Lecco: relazione sul carcere, a preoccupare è 'il dopo'

La casa circondariale di Pescarenico mercoledì sera è entrata a Palazzo Bovara grazie all’audizione annuale del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Lecco, Lucio Farina. Nella sua relazione ha descritto le attività che porta avanti in questa veste, innanzitutto il confronto con i detenuti: “Cerco di garantire la mia presenza una volta alla settimana o ogni 15 giorni. In questi momenti svolgo dei colloqui con quattro o cinque detenuti perché mi viene fatta richiesta esplicita o su mia iniziativa per approfondire delle questioni specifiche. Cerco sempre di parlare sempre anche con la polizia penitenziaria, con la direzione e con gli educatori. Circa 15 giorni fa ho fatto anche un sopralluogo dentro le celle”. 
luciofarina.jpg (58 KB)
Lucio Farina
Nella struttura di Pescarenico sono accolte persone che sono sotto processo in attesa della sentenza, persone che stanno scontando una condanna definitiva sotto i cinque anni o arrivate a “fine pena”. Alla fine di dicembre erano presenti 69 detenuti, ma è un flusso continuo e i numeri possono variare spesso seppur leggermente. In questo momento c’è un “lieve sovraffollamento”, ha spiegato Farina, dal momento che la struttura era stata pensata per offrire 52 posti, poi per legge la capienza è stata aumentata a 89 e la media è attorno ai 70 ospiti. 
“Non c’è la percezione di sovraffollamento e anche i detenuti non portano questo come problema” ha sottolineato il garante. Tra loro sono pochissimi i residenti in provincia di Lecco, la maggior parte viene da altre carceri e il 60% è di origine straniera, prevalentemente dall’Africa del Nord. I reati di cui si sono resi colpevoli sono prevalentemente legati all’uso o allo spaccio di droga e le pene più lunghe da scontare sono attorno ai tre anni. 
Un dato allarmante riguarda è quello anagrafico: “L’età di ingresso si è abbassata molto, gli ultimi arrivati sono ragazzi di 20, 21 anni, italiani, stranieri e di seconda generazione. Questo è sicuramente un elemento di tensione ma non ci sono stati episodi significativi in questo senso e anche il grave problema dei suicidi che affligge le carceri italiane a Lecco fortunatamente non si presenta”. 
Dopo i difficili anni del Covid-19 è stata riattivata la rete del volontariato con diverse figure che entrano nella casa circondariale per svolgere delle attività “e questo indubbiamente fa star meglio le persone” sottolinea Farina. Funzionano anche il presidio sanitario, con la presenza di medico e infermiere, e la possibilità di coinvolgere, all’occorrenza, la figura dello psichiatra, nonché la scuola in carcere, servizio affidato al Cpia che invia sei docenti - che, tra le altre cose, propongono l’insegnamento della lingua italiana alle persone di origine straniera - e offre anche approfondimenti su temi specifici.

Grazie al progetto “Porte aperte”, a cui anche il Comune di Lecco partecipa, vengono offerti dei servizi collaterali come ad esempio la presenza delle assistenti sociali che supportano nella ricerca della casa e del lavoro in vista dell’uscita, figure socio-educative di riferimento e l’agente di rete che segue le persone una volta terminata la pena. 
“Un problema è costituito dal fatto che la struttura che è molto piccola e questo limita anche le attività che possono essere proposte. Così come le attività lavorative all’interno della casa circondariale che possono essere attivate non sono molte, stiamo ragionando per capire se si possono attivare al di fuori ma non è semplicissimo far uscire le persone, in regime di semi libertà c’è una persona sola e l’esperienza è molto positiva - prosegue il garante - Un altro elemento problematico è costituito dall’ingresso di persone con disturbi mentali, ne basta una sola per creare panico perché non ci sono le competenze necessarie per gestirle, servirebbe un raccordo più forte con l’Ats e l’Asst”. 
Lo scorso 6 febbraio ha effettuato il sopralluogo anche il garante regionale che secondo Farina ha trovato una buona gestione: “Rispetto ai problemi che vivono le carceri a livello nazionale siamo spettatori, a Lecco è garantita l’ora d’aria due volte al giorno, le celle sono aperte e i diritti rispettati. Manca il regolamento di convivenza perché fino a poco tempo fa non c’era ancora quello regionale ma adesso che è stato approvato e ho invitato la direttrice a procedere. Abbiamo anche aperto un confronto con l’Ordine degli avvocati che ha portato all’avvio di un percorso di formazione sulle pratiche riparative che ha coinvolto 180 tra avvocati, assistenti sociali e operatori sanitari”.

Molto soddisfatto l’assessore al Welfare Emanuele Manzoni che ha ricordato l’importanza della figura del garante "per avere uno sguardo sulla casa circondariale che rischia sennò di rimanere all’oscuro. È invece necessario che la struttura dialoghi con il territorio e che ci sia un ponte con queste persone, per capirne i bisogni”.

Anche il consigliere Filippo Boscagli, molto attento a questa realtà, che in questa occasione ha presieduto la commissione, ha sottolineato lo spazio di azione dell’amministrazione comunale: “Come prevede la Costituzione la pena deve avere anche uno scopo rieducativo e su questo come Comune dobbiamo lavorare pensando al ‘dopo’ e in particolare al tema del lavoro. Chi, una volta uscito dal carcere, lavora difficilmente poi cade nella recidiva. Dobbiamo dare a queste persone gli strumenti necessari perché quando escono non rientrino più, così che la loro seconda occasione sia reale”. 

Anche il portavoce di Appello per Lecco Corrado Valsecchi ha ribadito la necessità di "fare qualcosa in più per dare delle chance di lavoro esterno per favorire il reinserimento sociale”. 
Un tema su cui si è espressa da “addetta ai lavori” anche l’avvocata e consigliera Lorella Cesana: “La casa circondariale di Lecco è una realtà molto positiva dove i servizi essenziali mi risultano garantiti pur nelle ristrettezze. Quello che possiamo fare come Comune è attuare un tavolo per valutare le esigenze che possono essere soddisfatte dall’amministrazione. Sono Preoccupata per il ‘dopo’, soprattutto nel caso dei giovani il rischio è che restino sul territorio senza saper provvedere a se stessi e quindi col rischio di nuocere alla collettività”. 
banner ramobannercentromela-62580.gif
M.V.
Invia un messaggio alla redazione

Il tuo indirizzo email ed eventuali dati personali non verranno pubblicati.