In viaggio a tempo indeterminato/332: a Hiroshima (pensando a Gaza), città monito per l'umanità

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Ci sono città che basta nominare per farti ritornare alla mente chiaro e vivido un ricordo.
Quando sento nominare questa città, quella che abbiamo visitato qui in Giappone qualche giorno fa, rivedo la pagina del libro di scuola con la foto in bianco e nero di una nuvola a forma di fungo. Sembra così innocua quella nuvola, quasi fosse fatta di panna montata. E se non leggo la didascalia penso "guarda la natura che forme strane che può creare".
Ma la scritta sotto l'immagine manda in frantumi in un istante la mia poetica idea.
"6 Agosto 1945, Bomba atomica sganciata su Hiroshima, Giappone".
Hiroshima e Nagasaki sono due luoghi che chiunque, anche chi a scuola non è mai stato un fan di storia, ha sentito nominare almeno una volta. Le prime e uniche due bombe atomiche mai utilizzate nella storia dell'umanità, sono state lanciate proprio su queste due città.
Mentre studiavo al liceo i fatti avvenuti alla fine della seconda guerra mondiale, ricordo che sì, mi avevano colpito e forse avevo pure pensato che fosse una tragedia immane. Ma, come molte delle vicende che leggevo sui libri di storia, credevo fosse qualcosa di lontano nello spazio e nel tempo, qualcosa di superato che non avrebbe mai toccato né me né chi mi stava vicino.
È passato qualche anno e a Hiroshima ci sono venuta davvero, di persona. E così ho annullato il primo dei due pensieri fatti seduta dietro un banco, perché quel luogo non era più "qualcosa di lontano" ma era tangibile, visitabile, contemplabile.
La storia è uscita dal libro e si è trasformata in cruda realtà davanti alla "Cupola della bomba atomica", lo scheletro dell'edificio rimasto in piedi dopo lo scoppio della bomba.
Poi è diventata rabbia e tristezza davanti al monumento dedicato ai bambini uccisi quel tragico giorno, ma anche a tutti quelli deceduti negli anni successivi a causa di malattie provocate dagli agenti tossici rilasciati.
Per poi trasformarsi in vuoto incolmabile leggendo il numero incredibile di vittime, 200.000.

Piccolo ripassino di storia.
Siamo negli anni della seconda guerra mondiale. Il Giappone, alleato con Italia e Germania, attacca la base militare di Pearl Harbor negli Stati Uniti nel '41, provocando l'entrata ufficiale degli americani nel conflitto.
Gli anni successivi vedono violenti scontri tra i due Paesi, sia in territorio cinese che nelle acque del Pacifico, dove la conquista di ogni isola diventava una guerra in scala ridotta.
In quella fase, la disputa tra giapponesi e statunitensi era molto equilibrata, anche a causa del fortissimo spirito patriottico dell'esercito giapponese, disposto a combattere fino alla morte.
L'evento che, però, spostò pesantemente i pesi sulla bilancia e che cambiò per sempre la storia dell' umanità, avvenne proprio quel fatidico 6 agosto del '45. 
Gli Usa, dopo vari test nucleari, sganciarono la prima bomba atomica chiamata "Little Boy" su Hiroshima, seguita 3 giorni dopo da quella su Nagasaki, chiamata "Fat Man".
La scelta di utilizzare il nucleare venne giustificata dagli Usa con l'intenzione di fermare definitivamente il Giappone ed evitare l'altissimo numero di vittime che avrebbe provocato il protrarsi della guerra.
Questo in breve brevissimo, così breve che sarebbe troppo stringato anche per un bigliettino da nascondere dentro l'astuccio. (Oddio, ma nel 2024 si faranno ancora i bigliettini?).
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Quello che mi preme sottolineare, però, è il vero significato che ebbe quell'evento.
Perché per la prima volta rese evidente la capacità dell'uomo di creare qualcosa in grado di distruggere completamente ogni cosa da lui costruita, incluso il suo stesso mondo. 
A Hiroshima l'umanità dimostrò di essere pronta a usare questo spaventoso potere. 
A Nagasaki, invece, si rese palese che, nonostante l'uomo conoscesse ormai le terribili conseguenze di quel gesto, era comunque pronto a ripeterlo. 
Le due città giapponesi oggi hanno il pesante compito di essere un monito per l'umanità. Servono a non dimenticare quello che è successo per evitare che si ripeta ancora.
E purtroppo, sembra assurdo da dire, ma il loro compito oggi è ancora più arduo. L'adolescente che studiava storia e che fuori dalla finestra della camera aveva appeso la bandiera colorata con la scritta "PACE", era convinta che l'umanità non avrebbe più raggiunto certi livelli e forse per questo dava meno importanza del dovuto a quei fatti e quelle foto stampate sul libro.
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Trovarmi oggi, nel 2024, a Hiroshima invece, mi ha fatto tremare le gambe.
Perché mi ha sbattuto in faccia in modo crudo e diretto quanto la storia si ripeta sempre tristemente.
E a farne le spese non sono mai quelli che dall'alto decidono di sganciare la bomba, ma sempre e solo quelli che stanno sotto e non possono nemmeno scappare.
Lo abbiamo visto ieri e lo vediamo oggi.
I bambini di Hiroshima ieri, come quelli di Gaza oggi. Vittime innocenti di un'umanità che usa il passato per giustificare le atrocità del presente. Un'umanità che non si fa scrupoli nel bombardare un ospedale o una scuola in nome di potere, controllo e assurdi ideali di superiorità.
Ma quello che ci insegna Hiroshima è che esiste anche tutta un'altra Umanità, quella che si ribella a queste scelte folli, che fa sentire la sua voce nelle piazze, in TV, sui social ma anche tra gli amici o a casa. Quella che proprio non ci sta a credere che non possa esistere un mondo senza bombe, senza distruzioni e lotte fratricide. Che poi, per fortuna, resta sempre la maggioranza.
Angela (e Paolo)
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