'Se c'è una capitale alpinistica, quella è Lecco': il presidente nazionale del CAI infiamma la festa per il 150°
“Signore delle cime” («Un nostro amico/ hai chiesto alla montagna/ ma ti preghiamo/ su nel Paradiso/ lascialo andare/ per le tue montagne») a ricordo di Valentino Alquà e Massimo Ratti, morti domenica travolti da una valanga sulle Alpi svizzere. E’ stato lo struggente canto scritto da Bepi De Marzi ad aprire, ieri alla Casa dell’economia di viale Tonale, la serata con la quale la sezione lecchese del Cai ha celebrato i propri 150 anni, nella data di calendario esatta, appunto il 22 maggio, della fondazione dell’associazione.
E’ stata una serata sviluppatasi attorno al libro pubblicato in occasione dell’anniversario, “In cammino con i pionieri”. Scritto da Alberto Benini, Pietro Corti e Sergio Poli, il volume stampato in una veste grafica particolare (con rilegatura a vista) si concentra sui primi cinquant’anni di vita del Cai lecchese, sugli anni nei quali l’associazione è andata consolidandosi non senza qualche momento di difficoltà, prima dei grandi exploit.
In apertura, il sindaco Mauro Gattinoni ha portato il saluto della città e consegnato una targa alla presidente del Cai lecchese Adriana Baruffini, la prima donna alla guida dell’associazione alpinistica cittadina ed è in qualche modo significativo che la circostanza coincida con il compimento del secolo e mezzo di attività.
Nel suo intervento, Gattinoni ha detto come Lecco non sarebbe Lecco senza la montagna, ha richiamato i valori del Cai: la tradizione, l’avviamento dei giovani, la cura stessa della montagna che significa sentieri e rifugi, quella cultura della montagna che non è solo pensare alle grandi imprese alpinistiche, ma anche ai temi ambientali. Del resto già Antonio Stoppani che, per quanto brevemente e solo simbolicamente, è pur sempre stato il primo presidente del Cai lecchese, paventava più di un secolo fa lo scioglimento dei ghiacciai che oggi è diventato problema vitale.
La presidente Baruffini ha parlato di compleanno epocale, di una storia intrecciata con quella della città, una storia scritta da persone che la montagna ce l’hanno in casa ma anche nel cuore, come ebbe a dire cinquant’anni fa e cioè nel 1974 l’allora presidente del Cai nazionale, Giovanni Spagnolli, in occasione proprio del centenario della sezione lecchese. Baruffini ha voluto inoltre sottolineare come, oltre ai grandi personaggi che hanno portato il Cai lecchese nel mondo, ci sono stati molti personaggi minori che pure hanno contribuito a fare della sezione di Lecco una delle più importanti in Italia per numero di iscritti e per attività che nel corso degli anni si sono diversificate.
Sui personaggi minori si è soffermato anche il consigliere regionale Giacomo Zamperini, su coloro che non vengono mai citati, quei volontari che sono fondamentali, quelli che avvicinano i giovani alla montagna: sono loro che portano le nostre tradizioni, la nostra identità, l’identità di noi lecchesi.
E’ poi intervenuto il presidente nazionale del Cai Antonio Montani ricordando come altre sezioni in questi anni abbiano celebrato il centocinquantesimo (il Cai nazionale data dal 1863). E ricordando l’epoca di quella borghesia illuminata che “scopriva” la montagna come fatto culturale, occorre ora guardare ai giovani, aprirsi ai giovani.
Ha poi aggiunto, scaldando inevitabilmente la platea: «Nei giorni scorsi ho assistito a una strana disputa tra alcuni iscritti al Cai di Torino e altri del Cai di Milano su quale delle due città possa essere davvero considerata la capitale delle Alpi. Ognuno aveva le sue ragioni. Io non so quale sia la capitale delle Alpi, ma se c’è una capitale alpinistica, quella è Lecco» concludendo con l’affermazione, forse un po’ eccessiva, che «se non ci fossero gli alpinisti a scalare le montagne, quelle sarebbero solo dei cumuli di sassi».
A conclusione della serata, invece, sono intervenuti gli autori del libro: oltre a Benini, Corti e Poli, anche il fotografo Mauro Lanfranchi, l’illustratore Raffaele Negri e il grafico Paolo Vallara.
