Lecco, CGIL: Landini arringa l'assemblea, serve battaglia che sia sindacale, politica e culturale
Non bastano le mobilitazioni tradizionali. Occorre una strategia più articolata che passa attraverso la contrattazione, le leggi d’iniziativa popolare, i referendum, il contenzioso giuridico, le alleanze politiche con altre associazioni. Per rimettere al centro il valore delle persone, il valore del lavoro, il valore del cittadino lavoratore che deve essere libero anche sul posto di lavoro, a partire dai giovani e dalle donne, valori che devono venire prima del mercato e prima del profitto. Contrastando così le politiche di questo governo che utilizza il parlamento per scardinare il nostro sistema costituzionale, non solo attraverso il cosiddetto premierato, ma anche le leggi delega su fisco e salari con una linea che porta anche alla fine del sindacato come rappresentanza dei lavoratori, di tutti i lavoratori.
Intervento fiume, quello del segretario generale della Cgil nazionale Maurizio Landini davanti ai delegati lecchesi riunitisi al Politecnico per discutere della situazione politica generale e del programma di iniziative da intraprendere nei prossimi mesi. Un’ora e mezzo di intervento per ribadire più volte gli stessi concetti: la necessità di “aprire” il sindacato, di andare (tornare) a parlare e discutere con le persone e indicando nella lotta al lavoro precario il tema ormai ineludibile per il sindacato e proprio a ciò sono rivolti i tre quesiti referendari proposti dalla Cgil su licenziamenti e appalti per i quali nei prossimi mesi saranno raccolte le firme.
L’insistenza con la quale il segretario della Cgil ha sottolineato taluni aspetti è sembrata volta a superare eventuali resistenze di fronte a quella nuova strategia politica che si intende dispiegare nel futuro più prossimo, perché attendere non è possibile, la trasformazione è in atto adesso. Una trasformazione a più livelli, come mai si era visto in passato, una trasformazione occupazionale e sociale, una trasformazione negli stessi rapporti tra le persone per via della pandemia di covid, una trasformazione che passa anche attraverso la guerra. Con, a questo proposito, un ringraziamento a papa Francesco che ha suscitato l’applauso dell’assemblea. Complessivamente, «una situazione inedita mai affrontata da nessuno».
Il ragionamento di Landini ha quindi toccato diversi aspetti. A cominciare dall’Europa «che sta pagando un prezzo altissimo» per non essere un’Europa del sociale e dell’economia, ma soltanto l’Europa della moneta unica, motivo per il quale trovano consensi i partiti euroscettici che vanno a pescare proprio negli strati della popolazione interessati da lavori precari e salari bassi «e noi in Europa, con il governo che abbiamo, siamo la prova di quello che può succedere ovunque».
Di fronte a un’Europa fragili e a un’Occidente in crisi anche demograficamente, l’interrogativo è su chi governerà i processi di trasformazione in corso, dalla Cina all’India, ma anche all’Africa. L’Europa deve dunque cominciare a ragionare da Europa e non per singoli Stati.
Sul fronte interno, l’attacco è al governo che «ha fatto una scelta: non riconoscere alla Cgil e alla Uil il diritto di negoziare», che mette in discussione i contratti nazionali per privilegiare quelli locali, preludendo anche al ritorno delle gabbie salariale, osteggiando la legge sulla rappresentanza sindacale così da poter decidere con quali organizzazioni sindacali trattare indipendentemente dalla loro rappresentatività con l’obiettivo evidente di arrivare a escludere i confederali dalle contrattazioni. Su certi temi, come quello fiscale, il governo ha fatto votare dal Parlamento una legge delega per avere mani libere, così da arrivare alla flat tax, escludendo la tassazione delle rendite e dei profitti, favorendo i condoni e non incentivando la lotta all’evasione fiscale, per lasciare che il 95% dell’Irpef sia pagato da lavoratori e pensionati, cos’ che le risorse siano sempre meno. Ne fanno le spese la sanità che ormai già non è più pubblica e la scuola.
