Casargo: il lupo? una minaccia sugli alpeggi. 'Serve un piano di contenimento regionale e tanto lavoro sul piano della comunicazione'
Grande partecipazione ieri sera a Casargo in occasione dell’incontro organizzato presso la sala civica, dal titolo “La minaccia del lupo sugli alpeggi”. Un problema – quello della presenza di grandi predatori (lupo, ma anche orso, oltre ai cinghiali) – che ormai inizia ad affliggere anche le “terre alte” valsassinesi, come hanno testimoniato alcuni tra i tanti allevatori presenti al convegno, raccontando delle numerose predazioni di bestiame subite lo scorso anno.
Sì, perché la domanda da porsi è quando (e non se) questi grandi predatori arriveranno definitivamente e in modo massiccio sulle montagne valsassinesi, come ha ben spiegato in apertura il sindaco di Casargo Antonio Pasquini, che ha indicato “tutti noi” (cittadini, istituzioni e amministrazioni) quali responsabili di una montagna che è stata “lasciata andare”. Il riferimento non solo all’interruzione dello sfruttamento economico, e della conseguente e preziosissima manutenzione di alpeggi e territorio montano in generale – che, va pure detto, sta in parte registrando un’inversione di tendenza, con l’ingresso anche di giovani nel settore – ma anche a un generale “disinnamoramento verso il nostro territorio”, come lo ha definito il primo cittadino.
"Contro un ambientalismo ideologico - ha aggiunto ancora Pasquini - dobbiamo ricordarci che solo la presenza costante e il lavoro sul territorio possono permettere di mantenere lo stesso e di tenere in vita la montagna e comunità come quelle dell’Alta Valsassina". Da questo punto di vista, il sindaco ha evidenziato come “è l’intera comunità che deve mantenere e valorizzare la nostra terra”, ribadendo la necessità di essere “ottimisti, positivi e orgogliosi di vivere in montagna”.
Il sindaco ha infine messo in luce – come già in molte altre occasioni – le potenzialità turistiche delle montagne valsassinesi, sottolineando in questo ambito “l'importanza di informare ed educare chi viene qui a farci visita” in modo da “far convivere le esigenze di allevatori, escursionisti e cacciatori”.
Il tema specifico della serata – quello delle problematiche legate alla presenza dei lupi sugli alpeggi – è stato invece trattato in prima battuta dal Dott. Bruno Milesi, veterinario, che si è focalizzato sugli aspetti sanitari e sui danni che gli attacchi di predatori possono provocare agli allevamenti. Danni che diventano – chiaramente – di natura economica per chi di allevamento vive. In particolare, sono tre le possibili conseguenze nefaste di un attacco dei lupi (o di chi per essi) al bestiame: innanzitutto, la morte dell’animale (che non può nemmeno essere consumato, a causa delle infezioni trasmesse dal morso dal predatore); poi, le ferite (non mortali) da morso, che rendono sempre il capo “inutilizzabile”; infine, le fratture agli arti che gli animali si procurano fuggendo dai predatori.
Tre “flagelli” ai quali si può cercare di far fronte utilizzando le reti anti-lupo elettrificate, le cui caratteristiche sono state illustrate da Daniela Miari, proprietaria di un’azienda produttrice di questi articoli. Descritte come “un importante deterrente” e “un sistema efficace”, le reti anti-lupo – ha spiegato Miari – possono essere personalizzate e adattate a seconda della situazione specifica (animale contro cui difendersi, morfologia del territorio …), grazie a studi personalizzati per ogni caso.
Il tema è stato approfondito - sul lato dei possibili finanziamenti - dall'agronomo Eric Spelta, che ha offerto alcuni suggerimenti (anche molto pratici) agli allevatori per scegliere il tipo di rete e struttura migliore e per interfacciarsi con il bando di Regione Lombardia che finanzia proprio le reti anti-lupo, in uscita nel corso di quest’anno.