«Abbiamo saccheggiato gli archivi del Cai e quelli di Alberto Benini» ha esordito Corti, concentrando poi l’attenzione su uno in particolare dei personaggi che segnano la storia di quei primi cinquant’anni e cioè, oltre a Stoppani, il primo presidente effettivo Giovanni Pozzi, lo scienziato e politico Mario Cermenati, ma anche quel Giuseppe Ongania che di Lecco fu sindaco all’inizio del Novecento. Ed è proprio sulla figura dell’Ongania alpinista, spesso trascurata nelle storie alpinistiche lecchesi, che Corti si è soffermato.
Benini, invece, ha parlato di un bel libro: «Non toccherebbe certo a noi dirlo, ma sono convinto che abbiamo creato un argine al brutto che avanza. Perché raccontare storie belle è una maniera di evadere dal brutto che ci circonda. E allora vorremmo che Pozzi, Cermenati, Stoppani e Manzoni (che danno il nome a quattro punte del Resegone) e anche Ongania fossero gli eroi di questa storia. Abbiamo scelto di scrivere la storia dei primi cinquant’anni perché su quello che è arrivato dopo sono stati scritti molti libri. E speriamo che siano di più i lettori degli scrittori. In quei primi cinquant’anni escursionismo e alpinismo cercavano ancora una definizione precisa. Abbiamo cercato di capire quanto abbiano contribuito i lecchesi a precisare quella definizione. E comunque su quel periodo ci sarebbe ancora molto da scrivere: serve, per esempio, una storia laica, una storia delle opinioni non solo politiche ma anche geografiche».
Il libro, dunque, protagonista della serata che si è sviluppata sulla lettura di alcuni brani da parte del Laboratorio teatrale “Carlo Pirovano”, inframmezzata dall’esibizione del Coro alpino lecchese diretto dal maestro Francesco Bussani. Coro che, accompagnato da alcuni bandisti del Corpo musicale “Alessandro Manzoni” ha anche eseguito gli anni degli alpinisti lecchesi.
«Sono due, gli inni – ha spiegato Baruffini - Uno è quello famoso, l’“Inno alpino” con le parole di Antonio Ghislanzoni e la musica di Carlo Gomes. Il secondo è la “Canzone degli alpinisti lecchesi” forse più semplice e orecchiabile con la musica di Cesare Persiceti e il testo di un altro Ghislanzoni. Tra l’altro, la presenza dalla banda musicale Manzoni, in questa occasione, non è casuale. Fondata nel 1822, ha partecipato a molte delle iniziative del Cai lecchese. Una volta, forse addirittura la prima, nel 1895 per l’inaugurazione della Capanna Stoppani quando suonò davanti alle trecento persone che salirono al nuovo rifugio, partendo dal centro della città perché allora era così…»
E’ stata una serata sviluppatasi attorno al libro pubblicato in occasione dell’anniversario, “In cammino con i pionieri”. Scritto da Alberto Benini, Pietro Corti e Sergio Poli, il volume stampato in una veste grafica particolare (con rilegatura a vista) si concentra sui primi cinquant’anni di vita del Cai lecchese, sugli anni nei quali l’associazione è andata consolidandosi non senza qualche momento di difficoltà, prima dei grandi exploit.
In apertura, il sindaco Mauro Gattinoni ha portato il saluto della città e consegnato una targa alla presidente del Cai lecchese Adriana Baruffini, la prima donna alla guida dell’associazione alpinistica cittadina ed è in qualche modo significativo che la circostanza coincida con il compimento del secolo e mezzo di attività.
Nel suo intervento, Gattinoni ha detto come Lecco non sarebbe Lecco senza la montagna, ha richiamato i valori del Cai: la tradizione, l’avviamento dei giovani, la cura stessa della montagna che significa sentieri e rifugi, quella cultura della montagna che non è solo pensare alle grandi imprese alpinistiche, ma anche ai temi ambientali. Del resto già Antonio Stoppani che, per quanto brevemente e solo simbolicamente, è pur sempre stato il primo presidente del Cai lecchese, paventava più di un secolo fa lo scioglimento dei ghiacciai che oggi è diventato problema vitale.