«La democrazia – ha detto Landini – non esiste solo perché si va a votare ogni cinque anni, ma anche per il confronto continuo con i cittadini e i lavoratori, con la partecipazione. E in un Paese dove il 50% degli elettori non va più a votare il messaggio è che bisogna arrangiarsi o che c’è una rassegnazione sociale diffusa. Perché quelli che non vanno a votare non stanno dalla parte di chi sta meglio, bensì di chi sta peggio. Non stiamo vivendo una situazione normale. Ma chi sta governando non ha partecipato alla fondazione della democrazia in Italia e alla scrittura della Costituzione, chi sta governando non ha intenzione di governare, ma di comandare». E del resto favorire il lavoro precario, gli appalti a cascata che determinando la frammentazione, rende il cittadino-lavoratore meno libero e più ricattabile ed è un problema anche per la democrazia.
Per quanto, sull’aumento del precariato, le responsabilità non sono soltanto del governo attuale ma anche di ghi ha governato negli anni precedenti, dal 2000 a oggi: «Il precariato non è nato per caso, ma da una cultura che ha attraversato trasversalmente le forze partitiche, il precariato era la condizione dello sviluppo e ha portato all’impoverimento: nel 2023 su quasi 7 milioni di nuovi rapporti di lavoro, solo il 16% era costituito da contratti a tempo indeterminato; in Italia ci sono 6 milioni di persone che vivono con un reddito inferiore agli undicimila euro annui, significa dunque che non ci si garantisce una vita dignitosa nemmeno lavorando e non è poi detto che chi arriva a 25mila euro stia meglio: «dipende dalle condizioni».
Per il segretario nazionale della Cgil è quindi necessaria una battaglia che sia assieme sindacale, politica e culturale per cambiare il modello di sviluppo, assumendosi con forza il tema del precariato perché se non lo si contrasta non si uscirà dalla situazione attuale. «E in Italia – la conclusione che è un’autentica raccolta delle truppe, chi può farlo, se non noi? Chi altri, se non il sindacato, ha ancora un forte radicamento nella società? Forse solo la Chiesa che comunque qualche problema interno lo ha anch’essa».
Dunque avanti. A partire dallo sciopero generale dei giovedì 11 aprile. E poi la manifestazione romana del 20 aprile su salute e sicurezza e la manifestazione della “Via Maestra” a Napoli il 25 maggio.
Intervento fiume, quello del segretario generale della Cgil nazionale Maurizio Landini davanti ai delegati lecchesi riunitisi al Politecnico per discutere della situazione politica generale e del programma di iniziative da intraprendere nei prossimi mesi. Un’ora e mezzo di intervento per ribadire più volte gli stessi concetti: la necessità di “aprire” il sindacato, di andare (tornare) a parlare e discutere con le persone e indicando nella lotta al lavoro precario il tema ormai ineludibile per il sindacato e proprio a ciò sono rivolti i tre quesiti referendari proposti dalla Cgil su licenziamenti e appalti per i quali nei prossimi mesi saranno raccolte le firme.
L’insistenza con la quale il segretario della Cgil ha sottolineato taluni aspetti è sembrata volta a superare eventuali resistenze di fronte a quella nuova strategia politica che si intende dispiegare nel futuro più prossimo, perché attendere non è possibile, la trasformazione è in atto adesso. Una trasformazione a più livelli, come mai si era visto in passato, una trasformazione occupazionale e sociale, una trasformazione negli stessi rapporti tra le persone per via della pandemia di covid, una trasformazione che passa anche attraverso la guerra. Con, a questo proposito, un ringraziamento a papa Francesco che ha suscitato l’applauso dell’assemblea. Complessivamente, «una situazione inedita mai affrontata da nessuno».
