Lecco: folla ai funerali di Valentino Alquà e Massimo Ratti, travolti da una valanga. 'Dio si rivela lì, in montagna'

L'invito rivolto dal gruppo Asen Park era stato chiaro: "Non vestitevi di nero". Lo hanno rispettato i tanti, tantissimi presenti alle esequie di Valentino Alquà e Massimo Ratti, i due lecchesi che hanno perso la vita domenica scorsa sulle Alpi svizzere, dove sono stati improvvisamente travolti da una valanga.
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L'arrivo dei due feretri in Basilica
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Nel pomeriggio di oggi il colpo d'occhio della Basilica di San Nicolò - gremita di centinaia di persone, a cui se ne aggiungevano poi numerose altre radunatesi sul sagrato - restituiva i tanti colori di generiche felpe e magliette, ma anche quelli delle ben riconoscibili divise di realtà come il Soccorso Alpino e la scuola di scialpinismo del CAI, le prime rosse e le seconde azzurre, a rendere ancora più evidente e "tangibile" l'enorme mole di amore e affetto da cui i due amici erano circondati. 
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Nel riquadro Valentino Alquà e Massimo Ratti
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A celebrare la funzione è stato il parroco di Ballabio don Benvenuto Riva, al quale si sono affiancati il Prevosto di Lecco Monsignor Davide Milani, don Davide Consonni, Padre Angelo Cupini e don Marco Rapelli di Germanedo, il rione dove Alquà e Ratti vivevano e dove tutti li conoscevano proprio per la loro infinita passione per la montagna, per quelle vette che poco meno di una settimana fa, in una giornata come tante, sono state la triste cornice della loro drammatica e prematura scomparsa. 
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Don Davide Milani e don Davide Consonni

Una morte che comunque, per quanto crudele, è arrivata "nel posto giusto" almeno per Massimo, 36 anni, come ha detto tra le lacrime la giovane compagna, ben consapevole fin dagli inizi della loro relazione di quanto quella passione - comunque compresa e condivisa - contasse per lui. "Mi amavi, ma mi hai sempre ricordato che venivo al secondo posto rispetto alla montagna", le parole condivise dalla ragazza con i presenti. "Nel tuo cuore domenica c'ero anche io, sono contenta di questo. Nel mio, di cuore, rimarrai per sempre, indimenticabile. Resta con me, nel vento, nella pioggia e nella neve, nella roccia. Io continuo, tu continua con me".
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La compagna di Massimo Ratti, per tutti Maxi

Straziante - ma capace di strappare persino qualche sorriso, in alcuni passaggi - anche il ricordo del fratello Andrea, che ha raccontato la "costante competizione" che ha sempre contraddistinto il rapporto tra lui e Maxi, "nei giorni in cameretta, nelle passeggiate con il CAI, sui sassi del fiume, in cascina dalla nonna, ma mai, purtroppo, sui voti a scuola".
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Andrea Ratti
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Giuseppe Orlandi, "il Calumer"

