Calolzio, omicidio in stazione: il battibecco per la sigaretta, ma è stata 'una parola' sulla madre a accecare l'imputato. Lo ha raccontato lui

Avrebbe nominato invano la mamma del suo assassino. Questa la "colpa" di Malcom Mazou Darga, il 23enne, originario del Burkina Faso ma cresciuto ad Airuno, raggiunto da due coltellate, al petto e alla gamba, risultategli poi fatali, sulla banchina della stazione ferroviaria di Calolziocorte, lo scorso 29 agosto. Lo ha spiegato l'imputato stesso. Haruna Guebre, il connazionale, due anni più grande, a giudizio per omicidio volontario aggravato dai futili motivi, quest'oggi, nel bel mezzo della seconda udienza del processo a suo carico, intentato al cospetto della Corte d'Assise di Como, ha rotto il silenzio che perdurava dall'arresto, optando per rilasciare spontanee dichiarazioni. 
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Look total black con i dread raccolti in una coda, il giovanotto - tradotto in Aula dal carcere di Monza, dove è associato dal giorno successivo all'omicidio, dopo essere stato rintracciato dalla Polizia  - per prima cosa ha chiesto scusa ai genitori della vittima, quest'oggi comparsi in Tribunale, con le loro altre due figlie, una delle quali ancora minorenne, per costituirsi parte civile, dopo essersi vista preclusa tale possibilità per un mero difetto di notifica. 
Molto, molto, sinteticamente, il 25enne ha spiegato poi di aver raggiunto i binari dopo il lavoro, venendo avvicinato da Darga che gli avrebbe chiesto una sigaretta. Non ricevuta la "paglia" desiderata, l'airunese - divenuto calolziese qualche settimana prima di quel 29 agosto - avrebbe "provocato" l'imputato, arrivando, per l'appunto, a citare anche la possibilità di "comprare" sua madre. "Io mia mamma non la vedo da 12 anni, da lì non ho più visto niente" ha così spiegato Guebre, arrivato in Italia già ragazzino per raggiungere il padre, aggiungendo anche di essere venuto a conoscenza solo l'indomani della morte del ragazzo. "Da lì sono andato in panico".
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Una foto scattata sui binari dopo l'omicidio.
Nel riquadro, la vittima Malcom Mazou Darga
Ben più dettagliata la ricostruzione dell'accaduto offerta da un 26enne di Valmadrera, nativo di Bengasi, operaio anch'egli, come l'imputato, alla Fontana di Calolzio, riferendo anche stralci di quella che lui ha definito come una "leggera discussione, tra virgolette" intercorsa tra imputato e vittima, con quest'ultimo non nuovo a chiedere in stazione, sigarette. "Tu non mi puoi dire certe cose". "Ma pensi che io ho paura di te?". E ancora "non passi più dalle mie zone". "Io vado dove voglio". Fino alla comparsa di un coltello, tenuto tra le mani da Guebre, per intimidire quell'altro. Vano sarebbe stato il tentativo del libanese di frapporsi tra i due, per evitare arrivassero allo scontro. Proprio mentre il treno per Lecco arrivava al binario, l'accoltellamento, non visto però dal testimone che avrebbe notato solo “gocce di sangue”, divenute poi “un mare di sangue”. "Adesso vai a piangere dai poliziotti", l'ultimo sfottò dell'imputato. Dagli agenti, presenti dall'altro capo della banchina, il 23enne non è mai arrivato. Sono stati loro a raggiungerlo e a soccorrerlo per primi, come emerso nel corso dell'udienza del 17 aprile. Inutilmente. 
Quest'oggi, al cospetto della Corte presieduta dal dottor Carlo Cecchetti, sono stati poi escussi, citati dalla pubblica accusa sostenuta dal sostituto procuratore Chiara Di Francesco, altri due soggetti presenti in stazione il giorno dell'omicidio: un altro operaio della Fontana e una giovane tunisina, che ha prodotto agli inquirenti anche degli spezzoni di video registrati negli attimi immediatamente successivi il ferimento di Darga, identificata dopo uno scambio di messaggi sui social con una amica della vittima, portata in Aula anch'ella come testimone. tribunalecomo2.jpg (321 KB)
Al microfono si è accomodato anche allora responsabile della società di somministrazione della manodopera che ha selezionato Guebre per l'inserimento nell'azienda di Calolzio, che pur non ricordando direttamente il ragazzo, ha escluso di essere a conoscenza di comportamenti anomali  tenuti dello stesso in ditta. Ha parlato invece di "scatti di rabbia", nei confronti degli adulti, una professoressa della secondaria di primo grado Nava di Lecco, la scuola media dove l'imputato è stato inserito al suo arrivo in Italia. Alle volte, quel ragazzino arrivato dall'Africa senza chiaramente conoscere la nostra lingua, "si irrigidiva, diventava nervoso, magari urlava anche qualcosa che non sempre era comprensibile". La collega di educazione fisica, addirittura, lo definiva, per gli atteggiamenti tenuti in palestra, "un piccolo selvaggio". Elementi, quest'ultimi, che si sposano con il quadro dell'imputato tracciato dal dottor Giuseppe Giunta, lo psichiatra introdotto dalla difesa - rappresentata dagli avvocato Marilena e Ilaria Guglielmana - in apertura di dibattimento, ottenendo dalla Corte la possibilità di sottoporre il loro assistito a perizia. Proprio per il conferimento dell'incarico al professionista individuato dal Tribunale, la causa è stata aggiornata al prossimo 26 giugno, con discussione poi prevista già per il 3 luglio.
Entro il 30 maggio potranno però pervenire le eventuali richieste istruttorie degli avvocati Samantha Sacchetti (per i genitori e la sorella minorenne della vittima) e Antonio Caminiti (per la sorella maggiore), entrati oggi nel processo, dopo essere venuti a conoscenza del procedimento soltanto il 24 aprile, alla ricezione, da parte dei signori Darga della convocazione per l'udienza odierna quali testi del PM. 
I legali di parte civile avranno la possibilità, presa visione del fascicolo e delle trascrizioni della scorsa seduta, di depositare una loro lista testimoniale e, eventualmente, di far riconvocare anche soggetti già escussi, oltre a nominare poi un loro consulente in riferimento alla perizia disposta sull'imputato. Perizia evidentemente decisiva per le sorti del giudizio.
A.M.
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