Il ragionamento di Landini ha quindi toccato diversi aspetti. A cominciare dall’Europa «che sta pagando un prezzo altissimo» per non essere un’Europa del sociale e dell’economia, ma soltanto l’Europa della moneta unica, motivo per il quale trovano consensi i partiti euroscettici che vanno a pescare proprio negli strati della popolazione interessati da lavori precari e salari bassi «e noi in Europa, con il governo che abbiamo, siamo la prova di quello che può succedere ovunque».
Di fronte a un’Europa fragili e a un’Occidente in crisi anche demograficamente, l’interrogativo è su chi governerà i processi di trasformazione in corso, dalla Cina all’India, ma anche all’Africa. L’Europa deve dunque cominciare a ragionare da Europa e non per singoli Stati.
Sul fronte interno, l’attacco è al governo che «ha fatto una scelta: non riconoscere alla Cgil e alla Uil il diritto di negoziare», che mette in discussione i contratti nazionali per privilegiare quelli locali, preludendo anche al ritorno delle gabbie salariale, osteggiando la legge sulla rappresentanza sindacale così da poter decidere con quali organizzazioni sindacali trattare indipendentemente dalla loro rappresentatività con l’obiettivo evidente di arrivare a escludere i confederali dalle contrattazioni. Su certi temi, come quello fiscale, il governo ha fatto votare dal Parlamento una legge delega per avere mani libere, così da arrivare alla flat tax, escludendo la tassazione delle rendite e dei profitti, favorendo i condoni e non incentivando la lotta all’evasione fiscale, per lasciare che il 95% dell’Irpef sia pagato da lavoratori e pensionati, cos’ che le risorse siano sempre meno. Ne fanno le spese la sanità che ormai già non è più pubblica e la scuola.
«La democrazia – ha detto Landini – non esiste solo perché si va a votare ogni cinque anni, ma anche per il confronto continuo con i cittadini e i lavoratori, con la partecipazione. E in un Paese dove il 50% degli elettori non va più a votare il messaggio è che bisogna arrangiarsi o che c’è una rassegnazione sociale diffusa. Perché quelli che non vanno a votare non stanno dalla parte di chi sta meglio, bensì di chi sta peggio. Non stiamo vivendo una situazione normale. Ma chi sta governando non ha partecipato alla fondazione della democrazia in Italia e alla scrittura della Costituzione, chi sta governando non ha intenzione di governare, ma di comandare». E del resto favorire il lavoro precario, gli appalti a cascata che determinando la frammentazione, rende il cittadino-lavoratore meno libero e più ricattabile ed è un problema anche per la democrazia.
Per quanto, sull’aumento del precariato, le responsabilità non sono soltanto del governo attuale ma anche di ghi ha governato negli anni precedenti, dal 2000 a oggi: «Il precariato non è nato per caso, ma da una cultura che ha attraversato trasversalmente le forze partitiche, il precariato era la condizione dello sviluppo e ha portato all’impoverimento: nel 2023 su quasi 7 milioni di nuovi rapporti di lavoro, solo il 16% era costituito da contratti a tempo indeterminato; in Italia ci sono 6 milioni di persone che vivono con un reddito inferiore agli undicimila euro annui, significa dunque che non ci si garantisce una vita dignitosa nemmeno lavorando e non è poi detto che chi arriva a 25mila euro stia meglio: «dipende dalle condizioni».
Per il segretario nazionale della Cgil è quindi necessaria una battaglia che sia assieme sindacale, politica e culturale per cambiare il modello di sviluppo, assumendosi con forza il tema del precariato perché se non lo si contrasta non si uscirà dalla situazione attuale. «E in Italia – la conclusione che è un’autentica raccolta delle truppe, chi può farlo, se non noi? Chi altri, se non il sindacato, ha ancora un forte radicamento nella società? Forse solo la Chiesa che comunque qualche problema interno lo ha anch’essa».
Dunque avanti. A partire dallo sciopero generale dei giovedì 11 aprile. E poi la manifestazione romana del 20 aprile su salute e sicurezza e la manifestazione della “Via Maestra” a Napoli il 25 maggio.
D.C.