Una seconda soluzione al problema delle predazioni può essere quella dell’utilizzo di cani da guardiania, tema dell’intervento di Cristina Fraquelli, che ha portato la sua esperienza di allevatrice di capre nel Comune di Gravedona, in una zona – quella dell’Alto Lario – da qualche anno veramente flagellata da una presenza di lupi. Dopo diverse predazioni (anche in pieno giorno) al suo gregge, Cristina ha deciso di ricorrere ai pastori della Sila (di origine calabrese), cani da guardiania che possono essere più “adatti” degli abruzzesi, soprattutto in contesti frequentati da turisti, grazie al loro comportamento più equilibrato nei confronti degli escursionisti.
L’allevatrice ha descritto la sua esperienza di utilizzo dei cani come “molto positiva”, sottolineando tuttavia – come aveva fatto Pasquini in apertura – l’assoluta esigenza di infondere una cultura del rispetto in chi frequenta la montagna, oltre che di avere una normativa a livello regionale che tuteli gli allevatori. Il tutto per “mettere gli allevatori nelle condizioni di essere più sereni ad avere e a utilizzare i cani”.
Michele Corti – presidente dell’Associazione Nazionale Tutela rurale e già docente in Zootecnia di montagna presso l’Università degli Studi di Milano – è intervenuto infine per illustrare i limiti effettivi che sia i cani da guardiania che le reti anti-lupo possono avere, evidenziando come “unendoli si avrà certamente qualcosa di migliore”, ma sottolineando al contempo come “spesso anche questo non è sufficiente”. Al contrario, “dal lupo ci si difende solo con una strategia territoriale” e in questo senso, ha aggiunto Corti, “gli alpeggi della Valsassina e le piccole aziende territoriali sono un modello di gestione e tutela del territorio che – a differenza delle situazioni davvero “tragiche” di zone come l’Alto Lario occidentale, ma anche il Basso Lodigiano, dove il territorio è lasciato all’incuria e dove si stabiliscono solo grandi imprese interessate a guadagnare con metodi speculativi - è in grado di contrastare almeno in parte l'arrivo dei lupi”.
“La difesa degli alpeggi non va affrontata singolarmente, ma con una strategia politica impostata a livello di comprensorio, evitando – ad esempio - di "blindare" un alpeggio e di scaricare in questo modo la pressione predatoria sugli altri” ha spiegato ancora Corti, che ha inoltre additato quale grande ostacolo a un’efficace strategia di contenimento dei lupi (e dei predatori in generale) quell’idea della “tutela a ogni costo” - legata a un ambientalismo ideologico e politicizzato, ma dettata anche solo dalla semplice ignoranza (intesa in senso letterale) di cosa significhi la presenza del lupo su un territorio montano - che si è diffusa a livello mediatico e culturale.
Un tema, dunque, anche politico-mediatico-culturale, come ha ben spiegato nell’intervento conclusivo del convegno il consigliere regionale – e presidente della Commissione Montagna – Giacomo Zamperini, il quale ha assicurato ai presenti di come si stia cercando - con un gruppo di lavoro interno alla commissione da lui presieduta in Regione – di arrivare a poter elaborare un piano di contenimento dei grandi carnivori in Lombardia, che preveda – tre le altre cose – abbattimenti mirati in grado di alleggerire la pressione predatoria su specifiche aree, oppure strategie di confinamento e contemporanea tutela dei predatori (i Parchi Nazionali dovrebbero assolvere proprio a questi compiti).
Fondamentale – per favorire un cambio di passo anche culturale in questa direzione – potrebbero essere il declassamento dello status di protezione del lupo, richiesto dalla Commissione Europea lo scorso dicembre. Il lavoro dovrà essere svolto poi soprattutto sul piano comunicativo, per far passare il messaggio che “sono il lupo e la natura a doversi adattare alla presenza e all’attività dell’uomo”, e non viceversa. Da questo punto di vista, “devono essere anche gli abitanti della montagna ad aiutare amministrazioni e istituzioni a capire che cosa serve a loro e al territorio” ha aggiunto ancora Zamperini, ribadendo con forza che “preservare la montagna significa tutelare l’ambiente e mantenere in vita un’economia, una società e una cultura rurale millenaria”.