In viaggio a tempo indeterminato/326: foto ricordo dal Giappone
FOTO RICORDO UDON
Mentre risucchiavo i miei primi udon giapponesi in piedi in un minuscolo ristorantino nel centro di Osaka ho avuto un'esperienza extra sensoriale.
Era come se per qualche istante guardassi la scena da fuori e vedessi me e Paolo attorno a quel bancone. Le due giacche rosse comprate in Vietnam e i cappellini in testa. Goffi ma felici mentre cerchiamo di mangiare quei noodles cicciottelli senza schizzare.
Attorno a noi, tutti clienti abituali e lo vedi dalle loro facce e dai loro gesti che sanno quello che fanno, quello che vogliono, a differenza nostra che cerchiamo di capire come risucchiare rumorosamente perché qui si fa così.
"Da bambini ci insegnano a non fare rumore quando bevi la zuppa con il cucchiaio e qui è tutto il contrario."
"Sì ma io non sono capace di risucchiare così vigorosamente, dici che il cuoco ci rimarrà male?".
Li vedo quei due con la giacca rossa che parlottano di rumori mentre attorno la gente mangia veloce come se avesse il palato di amianto.
In Giappone fare rumore mentre si risucchia non è solo simbolo di apprezzamento, ma è anche un modo per far raffreddare il brodo ed evitare l'ustione ma noi questa dote sembriamo averla persa da bambini.
In momenti come quello davanti a quella ciotola fumante è come se fossi sdoppiata, sono lì con le bacchette in mano ma sono anche qui a guardare tutto da fuori.
È una di quelle situazioni che chiamo "foto ricordo". Si tratta di attimi, esperienze, luoghi o persone che fotografo mentalmente per non perderne la memoria. E in quella "foto ricordo" c'è dentro tutto: l'immagine, ma anche i suoni, i profumi, i sapori e le sensazioni. Sì, soprattutto le sensazioni che si sono attaccate a qualcosa di concreto rendendolo immateriale e portandolo fuori dal tempo.
Tutto 'sto popò di roba per una semplice zuppa di noodles?
So che potrà sembrare assurdo ma sì, tutto questo per uno dei piatti più semplici della cucina giapponese. La felicità sta dentro alle piccole cose, direbbe qualcuno. E io sono convinta che le persone più felici, quelle più ricche, siano proprio quelle piene di immaginarie "foto ricordo" scattate in momenti speciali nella loro semplicità... che poi credo sia la ricetta per fare anche degli udon deliziosi.
FOTO RICORDO MARINARETTA
Se dovessi catalogare le mie "foto ricordo" credo avrei bisogno di due album.
Su uno ci sarebbe scritto "felicità" sull'altro "intensità".
Uno avrebbe una copertina azzurro chiaro con qualche cuore scarabocchiato, l'adesivo di un arcobaleno e delle stelline dorate.
L'altro invece sarebbe blu con i profili lasciati dalla schiuma delle onde e racchiuderebbe tutte quelle "foto ricordo" che hanno cambiato qualcosa. Cambiamenti grandi ma anche piccoli. Momenti che segnano un prima e un dopo, ma anche dettagli che modificano quasi impercettibilmente un'idea, un concetto.
A Osaka la mia seconda foto ricordo sarebbe del sorriso tirato e lo sguardo curioso di una ragazza vestita da marinaretta. Seduta su un piccolo piedistallo dentro una stanza spoglia a cui manca la parete davanti. Una luce bianca sparata sul volto e una donna più anziana davanti a lei che invita a entrare ma contemporaneamente incute timore.
Siamo nel quartiere a luci rosse di Osaka, forse il più grande bordello del Giappone.
Le ragazze attendono i clienti dentro queste stanze, una versione più sobria ed elegante dei quartieri di Amsterdam, ma senza il vetro della vetrina. Si passeggia per le vie, tra le luci delle lanterne, con le voci stridule e suadenti delle ragazze che salutano e invitano ad avvicinarsi.
È una situazione surreale questa. È un bordello ma non ha la connotazione cupa, sporca e consunta che in genere si associa a questi luoghi del sesso.
E la cosa che ancora più stride nella mia testa è il fatto che la prostituzione in Giappone sia illegale.
"Sono vietati i rapporti sessuali a pagamento tra sconosciuti" recita a grandi linee la legge.
Una norma sicuramente molto generica che in quartieri come quello di Osaka viene aggirata sapientemente in un semplice modo.
Il cliente entra nella stanza, incontra la ragazza e i due parlano per qualche minuto, giusto il tempo di trasformare due sconosciuti in due conoscenti.
A quel punto possono salire insieme al piano di sopra dove ci sono le stanze. Per la parte pagamento, invece, viene versata una somma come "consumazione" e il resto come "mancia". La legge non vieta nulla di tutto ciò quindi il problema è aggirato.
Ecco, la mia seconda istantanea ricordo a Osaka è del viso di una di quelle ragazze in attesa del cliente. Nessuna malizia nel suo sguardo e un guizzo di stupore quando realizza che sono una donna e sono straniera.
