Lecco, finta commercialista? E' assolta per l'esercizio abusivo della professione ma 'stangata' per truffa
Era accusata di esercizio abusivo della professione e truffa. E' stata assolta - perché il fatto non sussiste - dal primo capo d'imputazione e condannata solo in riferimento alla seconda ipotesi di reato in contestazione. A una pena però ben superiore a quella "cumulativa" prospettata dalla pubblica accusa. Se infatti il mese scorso il vpo Caterina Scarselli aveva chiesto di riconoscere l'imputata colpevole e di "punirla" con 8 mesi di reclusione, quest'oggi il giudice monocratico Martina Beggio ha irrogato a Nicoletta C. un anno tondo tondo in più, chiudendo dunque il conto a un anno e 8 mesi, oltre a una multa da 800 euro. Ma non solo, le ha anche revocato la sospensione condizionale ottenuta in riferimento a altro fascicolo e l'ha condannata altresì al risarcimento del danno patito dalla parte civile, da quantificarsi poi in separata sede. Addossate infine all'imputata anche le spese di lite, per poco più di 1.700 euro.
Già preannunciato, da parte dell'avvocato Alessandro Zuco, difensore della signora congiuntamente al collega Daniele Gandini (oggi non presente alla lettura del dispositivo) il ricorso in Appello.
Del resto, già in primo grado è stata battaglia fino all'ultimo, con l'avvocato Giordano Freti, legale della persona offesa, intervenuto anche questa mattina, per replicare alle conclusioni rassegnate alla scorsa udienza dei legali di Nicoletta C., arrivati a ipotizzare dei reati in carico proprio al denunciante, trovatosi a passare "da vittima a carnefice" per mutuare le parole spese in Aula dal suo avvocato.
Tutta la vicenda finita al vaglio del Tribunale - per quanto emerso in corso di istruttoria - muove dalla querela sporta da un imprenditore, legale rappresentante di tre società, una delle quali al tempo dei fatti in liquidazione volontaria. L'uomo tra il 2018 e il 2020, si sarebbe servito dello studio dell'imputata, ritenendo di aver a che fare con una commercialista da lui incaricata – pur senza la sottoscrizione di uno specifico contratto ma, di fatto, accettando un tariffario per i servizi resi – della tenuta della contabilità, della compilazione degli F24 e delle dichiarazioni ai fini IVA, salvo poi scoprire di essere diventato inadempiente e di essersi affidato ad una professionista che era priva di titoli.
L'allora sostituto procuratore Paolo Del Grosso (trasferitosi nel frattempo a Torino) aveva dunque delegato alla Guardia di Finanza le indagini sulla vicenda, con il procedimento penale incardinato poi al cospetto del giudice monocratico Martina Beggio.
Nel corso dell'istruttoria dibattimentale sono stati escussi diversi testi citati dalle parti, oltre all'imputata, sottopostasi ad esame. Titolare di un centro di elaborazione dati fondato nel 1993 a Malgrate - all'epoca dei fatti gestito insieme ad un socio commercialista - nel 2011 la donna aveva liquidato la snc per aprire un nuovo studio con sede nel medesimo comune e trasferito qualche anno più tardi a Lecco. ''Mi sono sempre avvalsa della collaborazione di professionisti'' aveva precisato la donna al giudice, elencando da subito le attività che poteva svolgere in autonomia, essendo priva dell'abilitazione e della laurea e quelle che invece necessitavano i titoli. Nel ribadire di essere un ''perito aziendale'', l'imputata aveva affermato a più riprese di non aver mai millantato titoli che non possedeva, specificando che gli adempimenti su contabilità e bilanci che effettuava regolarmente nella sua ordinaria attività, non richiedevano l'iscrizione all'albo. In altri casi, per determinate prestazioni, erano i professionisti che collaboravano con lei ad occuparsene.
Il giudice le ha evidentemente creduto in riferimento al contestato esercizio abusivo della professione, ma l'ha ritenuta invece colpevole di truffa.
Già preannunciato, da parte dell'avvocato Alessandro Zuco, difensore della signora congiuntamente al collega Daniele Gandini (oggi non presente alla lettura del dispositivo) il ricorso in Appello.
Del resto, già in primo grado è stata battaglia fino all'ultimo, con l'avvocato Giordano Freti, legale della persona offesa, intervenuto anche questa mattina, per replicare alle conclusioni rassegnate alla scorsa udienza dei legali di Nicoletta C., arrivati a ipotizzare dei reati in carico proprio al denunciante, trovatosi a passare "da vittima a carnefice" per mutuare le parole spese in Aula dal suo avvocato.
Tutta la vicenda finita al vaglio del Tribunale - per quanto emerso in corso di istruttoria - muove dalla querela sporta da un imprenditore, legale rappresentante di tre società, una delle quali al tempo dei fatti in liquidazione volontaria. L'uomo tra il 2018 e il 2020, si sarebbe servito dello studio dell'imputata, ritenendo di aver a che fare con una commercialista da lui incaricata – pur senza la sottoscrizione di uno specifico contratto ma, di fatto, accettando un tariffario per i servizi resi – della tenuta della contabilità, della compilazione degli F24 e delle dichiarazioni ai fini IVA, salvo poi scoprire di essere diventato inadempiente e di essersi affidato ad una professionista che era priva di titoli.
L'allora sostituto procuratore Paolo Del Grosso (trasferitosi nel frattempo a Torino) aveva dunque delegato alla Guardia di Finanza le indagini sulla vicenda, con il procedimento penale incardinato poi al cospetto del giudice monocratico Martina Beggio.
Nel corso dell'istruttoria dibattimentale sono stati escussi diversi testi citati dalle parti, oltre all'imputata, sottopostasi ad esame. Titolare di un centro di elaborazione dati fondato nel 1993 a Malgrate - all'epoca dei fatti gestito insieme ad un socio commercialista - nel 2011 la donna aveva liquidato la snc per aprire un nuovo studio con sede nel medesimo comune e trasferito qualche anno più tardi a Lecco. ''Mi sono sempre avvalsa della collaborazione di professionisti'' aveva precisato la donna al giudice, elencando da subito le attività che poteva svolgere in autonomia, essendo priva dell'abilitazione e della laurea e quelle che invece necessitavano i titoli. Nel ribadire di essere un ''perito aziendale'', l'imputata aveva affermato a più riprese di non aver mai millantato titoli che non possedeva, specificando che gli adempimenti su contabilità e bilanci che effettuava regolarmente nella sua ordinaria attività, non richiedevano l'iscrizione all'albo. In altri casi, per determinate prestazioni, erano i professionisti che collaboravano con lei ad occuparsene.
Il giudice le ha evidentemente creduto in riferimento al contestato esercizio abusivo della professione, ma l'ha ritenuta invece colpevole di truffa.