Lecco: l'ex direttore della Black&Decker in libreria con 'Lo scudiero del conte di Cemmo'
Come dire che non è mai troppo tardi. Per lui, un esordio letterario all’età di 78 anni: da poco ha infatti pubblicato un romanzo storico, la storia di uno scudiero del conte Bartolomeo Della Torre, feudatario guelfo che sta con Venezia e poi con Milano nell’epoca in cui il duca meneghino Filippo Maria Visconti tenta di riprendere la Val Camonica alla Serenissima.
Lui è Osvaldo Agostani: lecchese, ingegnere ed ex dirigente industriale da anni in pensione. Laureato al Politecnico di Milano, è stato progettista di impianti elettrici e poi manager in diverse grosse imprese e quindi direttore generale allo stabilimento perugino della Black&Decker. Ha poi svolto attività di consulenza per diverse aziende fino appunto a “scoprirsi” scrittore ed esordire in libreria con “Lo scudiero del conte di Cemmo” edito dalle Edizioni Meravigli che è casa specializzata in pubblicazioni di cultura milanese e lombarda.
E’ lo stesso Agostani a spiegare questa “avventura” in Val Camonica, che mette radici un po’ addietro negli anni: «Appena andato in pensione ho fatto una ricerca genealogica sulla mia famiglia. Ho scoperto che in passato c’erano degli Agostani a Capo di Ponte. Mi sono fiondato là e ho incontrato un parroco, don Franco Bontempi, che è anche uno studioso di cultura ebraica e che mi ha aiutato molto».
E quindi, inquadrando storicamente gli Agostani di Capo di Ponte, ha preso forma la storia di Francesco, scudiero del conte di Cemmo che è appunto Bartolomeo Della Torre coinvolto nella spedizione del 1438 di Filippo Maria Visconti contro Venezia. Il conte sta un po’ di qui e un po’ di là e quando i Veneziani tornano in Valcamonica, viene dichiarato ribelle e condannato a morte, ragione per cui si rifugia nel Milanese. Fin qui la Storia. Nelle pieghe, la vicenda ideata da Agostani che è appunto quella dello scudiero Francesco, inviato con un incarico segreto del conte dalla Val Camonica a Milano: arriva a Calolziocorte e per superare il confine di Chiuso si fa accompagnare da alcuni contrabbandieri su per i sentieri del monte Magnodeno e arrivando quindi a Lecco dove prende un cavallo per raggiungere Milano. Seguono altre avventure e infine il ritorno in Val Camonica
In verità, la vera opera prima di Agostani sarebbe un romanzo per un circolo ristretto di persone, quelle coinvolte nel salvataggio proprio della Black&Decker di Perugia dove nel 1992 era arrivato come direttore generale senza sapere che in verità il destino di quello stabilimento era già segnato.
«Lo stabilimento – racconta – avrebbe dovuto chiudere: me ne informarono di nascosto. Avevo due possibilità: cercarmi un altro posto di lavoro o tentare la follia di salvare la fabbrica. Scelsi la seconda: promossi una serie di iniziative, costruimmo una squadra straordinaria tra i lavoratori. E alla fine ce a facemmo: non ci chiusero. Ancora oggi quello stabilimento esiste, anche se il marchio è cambiato: la “Black&Decker” è stata nel frattempo acquistata da un’altra multinazionale. Quindici anni fa ho deciso di raccontare quella storia in un romanzo, “Uniti per vincere”, scritto non tanto per essere pubblicato: l’ho inviato a chi aveva vissuto quell’esperienza. Adesso, però, l’ho rivisto, ho tolto i pezzi più pesanti e sto cercando di pubblicarlo. Perché, guardando a quanto sta succedendo oggi nel mondo dell’industria, alle tante aziende che chiudono, al fatturato che diventa l’unico valore, vorrei lanciare un messaggio: la vita nelle aziende deve essere un’unione di valori, non bisogna pensare solo agli utili che pure sono importanti, ma anche alla bellezza della squadra umana, all’importanza delle singole persone».
