Lecco: una targa a 80 anni dagli scioperi del '44. Annunciata un'altra pietra d'inciampo

Una targa per spiegare ai lecchesi gli scioperi del 7 marzo 1944, quando 26 operai, tra i quali cinque donne, vennero arrestati e deportati nei campi di concentramento nazisti dove 19 di essi morirono per stenti e malattia. La targa, la dodicesima installata lungo un ideale percorso della Resistenza in città, è stata posta all’ingresso del parco di corso Matteotti intitolato proprio al 7 marzo. 
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Lo scoprimento dell’insegna ha caratterizzato la celebrazione dell’ottantesimo anniversario di quel 7 marzo avvenuta come di consueto nel rione di Castello, epicentro delle agitazioni operaie di quella giornate che hanno interessato la “Badoni”, la “Rocco Bonaiti”, la “File” e “l’Arlenico-Caleotto”. 
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La manifestazione, come sempre, è stata organizzata in collaborazione tra Comune, Provincia, Associazione partigiani e organizzazioni sindacali confederali (Cgil, Cisl e Uil)
La mattinata è cominciata nella chiesa parrocchiale del rione con la messa celebrata dal vicario episcopale Gianni Cesena, dopo di che il corteo con i gonfaloni e le autorità ha raggiunto il parco 7 marzo dove si sono tenuti i discorsi del sindaco Mauro Gattinoni e del presidente provinciale dell’Associazione partigiani Enrico Avagnina.
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Nel suo intervento, Gattinoni ha definito una “sfilata macabra” quella con la quale, in quel 7 marzo 1944, i fascisti accompagnarono gli operai per le vie della città fino alla stazione ferroviaria, quale monito e minaccia nei confronti della popolazione. In quel momento le piccole storie personali di quegli operai lecchesi, la cosiddetta microstoria, entravano nella grande storia, come gocce nel mare e, nel loro piccolo, arricchendolo. Inevitabili anche i riferimenti all’attualità. E il sindaco ha richiamato le parole con le quali il presidente della Repubblica Sergio Mattarello ha stigmatizzato l’uso dei manganelli da parte della polizia contro le manifestazioni degli studenti, perché in una democrazia non si può permettere la repressione violenta di libere manifestazioni.
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Enrico Avagnina

Avagnina ha ricordato le figure di Regina Aondio e Pino Galbani, due degli operai allora deportati e due dei pochi che si salvarono dall’inferno dei lager e poterono tornare a casa, per restare a lungo in silenzio e poi decidere di raccontare quanto accaduto: «Ora che i testimoni di quegli episodi non ci sono più, l’impegno nostro è quello di continuare a raccontare». Ai giovani soprattutto: «Molti che intervengono a manifestazioni come questa spesso si dicono delusi per la scarsa partecipazione dei giovani.  Ma noialtri, davanti alle targhe e alle pietre di inciampo presenti in città portiamo proprio le scuole, i giovani e raccontiamo quando accaduto».
A proposito di pietre inciampo, inoltre, Avagnina ha annunciato la posa di una nuova pietra nel rione di San Giovanni davanti alla casa dove abitava Emma Casati, ella pure tra gli operai deportati per gli scioperi del 7 marzo e morta di tifo ad Auschwitz. La pietra si aggiungerà a quelle posate ad Acquate in memoria di Pietro Ciceri e Lino Ciceri.

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«Dobbiamo continuare a illuminare il lascito di quel periodo – ha concluso il presidente Anpi – che è la Costituzione e il nostro impegno è quella di lottare perché siano attuati quei principi che ancora non lo sono e quella di difenderla dagli attacchi e dai propositi di modifica per introdurre l’autonomia differenziata o variegate proposte di presidenzialismo e perché non si dimentichi il valore della solidarietà nei confronti di chi ha bisogno. E allora saremo orgogliosi quando non vedremo più le code alla Caritas, quando non ci sarà più la dispersione scolastica, quando si tornerà a una sanità pubblica nel vero senso della parola, quando la ricerca di soluzioni diplomatiche in Ucraina e Palestina metterà fine alle guerre».
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Ci si è poi spostati nell’aula magna dell’istituto scolastico “Bertacchi” dove, davanti a un pubblico composto anche da studenti, hanno portato i loro saluti il prefetto Sergio Pomponio, il vicepresidente provinciale Carlo Malugani, la dirigente scolastica dell’istituto Stefania Perego, il segretario della Camera del lavoro Diego Riva e la presidente dell’Associazione dei famigliari di Caduti e dispersi di Lecco, Alessandra Anghileri: «Continuo a ricordare per onorare una promessa fatta a mia madre e mia zia che mi raccontavano i fatti ma non hanno mai istigato all’odio e alla vendetta così come hanno fatto Pino Galbani e Regina Funes affinché anche voi giovani sappiate portare avanti le vostre idee ma, qualsiasi divisa indossiate, senza prevaricare sugli altri ma usando le parole del dialogo».
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Angelo De Battista

La parte storica della rievocazione è stata affidata alle parole del lecchese Angelo De Battista e del comasco Fabio Cani, una doppia relazione che sta a testimoniare la volontà di riannodare i fili tra le due città, in quel 1944 parte di un’unica provincia, «perché siamo su due rami distinti del lago – per usare le parole di Cani – ma sembriamo su pianeti diversi». Così, nella ricorrenza degli scioperi – quelli di Como avvenuti il 6 marzo e quelli lecchesi appunto il giorno successivo – i racconti si sono mescolati.
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Nel corso dell’incontro spazio anche alla presentazione dei video realizzati dagli studenti lo scorso anno in occasione del Viaggio della Memoria.
La cerimonia è stata conclusa dall’esibizione del coro della scuola media Stoppani diretto dal maestro Giuseppe Caccialanza.
D.C.
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