione a comportamenti dettati da paura (86%), segnati da tendenza a emarginare chi viene da lontano (72%), persone verso le quali si hanno atteggiamenti segnati da indifferenza (67%). E sulle politiche italiane, i dati fanno rilevare una contrarietà alle politiche più disumane come l’uso della forza per respingere le imbarcazioni, ma anche gli accordi con Paesi non democratici o il trattenimento dei migranti nei Paesi che non garantiscono il rispetto dei diritti umani. «Altrettando interessante – evidenziano da “Les Cultures” - è notare come ci sia una maggioranza di risposte positive alle ipotesi di destinare risorse economiche per favorire l’integrazione in Italia (55%), sia per favorire processi di sviluppo nei Paesi di origine dei migranti (63%)
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Del resto, l’87% dei ragazzi dice di avere amici di origine straniera (era l’85 nel 2010 e il 54 nel 1999). E crolla la convinzione che la maggior presenza di ragazzi stranieri sia una minaccia per la qualità dell’istruzione che è concetto molto diffuso tra i genitori e che certa politica alimenta per tornaconto elettorale. Nel 2010 la pensava così il 18% dei nostri ragazzi, quest’anno poco meno del 7%.
Più articolato l’atteggiamento nei confronti delle usanze religiose o culturali degli immigrati. Se nella sfera privata non ci sono problemi, più complessa è l’istituzionalizzazione delle credenze religiose. Per esempio, l’81% ritiene che alle ragazze debba essere consentito di portare il velo a scuola (era il 39% nel 2010), ma solo il 43% ritiene che la scuola debba valorizzare le culture d’origine (era comunque il 30%) e il 37% che il calendario scolastico debba riconoscere le festività religiose non cattoliche (era il 15%).
Infine, la cittadinanza: il 40% degli intervistati ritiene che uno straniero possa ottenere la cittadinanza italiana dopo 5 anni di permanenza nel nostro Paese, il 34% dopo dieci anni, ben il 20% dopo tre anni e solo il 5% risponde con una “mai”.
Per quanto il campione di ragazzi intervistati sia numericamente ridotto, la sua omogeneità e diffusione in diverse scuole consente di considerare la ricerca una fotografia fedele di quanto pensi la fascia di popolazione dei nati negli anni 2006 e 2007, quella che viene definita la generazione Z. Non è un caso che il rapporto si intitola appunto “Generazione Z: cresciuti nella diversità”. Il documento sarà inoltrato a scuole e istituzioni quale punto di partenza per una riflessione sull’orientamento dei futuri maggiorenni e quindi sulle possibili politiche che dovranno essere adottate a proposito di immigrazione. Se naturalmente non si voglia continuare a preferire le scorciatoie senza sbocco praticate fino a oggi.

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D.C.
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