Valmadrera: Cavallarin e Ottolenghi raccontano la storia di Sciesopoli ebraica
“Quella di questa sera è una storia di rinascita e ritorno alla vita”. Così Raffaella Brioni, vice sindaco di Valmadrera, ha riassunto il significato dell’incontro svoltosi ieri presso l’auditorium del Centro culturale Fatebenefratelli. Intitolata “Per la memoria di Sciesopoli Ebraica. Selvino 1945 – 1948”, la conferenza è stata organizzata insieme alle amministrazioni comunali di Civate e Malgrate in occasione della Giornata della Memoria.
I due relatori presenti sul palco erano Marco Cavallarin, ex docente di Lettere nei licei italiani all’estero ed esperto di storia ebraica, e Patrizia Ottolenghi, già insegnante e formatrice aziendale di origine ebraica. I due hanno raccontato una storia di rinascita rimasta a lungo sommersa nell’oceano di dolore e sofferenza legato ai temi della Seconda Guerra Mondiale e dell’Olocausto.
“Nel 1933 a Selvino, un paesino a mille metri di quota vicino a Bergamo, è stata costruita una grande colonia montana per bambini su progetto dell’architetto Paolo Vietti – Violi. Fu affidata al circolo fascista “Amatore Scesa”, il quale aveva sede a Palazzo Odescalchi in Via dell’Unione a Milano. La struttura di Selvino era enorme: dormitori, refettori, piscina, cinema, infermeria, padiglioni intitolati a Cesare Tonoli e ad Emilio Melloni” ha spiegato Marco Cavallarin. “Tutto ciò inserito in un grande parco di diciassettemila metri quadrati. Ci vollero molti soldi per realizzare l’edificio. Il Duce contribuì con circa 5mila lire”.
Dopo la guerra, la gestione dei beni dei gruppi fascisti passò alle amministrazioni comunali di riferimento. In questo caso, quella di Milano. “Il 21 settembre del 1945 la colonia di Sciesopoli venne affidata alla comunità ebraica milanese, allora guidata da Raffaele Cantoni, e poi alla Brigata Ebraica, su decisione congiunta di Ferruccio Parri per il CNL, del Prefetto di Milano Riccardo Lombardi e del sindaco Antonio Greppi” ha aggiunto l’esperto. Nell’ex colonia fascista furono accolti molti dei bambini che la Brigata ebraica, composta da ebrei palestinesi arruolatisi nell’esercito britannico, aveva salvato in giro per l’Europa. “Arrivarono ragazzi fino ai diciotto anni, molti dei quali profondamente provati nel corpo e nello spirito. Alcuni erano stati ritrovati ai margini dei campi di concentramento, altri nascosti nei conventi o nei boschi. I più grandi, dai tredici anni in su, avevano trascorso mesi, se non di più, ai lavori forzati” ha evidenziato Cavallarin.
In tutto, tra il 1945 e il 1948, da Selvino passarono circa 800 bambini. Nella Sciesopoli ebraica, quei piccoli trovarono un luogo di calda ospitalità, che potè garantire loro la fiducia in sé stessi e nell’umanità. “Alla guida della struttura c’era Moshe Zeiri, un ex insegnante arruolatosi con la Brigata ebraica e sbarcato a Napoli con i britannici nel 1944. Era infaticabile, duro nel rapporto educativo ma molto amato. Moshe Zeiri sapeva come abbracciare un bambino e come imporre il rispetto della disciplina e dei doveri con amore” ha proseguito l’esperto. “Attraverso giochi, feste e racconti, con l’aiuto dei suoi collaboratori, restituì ai bambini lo spirito giovanile e instillò nel loro animo l’amore per la terra di Israele. L’obiettivo di questa iniziativa, infatti, non era solo far dimenticare ai bambini l’orrore che avevano subito ma anche prepararli al trasferimento verso la Palestina, una volta pronte le navi”.
Mentre Cavallarin proseguiva la sua riflessione, sullo schermo posto dietro di lui scorrevano foto dell’epoca raffiguranti i piccoli ebrei e i loro amici. Tanti, infatti, i selvinesi che piano piano sono stati coinvolti come lavoratori nella Sciesopoli ebraica mentre i bambini andavano a giocare a pallone. “Abbiamo intervistato Walter Mazzoleni, figlio dell’allora custode della struttura, che conserva tuttora dei ricordi molto belli di quei giorni” ha precisato il relatore. Nel tempo, la memoria collettiva dell’esperienza di Sciesopoli ebraica si è persa un po’ perché c’erano necessità impellenti a cui pensare in un’Italia in piena ricostruzione post – bellica e un po’ perché, con la trasformazione della struttura in luogo di assistenza per i figli di operai, il coinvolgimento della popolazione locale divenne ancora più importante.