Intanto, ha già pronto “Il tesoro degli etruschi”, romanzo ispirato a una leggenda raccolta proprio durante il periodo perugino, e ha messo mano una storia ai tempi del Medeghino.
Lui è Osvaldo Agostani: lecchese, ingegnere ed ex dirigente industriale da anni in pensione. Laureato al Politecnico di Milano, è stato progettista di impianti elettrici e poi manager in diverse grosse imprese e quindi direttore generale allo stabilimento perugino della Black&Decker. Ha poi svolto attività di consulenza per diverse aziende fino appunto a “scoprirsi” scrittore ed esordire in libreria con “Lo scudiero del conte di Cemmo” edito dalle Edizioni Meravigli che è casa specializzata in pubblicazioni di cultura milanese e lombarda.
E’ lo stesso Agostani a spiegare questa “avventura” in Val Camonica, che mette radici un po’ addietro negli anni: «Appena andato in pensione ho fatto una ricerca genealogica sulla mia famiglia. Ho scoperto che in passato c’erano degli Agostani a Capo di Ponte. Mi sono fiondato là e ho incontrato un parroco, don Franco Bontempi, che è anche uno studioso di cultura ebraica e che mi ha aiutato molto».
E quindi, inquadrando storicamente gli Agostani di Capo di Ponte, ha preso forma la storia di Francesco, scudiero del conte di Cemmo che è appunto Bartolomeo Della Torre coinvolto nella spedizione del 1438 di Filippo Maria Visconti contro Venezia. Il conte sta un po’ di qui e un po’ di là e quando i Veneziani tornano in Valcamonica, viene dichiarato ribelle e condannato a morte, ragione per cui si rifugia nel Milanese. Fin qui la Storia. Nelle pieghe, la vicenda ideata da Agostani che è appunto quella dello scudiero Francesco, inviato con un incarico segreto del conte dalla Val Camonica a Milano: arriva a Calolziocorte e per superare il confine di Chiuso si fa accompagnare da alcuni contrabbandieri su per i sentieri del monte Magnodeno e arrivando quindi a Lecco dove prende un cavallo per raggiungere Milano. Seguono altre avventure e infine il ritorno in Val Camonica
«C’è anche una storia d’amore – spiega Agostani - Ma è un amore puro e antico, non ci sono scene di sesso o contatti fisici: solo sguardi e lettere».
In verità, la vera opera prima di Agostani sarebbe un romanzo per un circolo ristretto di persone, quelle coinvolte nel salvataggio proprio della Black&Decker di Perugia dove nel 1992 era arrivato come direttore generale senza sapere che in verità il destino di quello stabilimento era già segnato.
«Lo stabilimento – racconta – avrebbe dovuto chiudere: me ne informarono di nascosto. Avevo due possibilità: cercarmi un altro posto di lavoro o tentare la follia di salvare la fabbrica. Scelsi la seconda: promossi una serie di iniziative, costruimmo una squadra straordinaria tra i lavoratori. E alla fine ce a facemmo: non ci chiusero. Ancora oggi quello stabilimento esiste, anche se il marchio è cambiato: la “Black&Decker” è stata nel frattempo acquistata da un’altra multinazionale. Quindici anni fa ho deciso di raccontare quella storia in un romanzo, “Uniti per vincere”, scritto non tanto per essere pubblicato: l’ho inviato a chi aveva vissuto quell’esperienza. Adesso, però, l’ho rivisto, ho tolto i pezzi più pesanti e sto cercando di pubblicarlo. Perché, guardando a quanto sta succedendo oggi nel mondo dell’industria, alle tante aziende che chiudono, al fatturato che diventa l’unico valore, vorrei lanciare un messaggio: la vita nelle aziende deve essere un’unione di valori, non bisogna pensare solo agli utili che pure sono importanti, ma anche alla bellezza della squadra umana, all’importanza delle singole persone».
Intanto, ha già pronto “Il tesoro degli etruschi”, romanzo ispirato a una leggenda raccolta proprio durante il periodo perugino, e ha messo mano una storia ai tempi del Medeghino.
D.C.