Questa foto è stato il primo tassello a far scricchiolare l'idea che avevo in mente del Giappone. "Tutti rispettano le regole qui", ne ero convinta. Ma più vado avanti nella conoscenza di questo Paese più mi sembra che di regole ce ne siano tante ma anche di modi per aggirarle. Forse il fatto che in tanti passassero con il rosso, doveva essere un segnale!
FOTO RICORDO RECEPTIONIST
La mia ultima "foto ricordo" di Osaka, la nostra prima città giapponese, è del signore della reception dell'hotel dove abbiamo dormito.
Un hotel vecchio stile con il cartello "qui si accettano anche donne" appeso sulla porta di ingresso. È una specifica strana a pensarci, ma gli altri hotel di questo genere nella zona sono destinati solo a una clientela maschile, non mista. Credo sia per evitare problemi, dato che ci troviamo a pochi chilometri dal quartiere della foto precedente.
Le stanze qui sono minuscole. Dei rettangoli che hanno solo lo spazio per stendere due futon. I bagni sono in comune, le docce e la cucina anche. Il prezzo è molto basso 2700 yen per una stanza per due persone (16€) che è poco trattandosi di Osaka ma è tanto se si pensa al tipo di sistemazione.
Non è però l'hotel in sé a stupirmi, ma il personale che ci lavora. Sono tutti degli amabili e sorridenti signori e signore sulla settantina, anno più anno men... no no, anno più e basta!
Non parlano una parola di inglese ma provano comunque a comunicare in una delle lingue che credo allunghi le vocali e le s finali più di qualunque altra al mondo.
Sono molte le persone non più giovani che lavorano in Giappone. Le vedi al supermercato o nei minimarket, alla guida dei taxi o a pulire i parchi. Sono fondamentali per l'economia del Paese. E lo so che suona strano dire che dei nonnini devono lavorare invece di godersi la pensione, a me personalmente fa un po' tristezza. Ma questo succede perché il Giappone è il Paese più anziano del mondo, con l'aspettativa di vita più lunga del Pianeta. Non si fanno figli e la popolazione invecchia, quindi non c'è una forza lavoro giovane che possa pagare pensioni e servizi per la terza età.
Gli anziani vengono quindi invitati a rimanere nel mercato del lavoro, magari svolgendo mansioni part-time, in modo da non pesare eccessivamente sull'economia del Paese.
Lo so, può suonare triste e ingiusta questa situazione... ma l'Italia è il secondo Paese più vecchio, dopo il Giappone, chissà se anche da noi andrà a finire così.
Mentre risucchiavo i miei primi udon giapponesi in piedi in un minuscolo ristorantino nel centro di Osaka ho avuto un'esperienza extra sensoriale.
Era come se per qualche istante guardassi la scena da fuori e vedessi me e Paolo attorno a quel bancone. Le due giacche rosse comprate in Vietnam e i cappellini in testa. Goffi ma felici mentre cerchiamo di mangiare quei noodles cicciottelli senza schizzare.
Attorno a noi, tutti clienti abituali e lo vedi dalle loro facce e dai loro gesti che sanno quello che fanno, quello che vogliono, a differenza nostra che cerchiamo di capire come risucchiare rumorosamente perché qui si fa così.
"Da bambini ci insegnano a non fare rumore quando bevi la zuppa con il cucchiaio e qui è tutto il contrario."
"Sì ma io non sono capace di risucchiare così vigorosamente, dici che il cuoco ci rimarrà male?".
Li vedo quei due con la giacca rossa che parlottano di rumori mentre attorno la gente mangia veloce come se avesse il palato di amianto.
In Giappone fare rumore mentre si risucchia non è solo simbolo di apprezzamento, ma è anche un modo per far raffreddare il brodo ed evitare l'ustione ma noi questa dote sembriamo averla persa da bambini.
In momenti come quello davanti a quella ciotola fumante è come se fossi sdoppiata, sono lì con le bacchette in mano ma sono anche qui a guardare tutto da fuori.
È una di quelle situazioni che chiamo "foto ricordo". Si tratta di attimi, esperienze, luoghi o persone che fotografo mentalmente per non perderne la memoria. E in quella "foto ricordo" c'è dentro tutto: l'immagine, ma anche i suoni, i profumi, i sapori e le sensazioni. Sì, soprattutto le sensazioni che si sono attaccate a qualcosa di concreto rendendolo immateriale e portandolo fuori dal tempo.
Tutto 'sto popò di roba per una semplice zuppa di noodles?
So che potrà sembrare assurdo ma sì, tutto questo per uno dei piatti più semplici della cucina giapponese. La felicità sta dentro alle piccole cose, direbbe qualcuno. E io sono convinta che le persone più felici, quelle più ricche, siano proprio quelle piene di immaginarie "foto ricordo" scattate in momenti speciali nella loro semplicità... che poi credo sia la ricetta per fare anche degli udon deliziosi.
FOTO RICORDO MARINARETTA
Se dovessi catalogare le mie "foto ricordo" credo avrei bisogno di due album.
