Nelle liste l’iperlocalismo prevale. Si rivive lo scontro tra i “Ragazzi della via Paal”
L’incertezza e il localismo sono presenti nel macro, nel micro e scompongono e parcellizzano a vari livelli i grandi sistemi, le comunità, le diverse famiglie, gli individui. É uno stile, un modo di essere che si rigenera come se fosse un metodo galileiano, divenendo un pensiero massificante, globalizzante che lascia poco spazio a un pensiero divergente creativo e differenziante.
Non solo si sta vivendo in un mondo di emozioni tristi e di guerre ma anche di contrazione delle opportunità di crescita e sviluppo. Tutto è compresso dentro un contenitore che controlla, limita i processi delle decisioni come quelle assunte dall’Unione Europea in merito all’immigrazione.
La costante principale, che ha messo d’accordo anche appartenenze opposte, è un metodo conservativo, securitario, limitando i confini e monetizzando il contributo di paesi limitrofi del Mediterraneo a svolgere una funzione di controllo del flusso migratorio con contenitori securitari che negano il diritto d’asilo e dell’accoglienza.
Oltre alla logica perversa e paranoidea della paura dell’altro, l’incertezza e il localismo sono gli attori dominanti che condizionano il ragionamento.
Si è passati dal mito della libera globalizzazione messianica, che afferma che ognuno ha le stesse possibilità dell’altro, alla terra promessa del localismo stratificato, individualizzato: ognuno è costretto a misurarsi con le opportunità offerte dal locus.
Dopo la caduta dell’impero della globalizzazione, le periferie sono convinte che: chi fa da sé fa per tre. La narrazione dell’interazione multiculturale, economica e religiosa si è dimostrata fallace. Si è tornati ai limes e di conseguenza a guerre territoriali che rasentano il sogno perverso del priapismo erettivo pericoloso e minaccioso per sé e per gli altri come sta accadendo proprio in queste ore tra Iran e Israele.
Anche il rifiuto di votare contro un programma europeo per le case green entro il 2030,
per nuovi edifici a emissioni zero, con l’obbligo di usare pannelli solari e nuove caldaie, fa parte di questa riscoperta del localismo. Questo Governo autocentrato, conservatore, coltivatore di Anteros, che reclama e rivendica giustizia per essere stato tradito da troppo tempo, rivendica il comando, il potere, il suo sapere incompreso e sbeffeggiato.
La logica del localismo è quella dell’uno, giacché in due si è già in troppi: meglio soli che male accompagnati e non serve andare a votare.
È con questo cipiglio che il micro - proprio micro - localismo sta organizzando le singole liste elettorali nei comuni e nei paesi.
Non c’è una lista, nel micro più micro, che si presenti come partito, frutto di un’analisi più complessiva. Si formano liste casarecce tra amici e nemici di paese. Sembra di rivivere lo scontro tra “I ragazzi della via Paal”, c’è chi sta Boka, Geréb, Nemecsek e altri ragazzi di via Pál e chi sta con il valoroso e forte Feri Áts, capo delle camice rosse.
I partiti nel micro si nascondono sotto mentite spoglie con qualche simpatizzante. Il risultato è che si formano governi locali autocentrati e soggettati inevitabilmente a una concezione iper localistica.
Si è tornati ai piccoli feudi tra vassalli, valvassori, valvassini e popolo. È anche quello che sta succedendo nelle città urbane con la presenza di capi, capetti, boss presenti nei frantumati e inconsistenti partiti.
Non solo si sta vivendo in un mondo di emozioni tristi e di guerre ma anche di contrazione delle opportunità di crescita e sviluppo. Tutto è compresso dentro un contenitore che controlla, limita i processi delle decisioni come quelle assunte dall’Unione Europea in merito all’immigrazione.
La costante principale, che ha messo d’accordo anche appartenenze opposte, è un metodo conservativo, securitario, limitando i confini e monetizzando il contributo di paesi limitrofi del Mediterraneo a svolgere una funzione di controllo del flusso migratorio con contenitori securitari che negano il diritto d’asilo e dell’accoglienza.
Oltre alla logica perversa e paranoidea della paura dell’altro, l’incertezza e il localismo sono gli attori dominanti che condizionano il ragionamento.
Si è passati dal mito della libera globalizzazione messianica, che afferma che ognuno ha le stesse possibilità dell’altro, alla terra promessa del localismo stratificato, individualizzato: ognuno è costretto a misurarsi con le opportunità offerte dal locus.
Dopo la caduta dell’impero della globalizzazione, le periferie sono convinte che: chi fa da sé fa per tre. La narrazione dell’interazione multiculturale, economica e religiosa si è dimostrata fallace. Si è tornati ai limes e di conseguenza a guerre territoriali che rasentano il sogno perverso del priapismo erettivo pericoloso e minaccioso per sé e per gli altri come sta accadendo proprio in queste ore tra Iran e Israele.
Anche il rifiuto di votare contro un programma europeo per le case green entro il 2030,
per nuovi edifici a emissioni zero, con l’obbligo di usare pannelli solari e nuove caldaie, fa parte di questa riscoperta del localismo. Questo Governo autocentrato, conservatore, coltivatore di Anteros, che reclama e rivendica giustizia per essere stato tradito da troppo tempo, rivendica il comando, il potere, il suo sapere incompreso e sbeffeggiato.
La logica del localismo è quella dell’uno, giacché in due si è già in troppi: meglio soli che male accompagnati e non serve andare a votare.
È con questo cipiglio che il micro - proprio micro - localismo sta organizzando le singole liste elettorali nei comuni e nei paesi.
Non c’è una lista, nel micro più micro, che si presenti come partito, frutto di un’analisi più complessiva. Si formano liste casarecce tra amici e nemici di paese. Sembra di rivivere lo scontro tra “I ragazzi della via Paal”, c’è chi sta Boka, Geréb, Nemecsek e altri ragazzi di via Pál e chi sta con il valoroso e forte Feri Áts, capo delle camice rosse.
I partiti nel micro si nascondono sotto mentite spoglie con qualche simpatizzante. Il risultato è che si formano governi locali autocentrati e soggettati inevitabilmente a una concezione iper localistica.
Si è tornati ai piccoli feudi tra vassalli, valvassori, valvassini e popolo. È anche quello che sta succedendo nelle città urbane con la presenza di capi, capetti, boss presenti nei frantumati e inconsistenti partiti.
Dr. Enrico Magni, Psicologo, giornalista