In viaggio a tempo indeterminato/324: come un libro ingiallito

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Il Laos è un po' come quel libro impolverato e dalle pagine ingiallite che non si sa come sia finito nella libreria.
Nessuno si ricorda di averlo letto e nemmeno chi sia stato a lasciare il segno del fondo della tazza del tè a pagina 72.
Eppure un certo interesse deve averlo suscitato in passato a giudicare dalle innumerevoli pieghe agli angoli delle pagine. Ha la copertina blu scuro di cartone spesso e il titolo è scritto in caratteri dorati molto piccoli.
Sembra non risaltare tra gli altri volumi colorati, plastificati e ordinati. Ma se lo togli, la pila crolla e si rompe l'equilibrio.
E se ti metti a leggerlo, ti accorgi che quell'apparenza trasandata e polverosa che ti aveva fatto storcere il naso all'inizio, è in realtà la sua più grande ricchezza.
Ecco, il Laos io lo vedo un po' così, "sgarrupato" ma romanticamente fermo nel tempo.
Un Paese dove puoi passare ore e ore a risalire il fiume su una stretta e scomoda barca di legno, incrociando soltanto lo sguardo di bufali annoiati dalla calura pomeridiana.
Un Paese dove esistono ancora villaggi che raggiungi solo se hai la pazienza di metterti seduto su un asse di legno stretto, mentre gli schizzi d'acqua riempieno lo scafo.
Un Paese dove i bambini si divertono di gusto a tuffarsi nel fiume poco prima del tramonto.
È fermo in un passato che, anche se non puoi aver conosciuto, ti sembra così familiare e ti rasserena. Come se tutti alla fine, venissimo da lì, dalla terra, dalla natura, dalla semplicità.

Si lo so, inizio un po' malinconico con un pizzico di nostalgia e una spolverata di natura selvaggia.
Il Laos mi ha ispirato questo nella seconda e ultima parte del viaggio. I primi giorni, sinceramente, non siamo andati un granché d'accordo nel caos delle città, tra i pullman di turisti e i prezzi gonfiati.
Ma sul fiume "ciotola di riso" credo di aver incontrato il Laos di cui avevo davvero bisogno.
Quello che ai miei occhi "occidentalizzati" sembra essere rimasto indietro nel tempo, con la raccolta di riso che scandisce le stagioni e il tramonto del sole a chiudere le giornate.
È un pensiero che ultimamente faccio spesso questo. Chi è davvero rimasto indietro nel tempo? Noi, incastrati dietro uno schermo dove le giornate non finiscono mai e i rapporti umani sono sempre meno essenziali?
O loro, che vivono della e con la natura, senza la pretesa di arrivare per forza da qualche parte?
Lo so, banalizzare è facile. Ci sono pro e contro evidenti in entrambe le situazioni e questo non è il centro del discorso che voglio fare oggi.
Ma il dolore al fondoschiena per le 6 ore abbondanti passate su una barca troppo carica che arrancava risalendo il fiume Nam Ou, qualche pensierino me lo ha fatto fare.
Oltre a chiedermi per quale strana legge della fisica quell'ammasso di assi di legno riuscisse a rimanere a galla pur imbarcando costantemente acqua.
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Il fiume Nam Ou è uno dei più lunghi affluenti del leggendario fiume Mekong, il simbolo del Sud Est Asiatico. Le sue acque e le sue rive sono fonte di sostentamento per moltissime persone che abitano lungo il suo percorso.
448 km di lunghezza, il Nam Ou nasce nello Yunnan in Cina, a un'altitudine di 1200 metri ed è navigabile soltanto con piccole imbarcazioni a motore come quella che abbiamo preso noi.
Strette e lunghe, percorrono il fiume da nord a sud e viceversa. Sono veloci e viaggiano a pelo d'acqua, sfiorandola senza però disturbarla troppo.
La coltivazione del riso e l'allevamento del bestiame sono le principali attività svolte nei pochi villaggi che si incontrano navigando.
Il paesaggio sembra così incontaminato da farti credere che qui l'uomo non abbia ancora messo mano.
Poi però la barca attracca, si scende tutti muniti di bagagli e sullo sfondo compare una gigantesca diga. Un muro di cemento che imprigiona un tratto di fiume.
Le barche di legno sembrano dei minuscoli stuzzicadenti al confronto. Non resta che salire sul retro di un pick-up, percorrere qualche chilometro e prendere un'altra barca che a quel punto non odi per la sua scomodità, ma apprezzi per il suo essere l'ultimo baluardo di un'antica tradizione.
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Paolo dice spesso una frase che mi sembra perfetta per descrivere la nostra risalita sul fiume Nam Ou. 
"Viaggiare ti fa vedere quanto sia spettacolare il mondo ma anche quanto faccia tremendamente schifo".
Anche un animo romantico come il mio, deve ammettere che è realmente così.
Viaggiare ti fa togliere le fette di salame dagli occhi, nel bene e nel male.
Ti insegna quanto meraviglioso, magico, sicuro, felice e sereno sia il mondo. Ma nello stesso esatto istante ti fa vedere quanto sia rovinato, deturpato, ingiusto e triste.
Due facce della stessa medaglia. Proprio le stesse che rappresenta questo fiume.
Da un lato libero, selvaggio e di tutti, dall'altro incatenato e sfruttato.
Quella gigantesca diga fa infatti parte del progetto idroelettrico chiamato "cascata del fiume Nam Ou".
Si tratta dell' costruzione di 7 dighe per la produzione di energia elettrica.
Il progetto è realizzato dal governo laotiano in collaborazione con l'azienda cinese Powerchina.
Un progetto molto ambizioso che ha l'obiettivo di trasformare il nord del Laos nella "batteria elettrica del Sud est asiatico".
I danni all'ecosistema del fiume e delle sue rive sono innumerevoli, così come moltissimi sono gli interi villaggi che sono stati costretti a spostarsi per i lavori di costruzione.
Qualcuno direbbe "è il prezzo da pagare per il progresso" ma, torno al noioso discorso di prima, siamo sicuri che stiamo proprio progredendo?
Angela (e Paolo)
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