Su uno ci sarebbe scritto "felicità" sull'altro "intensità".
Uno avrebbe una copertina azzurro chiaro con qualche cuore scarabocchiato, l'adesivo di un arcobaleno e delle stelline dorate.
L'altro invece sarebbe blu con i profili lasciati dalla schiuma delle onde e racchiuderebbe tutte quelle "foto ricordo" che hanno cambiato qualcosa. Cambiamenti grandi ma anche piccoli. Momenti che segnano un prima e un dopo, ma anche dettagli che modificano quasi impercettibilmente un'idea, un concetto.
A Osaka la mia seconda foto ricordo sarebbe del sorriso tirato e lo sguardo curioso di una ragazza vestita da marinaretta. Seduta su un piccolo piedistallo dentro una stanza spoglia a cui manca la parete davanti. Una luce bianca sparata sul volto e una donna più anziana davanti a lei che invita a entrare ma contemporaneamente incute timore.
Siamo nel quartiere a luci rosse di Osaka, forse il più grande bordello del Giappone.
Le ragazze attendono i clienti dentro queste stanze, una versione più sobria ed elegante dei quartieri di Amsterdam, ma senza il vetro della vetrina. Si passeggia per le vie, tra le luci delle lanterne, con le voci stridule e suadenti delle ragazze che salutano e invitano ad avvicinarsi.
È una situazione surreale questa. È un bordello ma non ha la connotazione cupa, sporca e consunta che in genere si associa a questi luoghi del sesso.
E la cosa che ancora più stride nella mia testa è il fatto che la prostituzione in Giappone sia illegale.
"Sono vietati i rapporti sessuali a pagamento tra sconosciuti" recita a grandi linee la legge.
Una norma sicuramente molto generica che in quartieri come quello di Osaka viene aggirata sapientemente in un semplice modo.
Il cliente entra nella stanza, incontra la ragazza e i due parlano per qualche minuto, giusto il tempo di trasformare due sconosciuti in due conoscenti.
A quel punto possono salire insieme al piano di sopra dove ci sono le stanze. Per la parte pagamento, invece, viene versata una somma come "consumazione" e il resto come "mancia". La legge non vieta nulla di tutto ciò quindi il problema è aggirato.
Ecco, la mia seconda istantanea ricordo a Osaka è del viso di una di quelle ragazze in attesa del cliente. Nessuna malizia nel suo sguardo e un guizzo di stupore quando realizza che sono una donna e sono straniera.
Questa foto è stato il primo tassello a far scricchiolare l'idea che avevo in mente del Giappone. "Tutti rispettano le regole qui", ne ero convinta. Ma più vado avanti nella conoscenza di questo Paese più mi sembra che di regole ce ne siano tante ma anche di modi per aggirarle. Forse il fatto che in tanti passassero con il rosso, doveva essere un segnale!
FOTO RICORDO RECEPTIONIST
La mia ultima "foto ricordo" di Osaka, la nostra prima città giapponese, è del signore della reception dell'hotel dove abbiamo dormito.
Un hotel vecchio stile con il cartello "qui si accettano anche donne" appeso sulla porta di ingresso. È una specifica strana a pensarci, ma gli altri hotel di questo genere nella zona sono destinati solo a una clientela maschile, non mista. Credo sia per evitare problemi, dato che ci troviamo a pochi chilometri dal quartiere della foto precedente.
Le stanze qui sono minuscole. Dei rettangoli che hanno solo lo spazio per stendere due futon. I bagni sono in comune, le docce e la cucina anche. Il prezzo è molto basso 2700 yen per una stanza per due persone (16€) che è poco trattandosi di Osaka ma è tanto se si pensa al tipo di sistemazione.
Non è però l'hotel in sé a stupirmi, ma il personale che ci lavora. Sono tutti degli amabili e sorridenti signori e signore sulla settantina, anno più anno men... no no, anno più e basta!
Non parlano una parola di inglese ma provano comunque a comunicare in una delle lingue che credo allunghi le vocali e le s finali più di qualunque altra al mondo.
Sono molte le persone non più giovani che lavorano in Giappone. Le vedi al supermercato o nei minimarket, alla guida dei taxi o a pulire i parchi. Sono fondamentali per l'economia del Paese. E lo so che suona strano dire che dei nonnini devono lavorare invece di godersi la pensione, a me personalmente fa un po' tristezza. Ma questo succede perché il Giappone è il Paese più anziano del mondo, con l'aspettativa di vita più lunga del Pianeta. Non si fanno figli e la popolazione invecchia, quindi non c'è una forza lavoro giovane che possa pagare pensioni e servizi per la terza età.
Gli anziani vengono quindi invitati a rimanere nel mercato del lavoro, magari svolgendo mansioni part-time, in modo da non pesare eccessivamente sull'economia del Paese.
Lo so, può suonare triste e ingiusta questa situazione... ma l'Italia è il secondo Paese più vecchio, dopo il Giappone, chissà se anche da noi andrà a finire così.
Angela (e Paolo)