“Quando abbiamo iniziato a chiedere in giro, abbiamo visto i ricordi riemergere nella mente delle persone. Abbiamo fondato il Comitato per la salvaguardia di Sciesopoli ebraica e ci siamo impegnati per mantenere viva la memoria di questa storia di speranza” ha ricordato Patrizia Ottolenghi. “Abbiamo portato avanti una petizione che ha raccolto più di ventimila firme per la salvaguardia della struttura, che oggi versa in uno stato di grave abbandono nonostante sia stata comprata da un privato nel 2000. Per ora, anche a causa della reticenza del proprietario, siamo riusciti a sistemare solo parte del tetto grazie a dei fondi del MIBACT”.
Nonostante le difficoltà, i volontari non si sono persi d’animo e, dopo un lungo lavoro di ricerca, hanno aperto un museo su Sciesopoli ebraica nei locali al secondo piano del palazzo comunale di Selvino. “Sulle lapidi poste al centro della sala abbiamo scritto i nomi di 670 degli 800 bambini passati da lì. Si tratta di un particolare che colpisce molto le scolaresche quando vengono in visita. Tra l’altro nel 2015 abbiamo organizzato una grande festa in cui abbiamo ospitato alcuni di quei ragazzi ebrei, oggi molto anziani. Diversi di loro si ricordavano il viaggio lungo la strada a tornanti sul camion della Brigata” ha aggiunto la psicologa. “Siamo anche andati in Israele a realizzare delle interviste. In un caso addirittura una donna ha raccontato per la prima volta davanti a noi la sua storia di deportata, fino a quel momento sconosciuta alle figlie”.
Oggi, la necessità più importante è quella di trovare energie nuove e forze fresche per il comitato, così che il percorso per la salvaguardia di Selvino possa continuare. “Da quando è mancato l’ex sindaco tutto si è un po’ bloccato e questo ci ha un po’ demoralizzato. L’ufficio turistico di Selvino organizza delle visite guidate ma non è sufficiente” ha sottolineato Ottolenghi. “Noi però vorremmo avere più guide e persone che danno una mano. Vorremmo trovare qualcuno desideroso di portare avanti la memoria di questa storia così bella. Intendiamo insistere anche per avere un sostegno anche da parte delle istituzioni”.
I due relatori presenti sul palco erano Marco Cavallarin, ex docente di Lettere nei licei italiani all’estero ed esperto di storia ebraica, e Patrizia Ottolenghi, già insegnante e formatrice aziendale di origine ebraica. I due hanno raccontato una storia di rinascita rimasta a lungo sommersa nell’oceano di dolore e sofferenza legato ai temi della Seconda Guerra Mondiale e dell’Olocausto.
“Nel 1933 a Selvino, un paesino a mille metri di quota vicino a Bergamo, è stata costruita una grande colonia montana per bambini su progetto dell’architetto Paolo Vietti – Violi. Fu affidata al circolo fascista “Amatore Scesa”, il quale aveva sede a Palazzo Odescalchi in Via dell’Unione a Milano. La struttura di Selvino era enorme: dormitori, refettori, piscina, cinema, infermeria, padiglioni intitolati a Cesare Tonoli e ad Emilio Melloni” ha spiegato Marco Cavallarin. “Tutto ciò inserito in un grande parco di diciassettemila metri quadrati. Ci vollero molti soldi per realizzare l’edificio. Il Duce contribuì con circa 5mila lire”.
Dopo la guerra, la gestione dei beni dei gruppi fascisti passò alle amministrazioni comunali di riferimento. In questo caso, quella di Milano. “Il 21 settembre del 1945 la colonia di Sciesopoli venne affidata alla comunità ebraica milanese, allora guidata da Raffaele Cantoni, e poi alla Brigata Ebraica, su decisione congiunta di Ferruccio Parri per il CNL, del Prefetto di Milano Riccardo Lombardi e del sindaco Antonio Greppi” ha aggiunto l’esperto. Nell’ex colonia fascista furono accolti molti dei bambini che la Brigata ebraica, composta da ebrei palestinesi arruolatisi nell’esercito britannico, aveva salvato in giro per l’Europa. “Arrivarono ragazzi fino ai diciotto anni, molti dei quali profondamente provati nel corpo e nello spirito. Alcuni erano stati ritrovati ai margini dei campi di concentramento, altri nascosti nei conventi o nei boschi. I più grandi, dai tredici anni in su, avevano trascorso mesi, se non di più, ai lavori forzati” ha evidenziato Cavallarin.