"Però eravamo capaci di proteggerci l'un l'altro quando eravamo con altre persone e all'improvviso diventavamo una squadra. Ricordo la sensazione di orgoglio che nasceva in queste situazioni, come quell'anno che abbiamo giocato a basket in Prima squadra, solo uno ma estremamente coinvolgente. Poi hai scoperto che la montagna era molto più affascinante di una palestra e hai iniziato a coltivare una passione che è diventata viscerale. Con gli amici di sempre hai dato il via agli Asen Park, inizialmente eravate goffi ma eravate di una simpatia e di una amicizia tra voi che era davvero travolgente. Ho invidiato di te proprio il gruppo di amici che eri riuscito a crearti attorno alla tua passione e con i quali hai condiviso momenti unici anche fuori dalla montagna. Hai dimostrato tutta la tua energia uscendo da una operazione delicata e complessa alla testa che ti ha messo a terra e obbligato a ripartire da zero, ma tu in poco tempo sei stato in grado di tornare esattamente quello di prima. Noi, a essere sinceri, speravamo che i dottori sistemassero le rotelle non funzionanti della tua testa. E invece non c'era nulla da regolare, tu eri così e così eri apprezzato. Certo, tu la responsabilità non l'avevi nella lista delle priorità… Ma questo tuo modo di vivere ti ha sempre caratterizzato, ti ha reso unico per me e per chi ti ha conosciuto [...]. Forse non ti ho vissuto così profondamente e serenamente come meritavi. Ci siamo però voluti un mondo di bene, sei stato il mio più grande avversario permettendomi di crescere. Invidiavo anche la tua passione per l'alta montagna perché hai potuto vivere momenti intensi, scoprire posti unici, fare esperienze indimenticabili". 
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"Sapevamo quanto questa passione fosse pericolosa, sapevamo che poteva mostrarti un conto che eri pronto a pagare, ma tu hai voluto affrontare tutto con la solita spensieratezza, hai vissuto la tua passione fino all'ultimo istante, con tutto te stesso, felice, innamorato, libero e soprattutto sempre dove volevi essere in quel determinato momento" ha poi concluso, anch'egli tra le lacrime. "Non posso più fermarti, ma non ti avrei mai fermato perché sarebbe stato peggio per la tua anima. Resterà in me l'avvolgente entusiasmo che sapevi far esplodere intorno a te".
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Don Marco Rapelli
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A pronunciare l'omelia, invece, era stato don Marco Rapelli, a cui è spettato il difficile compito di provare a consolare i presenti con le parole del Vangelo. "Nel cuore umano albergano sentimenti e convinzioni che variano da persona a persona, però c'è un minimo comune denominatore che ci unisce tutti, quello della morte. E quando la morte raggiunge e colpisce ne rimaniamo sconvolti, in particolare come nel caso di Valentino e Massimo perché sopraggiunge inaspettata, in un modo tragico. E interrompe vite ancora giovani" ha esordito il parroco di Germanedo. "In un'epoca come la nostra nella quale sembrano caduti tutti i tabù, la morte continua a restare qualcosa di cui è meglio non parlare, a cui è meglio non pensare, che si fatica addirittura a pronunciare. Questo perchè non riusciamo ad accettare che la morte fa parte della vita. E così la sofferenza. Uno si chiede il perchè. Se crede in Dio si rivolge a Lui chiedendo appunto perchè, dimenticando la risposta più lampante che ci sia, seppur cinica, ovvero che si soffre e si muore perché siamo vivi. Quindi il morire di per sè non è qualcosa di strano, innaturale. Ciononostante, poichè la morte interrompe ogni relazione, quando accade non si riesce ad accettarla e ci si ribella, perché nel nostro cuore alberga un desiderio di eternità. Ecco perchè non si riesce ad accettare che tutto possa finire così, finire qui". 
"I discepoli sanno che il destino di Cristo è lo stesso a cui Gesù chiama ogni uomo e ogni donna [...]" ha proseguito il sacerdote. "Troppo spesso uscire dalla bocca anche di chi crede, quando muore qualcuno, l'infelice espressione "il Signore lo ha chiamato a sè", un'espressione che invece di consolare genera rabbia, fa pensare a un Dio egoista, cinico, insensibile, a cui verrebbe da dire: "Potevi aspettare, no? Sarebbe stato meglio che Massimo e Valentino restassero con noi. Avevi bisogno proprio di loro?". Giusto. E infatti non è così. Dio non chiama a morire, ma a vivere per sempre". 
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Infine, una riflessione sulla montagna, ispirata direttamente dalle letture proposte per la celebrazione. "La prima, presa dal Libro dell'Esodo, descrive una frase dell'incontro di Mosè con il Signore che avviene sul monte Sinai. Nella Bibbia la montagna non è tanto un luogo geografico, ma un luogo simbolico. La Terra era considerata la casa dell'uomo, sotto terra c'era il regno dei morti e il cielo era la casa di Dio. Per cui la montagna, essendo il punto più alto della terra, era considerato il più vicino a Dio. Tante persone ancora oggi, soprattutto gli amanti della montagna come lo erano Massimo e Valentino e come sono tanti di voi qui presenti, vivono l'esperienza della montagna come momento di elevazione spirituale. In realtà, come rivela Gesù, il monte è il simbolo della nostra interiorità, è il luogo in cui Dio si rivela, nel silenzio. Ma anche sul monte Dio dice a Mosè che nessuno può avvicinarsi a lui. Sarà solo con la morte. In questa vita terrena c'è solo un modo per ricevere il dono della vita immortale, quello di vivere il comandamento dell'amore. Se Massimo e Valentino, indipendentemente dal loro credo, hanno vissuto o cercato di vivere così, non sono morti ma sono qui a ringraziare il Dio della vita".
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Al termine della celebrazione, a cui è intervenuto anche il sindaco di Lecco Mauro Gattinoni, Giuseppe Orlandi "il Calumer" ha condiviso con i presenti una preghiera, dopodiché i due feretri sono stati accompagnati all'esterno della Basilica per un'ultima benedizione, tra lacrime e applausi scroscianti.
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B.P.
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