L'inferno in casa: in Aula il racconto di 20 anni di violenze

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“Sono arrabbiata con me stessa per non aver fatto denuncia prima, ora mi sento come se mi fossi risvegliata”: è apparsa profondamente scossa la donna, nata nell'Est Europa, ma residente nel lecchese, chiamata a raccontare, ieri in Aula, i presunti abusi subiti dal marito nell'arco di 20 anni di matrimonio. Maltrattamenti in famiglia e violenza sessuale aggravata sono i reati per cui si procede davanti al Tribunale di Lecco in composizione collegiale (presieduto dal giudice Bianca Maria Bianchi, a latere i colleghi Paolo Salvatore e Gianluca Piantadosi).
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L'imputato, un 51enne originario della Campania, ha assistito all'udienza accanto al proprio difensore, l'avvocato Francesca Allegra, coperto da un paravento per evitare che il suo sguardo incrociasse quello della ex moglie. “Ho ancora paura di lui” ha infatti confessato la persona offesa.
Secondo il racconto reso, la donna (costituitasi parte civile tramite l'avvocato Laura Rota del foro di Lecco) si è decisa a sporgere denuncia agli uomini della Questura solo nel febbraio dello scorso anno dopo un'aggressione del marito a uno dei loro figli. Quelli vissuti insieme sono stati descritti come anni di soprusi, a partire dalle botte, che la persona offesa avrebbe subito già prima di sposarsi nel 2001, nel silenzio (parrebbe) anche dei famigliari di lui: “mi dicevano che non dovevo farlo arrabbiare, mi hanno insegnato che io dovevo fare di tutto per farlo stare buono”.
Per ben 22 anni la donna non avrebbe fatto altro che subire: insulti, maltrattamenti psicologici e fisici, fino ad arrivare alle vere e proprie violenze sessuali. “Avevo iniziato a utilizzare il rifiuto come protesta, quando lui mi faceva un torto, ma poi lui mi prendeva con la forza” ha spiegato, rispondendo alle domande del pubblico ministero Chiara Stoppioni. “Ti ho sposato per questo” sarebbe stata una delle frasi più frequenti che la donna si sarebbe sentita rivolgere durante i rapporti non consenzienti subiti con frequenza pressoché giornaliera. “Io non potevo protestare: mi teneva ferma, mi riempiva di colpi in faccia, mi intimava di stare zitta per non farmi sentire dai nostri bambini”.
Poi intorno al 2017, sebbene vivesse ancora sotto lo stesso tetto del marito, la denunciate si era rifiutata di dormire nello stesso letto di lui, ricavandosi una stanzetta separata che ogni notte si sarebbe curata di chiudere a chiave. Eppure, nonostante i suoi sforzi, l'ex marito avrebbe trovato anche così il modo di tormentarla: “me lo trovavo addosso, nudo, nel cuore della notte” ha riferito fra i singhiozzi al collegio giudicante “ma io ormai non volevo più subire: gli urlavo di andare via, chiedevo aiuto e arrivava il mio figlio più grande. Così lui scappava”.
Agghiacciante anche la testimonianza resa in Aula proprio dal ragazzo, cui è stato chiesto come prima cosa se gli fosse stato raccontato da parte della madre delle violenze: “non c'era bisogno che mi raccontasse”. Si sarebbe reso conto da solo di tutto fin dalla tenera età il giovane, oggi ventenne, ma non avrebbe mai avuto il coraggio di intervenire se non una volta cresciuto: “Aspettavo che lui andasse a dormire per poter andare a dormire anche io”. 
Il processo è stato quindi aggiornato alla fine del mese prossimo dopo che il collegio ha concesso, su richiesta del difensore, la revoca della misura del divieto di avvicinamento a favore dell'odierno imputato.  
F.F.
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