In viaggio a tempo indeterminato/329: come gatto e topo

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Che nello stesso pianeta esistano l'India e il Giappone è qualcosa di così incredibile e meraviglioso che mi emoziono ogni volta che ci penso.
È la ricchezza immensa di un'umanità che ha tanti difetti ma ha anche il grande pregio di essere così inaspettatamente variegata e originale.
A volte mi piace immaginare come vedrebbe gli abitanti del mondo qualcuno che viene da un altro pianeta.
Penso rimarrebbe sconvolto nel vedere quanto siamo tutti simili, tutti con le stesse esigenze e aspettative, indipendentemente dalla latitudine in cui viviamo, ma allo stesso tempo anche tutti così complicatamente diversi.
Probabilmente ai suoi compaesani racconterebbe di questi esseri a due zampe che vivono in rifugi che li proteggano da pioggia e freddo, che hanno bisogno di stare in gruppo e che si spostano su mezzi con ruote o con ali. Gli direbbe che sono tutti più o meno alti uguali, magari diversi nel colore dell'epidermide, degli occhi o dei capelli ma tendenzialmente simili nella corporatura. Che per comunicare emettono suoni bizzarri e che si possono parlare anche a grandi distanze grazie a delle scatolette chiamate telefoni.
Gli direbbe che convivono sfruttando le risorse del pianeta su cui abitano e che non sono tanto bravi ad andare d'accordo, soprattutto se di mezzo ci sono dei pezzi di carta a cui hanno attribuito un valore enorme e che chiamano soldi. "Arrivano persino ad uccidere per questi pezzi di cellulosa colorata o perché uno vuole i territori dell'altro, come se il pianeta fosse davvero loro!".
Racconterebbe tutto questo e gli altri suoi compaesani probabilmente storcerebbero il naso e riderebbero delle farneticazioni di questo esploratore finito a scoprire il pianeta Terra.
Poi magari incuriositi gli chiederebbero "sì ma questi umani cosa fanno esattamente?".
E allora lui gli spiegherebbe il concetto di lavoro, di stipendio, di carriera ma alla fine si fermerebbe e un po' sorpreso gli direbbe "e poi credono in cose che non esistono e che chiamano fortuna, destino, dio, spiriti... Non li ha mai visti nessuno di loro, non sono entità visibili, eppure credono che possano influenzare la loro vita".
Probabilmente tutti riderebbero e qualcuno farebbe una battuta del tipo "ti sei bevuto un grappino spaziale prima di fare il tuo viaggio sulla Terra?".
Ok, parentesi dell'alieno a parte, la realtà è che, a grandi linee, siamo davvero così. E il Giappone e l'India sono due esempi tra i tanti.
Sembrano lontani anni luce l'uno dall'altro, ma hanno dei punti in comune pazzeschi.
Circa 6 anni fa, avevamo visitato in India il tempio dei topi a Bikaner.
Un tempio dove vivono liberi e felici migliaia di topi. I fedeli accorrono da tutto il Paese per offrire cibo a questi piccoli roditori che credono siano la reincarnazione dei loro antenati.
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Dietro c'è una di quelle belle leggende indiane che sono meglio di qualunque serie Netflix mai prodotta.
Si narra che Karni Mata, una divinità indù, perse il figlio annegato.
Disperata, chiese al dio della morte di riportarlo in vita.
Questi si rifiutò dicendo che era troppo tardi perché ormai l’anima del ragazzo si era già reincarnata.
Karni Mata alla notizia andò su tutte le furie e sentenziò che da quel momento tutti i membri della sua famiglia, dopo la morte, si sarebbero temporaneamente reincarnati in topi, sottraendo così le anime al dio della morte.
Quindi in molti vengono qui a rendere omaggio ai loro antenati reincarnatisi in topi e si dice che tra i 20.000 roditori ce ne sia uno che porta più fortuna degli altri perché completamente bianco.
Camminare scalzi tra tutte quelle zampette e codine è un'esperienza che non dimenticherò mai. Guardarli arrampicarsi sulle pareti del tempio, correre sui pavimenti di marmo e bere da ciotole di latte è come trovarsi dentro un incubo che però, per qualche strano motivo, non ti mette angoscia.
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E poi prendi un aereo e in un Paese a qualche ora di distanza ti ritrovi a vivere una situazione opposta ma simile.
Stavolta ad essere venerati sono dei gatti, tanti gatti, troppi gatti. Ma non animali in peli e ossa, bensì statuette bianche con la zampina alzata.
E appena ti avvicini alla porta del tempio, accolto da una gigantesca statua felina che ti sorride, pensi che sarà divertente e rilassante entrare lì dentro. Questo perché ancora non sai che quegli occhietti e quelle piccole orecchie rosse ti ricompariranno negli incubi nelle notti a venire.

Il Manekineko è il gattone portafortuna giapponese. Tutti avremo notato almeno una volta la statuetta del gatto con la zampa alzata. In genere si trova all'ingresso di attività commerciali asiatiche come ristoranti o negozi. Io, in effetti, mi sono sempre chiesta perché portasse fortuna quel gatto tutto dorato, ma non avevo mai fatto ricerche in merito. Dovevo arrivare fino in Giappone per scoprirlo.
Il gatto ha la zampa alzata non per salutare ma per chiamare a sé. Secondo la tradizione giapponese in passato, a personalità importanti come imperatori, nobili o condottieri, apparve sempre un gatto che chiamandoli a sé gli fece cambiare strada, salvandoli dalle insidie e trappole poste sul percorso iniziale.
Il gatto quindi, in Giappone, è visto come l'animale che ti salva e tradotto nei tempi moderni è un potente portafortuna.
La rappresentazione tradizionale del felino lo vede bello pasciuto, sorridente e dipinto di bianco, rosso, oro o nero. Una delle due zampe è sempre alzata ma a seconda di quale, cambia il suo "potere".
Se è alzata la zampa destra, porta fortuna per la famiglia e la salute, se è alzata quella sinistra è di buon auspicio per gli affari.
Il totem del gatto, in realtà, è diventato molto popolare in Giappone solo qualche anno fa.
In passato il totem più diffuso aveva una forma fallica ed era esposto soprattutto all'ingresso dei bordelli. Con l'occidentalizzazione del Giappone, questo tipo di totem vennero vietati e rimpiazzati dai gatti che, con la zampina alzata, ricorderebbero una ragazza che chiama il cliente all'interno dell'attività.
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Il tempio dei gatti in cui siamo entrati era un pullulare di statue di ogni dimensione. Ci siamo trovati davanti a sale intere straripanti di gattini di legno, pietra o ceramica. E davanti a tutti quegli occhietti che mi fissavano il mio pensiero è volato al tempio dei topi indiano. Due templi, due animali venerati, due mondi completamente diversi. Là il caos, il movimento, il rumore, la vita. Qui la tranquillità, la staticità, il silenzio.
Due opposti con lo stesso significato: venerare quell'animale porta fortuna.
E dietro c'è sempre una storia affascinante che spiega il perché di quella tradizione e alla fine, anche se non ci credi particolarmente, in entrambi i casi rimani incantato davanti a quelle usanze così particolari e uniche.
Che poi gatto e topo rappresentano da sempre i due antagonisti per eccellenza, basti pensare a Tom e Jerry.
Vederli presi come simbolo da due Paesi che per moltissimi aspetti sono diametralmente opposti è davvero curioso ed emblematico.

Angela (e Paolo)
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