Omicidio di Germanedo: non passa la tesi del raptus, ma la Corte 'lima' la condanna. 10 anni al marito
Non è stato un raptus. Lo ha stabilito il perito nominato dal Tribunale e lo ha condiviso il sostituto procuratore Pasquale Gaspare Esposito in requisitoria, lasciando dunque l'avvocato Richard Martini da solo nel sostenere come l'uxoricidio sia frutto di un black out, di un momento di frattura.
Dopo una (relativamente) breve camera di consiglio, la Corte d'Assise di Como – e dunque una giuria mista, con giudici togati e giudici popolari, presieduta dalla dottoressa Valeria Costi – ha condannato il lecchese Umberto Antonello, 88 anni tra due giorni, a 10 anni di reclusione, riconoscendolo colpevole dell'omicidio volontario della moglie Antonietta Vacchelli, strangolata nel letto dell'abitazione coniugale nella notte del 6 febbraio 2023 a Germanedo.
Ne aveva chiesti 14 il PM, riconoscendo all'uomo le attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti e dunque il vincolo di parentela e la minorata difesa.
Schematica, la sua ricostruzione dell'accaduto. Umberto Antonello – ha detto il rappresentante della Procura – rifacendosi all'analisi dello psichiatra scelto quale perito del Tribunale che ha attestato la capacità di intendere e volere dell'imputato al momento del fatto nonché la sua capacità di stare in giudizio, “ha ucciso la moglie, strangolandola. Perché? Perché era esasperato. Il dottor Molteni ha parlato di esasperazione emotiva. Si è arrivati a questa condizione per una situazione di stress” ha argomentato il dottor Esposito, descrivendo la vittima con le stesse parole usate dal figlio e dalla nipote e dunque come una donna rigida, testarda, che non ha accettato alcun aiuto, appoggiandosi esclusivamente sul marito. Una donna, poi, afflitta da gravi problemi di salute, dilaniata da dolori imputabili probabilmente non solo all'osteoporosi ma anche ad un tumore in stadio avanzato, scoperto solo in sede di autopsia. Ricordate altresì dal PM le notti insonni.
“Non è stato un gesto dettato dalla pietà” ha però chiosato il sostituto procuratore, arrivando a quelle mani strette nottetempo da Antonello al collo della consorte, sua coetanea, fino a strangolarla. Escluso dunque, dal pubblico ministero, l'omicidio del consenziente così come la possibilità di parlare di un atto che vira sull'eutanasia, per la violenza del mezzo scelto.
Anche quel ripetere “voglio morire” da parte della Vacchelli – riferito in Aula dai suoi famigliari – secondo il dottor Esposito, non può essere posto a giustificazione dell'azione omicida quanto piuttosto, è stato sostenuto, è da leggere come un modo dell'anziana per allontanare da sé il dolore, come del resto inteso anche da figlio e nipote.
Si è trattato dunque, per la pubblica accusa di un omicidio volontario "secco". Come del resto da conclusioni del dottor Molteni che ha parlato – nel proporre alla Corte la sintesi del proprio lavoro peritale – di quanto successo a casa Antonello la notte del 6 febbraio dello scorso anno come di una sequenza di eventi che hanno la loro razionalità. E dunque di un gesto omicida inserito in un continuum ma “scotomizzato,” portato fuori da tutto, con la vita – dell'imputato - poi ripresa, “non dico senza dolore, ma ripresa”.
“Questa difesa non può concordare con quella perizia che mal si attaglia a quello che è successo, al dramma vissuto per mesi dal signor Antonello” ha affermato, invece, in un passaggio della sua arringa, l'avvocato Martini, insistendo nel riproporre le conclusioni del suo consulente, il dottor Giuseppe Giunta, parlando dunque di un disturbo mentale transitorio, di un black out in un uomo che “non si è nemmeno accorto di aver raggiunto il limite, di non poter proseguire così”.
L'88enne per il difensore è non punibile in quanto da ritenere incapace di intendere e volere al momento dell'uxoricidio (o comunque con capacità gravemente scemata).
L'anziano seduto al suo fianco in prima fila al cospetto della Corte, è poi per la toga lecchese un soggetto che si è reso responsabile, in ogni caso, di un “atto imprevisto, che la sua mente non aveva nemmeno ipotizzato” : non voleva uccidere la moglie. Dunque difettando la volontà dell'agente manca, per Martini, anche un presupposto dell'omicidio volontario.
Una ricostruzione, quella tratteggiata, che ha portato dunque il legale a non insistere – pur citandolo, proprio come il PM ma in contraddittorio – sul tema dell'omicidio del consenziente, pur rimarcando come Antonietta anche la sera del 5 febbraio abbia ribadito alla nipote Martina il desiderio di morire.
Solo in estremo subordine, il penalista ha insistito per la concessione, "qualora si ritenga integrato il reato di omicidio volontario" – come già da disamina del dottor Esposito – delle attenuanti, anche sulla base dell'avvenuto “risarcimento del danno”, alla luce delle scelte successorie compiute dall'imputato in favore dell'unico figlio.
Alle 13.25 la lettura del dispositivo della sentenza. Con il “conto” limato rispetto alle richieste del PM a 10 anni per l'esclusione di una delle aggravanti e la concessione, effettivamente delle generiche prevalenti. Ad attendere la sentenza con Umberto Antonello il figlio Stefano che mai lo ha lasciato solo per tutta l'istruttoria, a riprova di come la famiglia abbia fatto quadrato, fin da subito, attorno all'anziano.
90 giorni il termine per il deposito della sentenza.