La presidente Baruffini ha parlato di compleanno epocale, di una storia intrecciata con quella della città, una storia scritta da persone che la montagna ce l’hanno in casa ma anche nel cuore, come ebbe a dire cinquant’anni fa e cioè nel 1974 l’allora presidente del Cai nazionale, Giovanni Spagnolli, in occasione proprio del centenario della sezione lecchese. Baruffini ha voluto inoltre sottolineare come, oltre ai grandi personaggi che hanno portato il Cai lecchese nel mondo, ci sono stati molti personaggi minori che pure hanno contribuito a fare della sezione di Lecco una delle più importanti in Italia per numero di iscritti e per attività che nel corso degli anni si sono diversificate.
Sui personaggi minori si è soffermato anche il consigliere regionale Giacomo Zamperini, su coloro che non vengono mai citati, quei volontari che sono fondamentali, quelli che avvicinano i giovani alla montagna: sono loro che portano le nostre tradizioni, la nostra identità, l’identità di noi lecchesi.
E’ poi intervenuto il presidente nazionale del Cai Antonio Montani ricordando come altre sezioni in questi anni abbiano celebrato il centocinquantesimo (il Cai nazionale data dal 1863). E ricordando l’epoca di quella borghesia illuminata che “scopriva” la montagna come fatto culturale, occorre ora guardare ai giovani, aprirsi ai giovani.
Ha poi aggiunto, scaldando inevitabilmente la platea: «Nei giorni scorsi ho assistito a una strana disputa tra alcuni iscritti al Cai di Torino e altri del Cai di Milano su quale delle due città possa essere davvero considerata la capitale delle Alpi. Ognuno aveva le sue ragioni. Io non so quale sia la capitale delle Alpi, ma se c’è una capitale alpinistica, quella è Lecco» concludendo con l’affermazione, forse un po’ eccessiva, che «se non ci fossero gli alpinisti a scalare le montagne, quelle sarebbero solo dei cumuli di sassi».
A conclusione della serata, invece, sono intervenuti gli autori del libro: oltre a Benini, Corti e Poli, anche il fotografo Mauro Lanfranchi, l’illustratore Raffaele Negri e il grafico Paolo Vallara.
«Abbiamo saccheggiato gli archivi del Cai e quelli di Alberto Benini» ha esordito Corti, concentrando poi l’attenzione su uno in particolare dei personaggi che segnano la storia di quei primi cinquant’anni e cioè, oltre a Stoppani, il primo presidente effettivo Giovanni Pozzi, lo scienziato e politico Mario Cermenati, ma anche quel Giuseppe Ongania che di Lecco fu sindaco all’inizio del Novecento. Ed è proprio sulla figura dell’Ongania alpinista, spesso trascurata nelle storie alpinistiche lecchesi, che Corti si è soffermato.
Benini, invece, ha parlato di un bel libro: «Non toccherebbe certo a noi dirlo, ma sono convinto che abbiamo creato un argine al brutto che avanza. Perché raccontare storie belle è una maniera di evadere dal brutto che ci circonda. E allora vorremmo che Pozzi, Cermenati, Stoppani e Manzoni (che danno il nome a quattro punte del Resegone) e anche Ongania fossero gli eroi di questa storia. Abbiamo scelto di scrivere la storia dei primi cinquant’anni perché su quello che è arrivato dopo sono stati scritti molti libri. E speriamo che siano di più i lettori degli scrittori. In quei primi cinquant’anni escursionismo e alpinismo cercavano ancora una definizione precisa. Abbiamo cercato di capire quanto abbiano contribuito i lecchesi a precisare quella definizione. E comunque su quel periodo ci sarebbe ancora molto da scrivere: serve, per esempio, una storia laica, una storia delle opinioni non solo politiche ma anche geografiche».
«Sono due, gli inni – ha spiegato Baruffini - Uno è quello famoso, l’“Inno alpino” con le parole di Antonio Ghislanzoni e la musica di Carlo Gomes. Il secondo è la “Canzone degli alpinisti lecchesi” forse più semplice e orecchiabile con la musica di Cesare Persiceti e il testo di un altro Ghislanzoni. Tra l’altro, la presenza dalla banda musicale Manzoni, in questa occasione, non è casuale. Fondata nel 1822, ha partecipato a molte delle iniziative del Cai lecchese. Una volta, forse addirittura la prima, nel 1895 per l’inaugurazione della Capanna Stoppani quando suonò davanti alle trecento persone che salirono al nuovo rifugio, partendo dal centro della città perché allora era così…»
D.C.