Lecco: giovani e disturbi alimentari, l'analisi di Francesca Fialdini

Si è rotto un ponte tra gli adulti e i giovani. Mancano i punti di riferimento. Un tempo c’erano le famiglie, la scuola, i circoli, le associazioni sportive e culturali, gli oratori, i partiti politici. Adesso tutto questo è saltato. Le prime agenzie educative sono i social. Ma è anche troppo facile e deresponsabilizzante per noi adulti dare tutta la colpa ai social. Dobbiamo cominciare a chiederci: «Io dove sono».
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Francesca Fialdini, giornalista televisiva e radiofonica, ieri sera al cinema Nuovo Aquilone, ha presentato il suo libro “Nella tana del coniglio” che racconta alcune delle storie di ragazze e ragazzi con disturbi alimentari incontrati durante la preparazione di “Fame d’amore”, il documentario realizzato per la Rai e andato in onda paradossalmente durante i primi mesi di covid, forse senza prevedere che la pandemia avrebbe poi portato a un aggravamento del problema.
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Mons. Davide Milani, Francesca Fialdini e Giampiero Rossi

Introdotta dal prevosto don Davide Milani e intervistata dal giornalista del “Corriere della sera” Giampiero Rossi, Fialdini ha spiegato come il documentario e poi il libro non sono semplicemente un insieme di vicende personali, ma un tentativo di andare a vedere cosa c’è sotto, di chiedersi il perché molti giovani cadano appunto nella “tana del coniglio” tra anoressia, bulimia e altre varianti che altro non sono che manifestazione di una fragilità psichica.
fiandini__9_.JPG (156 KB)«Una volta – ha detto la giornalista – l’anoressia veniva trattata come un tema a parte, qualcosa che aveva a che fare con la moda e si dava la colpa agli stilisti. Ed è vero che è stato creato il mito della magrezza, indicandolo come un modello da raggiungere. Ma c’era un vuoto. Lavorando a “Fame d’amore” sentivamo che sotto c’era dell’altro. Ed è un problema di salute mentale. Dopo la pandemia se n’è cominciato a parlare. Prima non è che non ci fosse, ma era sotto la cenere. Eppure, la letteratura scientifica ci diceva appunto che sotto c’era qualcosa».
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«Si diceva – ha continuato Fialdini – che chi aveva disturbi alimentari era perché aveva problemi con la mamma. Oggi si sa che anche l’assenza del padre contribuisce. All’inizio, in Rai ci dicevano: “Mica vorreste sparare in testa alla mamma italiana?”. Ma dopo il covid il problema ci è esploso tra le mani. Cos’è successo?»
In Italia – ha poi sottolineato - sono 4 milioni le persone con problemi di salute mentale ed è la seconda causa di morte, ma poco si fa per affrontare il problema: «Fino a Basaglia i matti si tenevano nascosti – ha proseguito – poi le cose sono cambiate ma non sono state fatte le cose che andavano fatte. E anche oggi per i giovani con disturbi alimentari ci sono poche strutture pubbliche, in alcune regioni sono completamente assenti e le cliniche private costano e soltanto pochi possono permettersele. E lo Stato fa poco, l’unica cosa che viene data è il bonus psicologo. La politica se ne disinteressa: ci sono le elezioni europee e nessuno parla di giovani.
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«Quando vediamo una persona anoressica o bulimica – la riflessione – tutti noi esprimiamo dei giudizi di compassione, come se l’aspetto fisico ci dicesse chi è quella persona. Il nostro linguaggio è intriso di giudizi e ha il corpo come catalizzatore. Non a caso, quando i giovani si offendono tra loro guardano ai difetti del corpo».
C’la storia di Anna, una ragazza che pesava 120 chili e diceva di non essersene mai accorta: Com’è possibile? Ci si guarda allo specchio e non ci si vede. Lo sguardo non ti dice come sei o come appari. Ma te lo dicono lo sguardo degli altri e durante il covid quando non era possibile incontrarsi e le relazioni con gli altri erano attraverso cellulari e computer, ecco che allora lo sguardo degli altri è diventato dominante. 
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«Il problema – ha continuato Fialdini – è che durante il covid anche l’adulto ha perso certezze. Per i giovani, l’adulto come punto di riferimento non c’era più, non era più in grado di dare risposte. E l’incertezza è cresciuta a dismisura. Il fatto è che ripensando alla propria storia personale ciò che conta non è come sono andati i fatti, ma come la sente».
E allora certe diete iniziate magari per gioco, perché durante il covid non si poteva svolgere attività fisica, sono finite con il diventare una forma di controllo. Ed è lo svelamento di una ferita interiore. Una ragazza diceva che di non voler essere più bella, ma semplicemente di voler scomparire, di voler essere una piuma per poter scomparire più facilmente».
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«Il fatto è che negli anni Novanta – la rilettura – di certe ragazze magre si diceva che non mangiavano perché volevano fare la modella. C’era proprio una pubblicità di un elettrodomestico che diceva quello. E dalla pubblicità sono stati diffusi molti messaggi negativi: il corpo delle donne esibito, il nudo per vendere di più. Adesso non si possono rimproverare i ragazzi che si mettono sempre in posa, magari nudi. Questo sistema glielo abbiamo insegnato noi. I ragazzi sono particolarmente sensibili e nel periodo dell’adolescenza fanno anche i conti con il corpo che cambia. Certo, se è colpa dell’immaginario che abbiamo creato saremmo tutti vittime. Però siamo tutti più insicuri. I giovani sono rincorsi da una serie modelli e non hanno quello che abbiamo avuto noi. La prima agenzia educativa oggi sono i social. Se il punto di riferimento è un modello pubblicitario è perché in famiglia non ne hanno trovato altri. I primi a tradirci siamo noi stessi quando non facciamo i conti con il nostro passato».
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Sono i genitori le persone dalle quali, fin dalla nascita, ci aspettiamo di più. C’è un investimento emotivo, ma poi accade che queste promesse non possono essere mantenute. 
«E allora – ha detto ancora Fialdini – in questa società post-narcisistica com’è stata chiamata, spesso i genitori credono di sapere cosa sia il meglio per i figli, credono di saper tutto di loro, “mi dicono tutto”. Ma se i nostri figli non si vedono come sono occorre parlare con loro, capire come loro vorrebbero essere e non come noi vorremmo che essi fossero. Qui nasce il problema. La distorsione della realtà».
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Reparti psichiatrici e cliniche, per quanto si cerchi di favorire la positività, restano comunque luoghi tetri «e quando tu arrivi con una troupe – ha concluso Francesca Fialdini – crei comunque dello scompiglio. Il fatto è che quando c’è un palcoscenico per tutti attorno c’è un grande silenzio: ti ascoltano tutti o non ti ascolta nessuno. E quando i giovani incontrano qualcuno che li ascolta davvero si stupiscono e ti raccontano tutto. Dobbiamo chiederci cosa si è rotto. E’ una domanda fondamentale perché la risposta non riguarda soltanto l’oggi ma anche dove andare. Perché noi passiamo le consegne ai giovani, ma se le nuove generazioni non sanno dove andare perdiamo la bussola».
D.C.
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