In tutto, tra il 1945 e il 1948, da Selvino passarono circa 800 bambini. Nella Sciesopoli ebraica, quei piccoli trovarono un luogo di calda ospitalità, che potè garantire loro la fiducia in sé stessi e nell’umanità. “Alla guida della struttura c’era Moshe Zeiri, un ex insegnante arruolatosi con la Brigata ebraica e sbarcato a Napoli con i britannici nel 1944. Era infaticabile, duro nel rapporto educativo ma molto amato. Moshe Zeiri sapeva come abbracciare un bambino e come imporre il rispetto della disciplina e dei doveri con amore” ha proseguito l’esperto. “Attraverso giochi, feste e racconti, con l’aiuto dei suoi collaboratori, restituì ai bambini lo spirito giovanile e instillò nel loro animo l’amore per la terra di Israele. L’obiettivo di questa iniziativa, infatti, non era solo far dimenticare ai bambini l’orrore che avevano subito ma anche prepararli al trasferimento verso la Palestina, una volta pronte le navi”.
Mentre Cavallarin proseguiva la sua riflessione, sullo schermo posto dietro di lui scorrevano foto dell’epoca raffiguranti i piccoli ebrei e i loro amici. Tanti, infatti, i selvinesi che piano piano sono stati coinvolti come lavoratori nella Sciesopoli ebraica mentre i bambini andavano a giocare a pallone. “Abbiamo intervistato Walter Mazzoleni, figlio dell’allora custode della struttura, che conserva tuttora dei ricordi molto belli di quei giorni” ha precisato il relatore. Nel tempo, la memoria collettiva dell’esperienza di Sciesopoli ebraica si è persa un po’ perché c’erano necessità impellenti a cui pensare in un’Italia in piena ricostruzione post – bellica e un po’ perché, con la trasformazione della struttura in luogo di assistenza per i figli di operai, il coinvolgimento della popolazione locale divenne ancora più importante.
“Quando abbiamo iniziato a chiedere in giro, abbiamo visto i ricordi riemergere nella mente delle persone. Abbiamo fondato il Comitato per la salvaguardia di Sciesopoli ebraica e ci siamo impegnati per mantenere viva la memoria di questa storia di speranza” ha ricordato Patrizia Ottolenghi. “Abbiamo portato avanti una petizione che ha raccolto più di ventimila firme per la salvaguardia della struttura, che oggi versa in uno stato di grave abbandono nonostante sia stata comprata da un privato nel 2000. Per ora, anche a causa della reticenza del proprietario, siamo riusciti a sistemare solo parte del tetto grazie a dei fondi del MIBACT”.
Nonostante le difficoltà, i volontari non si sono persi d’animo e, dopo un lungo lavoro di ricerca, hanno aperto un museo su Sciesopoli ebraica nei locali al secondo piano del palazzo comunale di Selvino. “Sulle lapidi poste al centro della sala abbiamo scritto i nomi di 670 degli 800 bambini passati da lì. Si tratta di un particolare che colpisce molto le scolaresche quando vengono in visita. Tra l’altro nel 2015 abbiamo organizzato una grande festa in cui abbiamo ospitato alcuni di quei ragazzi ebrei, oggi molto anziani. Diversi di loro si ricordavano il viaggio lungo la strada a tornanti sul camion della Brigata” ha aggiunto la psicologa. “Siamo anche andati in Israele a realizzare delle interviste. In un caso addirittura una donna ha raccontato per la prima volta davanti a noi la sua storia di deportata, fino a quel momento sconosciuta alle figlie”.
Oggi, la necessità più importante è quella di trovare energie nuove e forze fresche per il comitato, così che il percorso per la salvaguardia di Selvino possa continuare. “Da quando è mancato l’ex sindaco tutto si è un po’ bloccato e questo ci ha un po’ demoralizzato. L’ufficio turistico di Selvino organizza delle visite guidate ma non è sufficiente” ha sottolineato Ottolenghi. “Noi però vorremmo avere più guide e persone che danno una mano. Vorremmo trovare qualcuno desideroso di portare avanti la memoria di questa storia così bella. Intendiamo insistere anche per avere un sostegno anche da parte delle istituzioni”.
A.Bes.