Lecco, ginecologhe a giudizio per 'interruzione colposa di gravidanza': la parola ai consulenti

In estrema sintesi e - forse - semplificando, per i consulenti della Procura, sottoponendo la paziente ad accertamenti strumentali si poteva giungere più tempestivamente alla diagnosi. Per quelli della difesa, non è scontato che, nelle ore precedenti al tracollo delle condizioni del feto, si sarebbero potute avere indicazioni così univoche da far pensare a un'occlusione e a spingere - alla 31esima settimana di gestazione, dunque in un contesto ancora di marcata prematurità - a un cesareo d'urgenza, tanto più in considerazione dell'elevata probabilità di causare danni neurologici al bambino. 
Questo il quadro presentato da due esperti per parte al giudice monocratico Paolo Salvatore, chiamato ad esprimersi circa la posizione di due ginecologhe dell'ospedale Manzoni di Lecco a cui viene contestato il reato di "interruzione colposa di gravidanza", a seguito di quanto avvenuto in corsia il 22 marzo 2019.
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L'accesso all'Ostetricia e Ginecologia del Manzoni
Una giovane donna calolziese - oggi 35enne - dopo essersi già presentata al pronto soccorso ostetrico il giorno precedente lamentando male all'addome e essere stata rimandata a casa dopo la somministrazione di antidolorifici, si ripresenta in struttura, venendo ricoverata, in tarda mattinata, per sospetti calcoli renali. Non visitata da alcun dottore fino a sera, avendo la possibilità di interfacciarsi solo con l'ostetrica che - da quanto fino a ora emerso - avrebbe fatto da collegamento con l'equipe medica, somministrandole di volta in volta i farmici indicati da altro camice bianco non a giudizio, ha poi perso il bimbo che portava in grembo e buona parte dell'intestino finendo in coma, a causa di un volvolo, una rotazione delle viscere stesse che ha determinato poi un'ischemia e dunque il blocco completo della vascolarizzazione, incidendo su tutti gli organi e sul sistema madre-feto. 
Rimessa la querela presentata per il reato di lesioni - dopo il risarcimento da parte dell'ASST, con rinuncia dunque anche alla costituzione di parte civile - il procedimento prosegue ora focalizzato solo sul "prodotto del concepimento", per dirla con un asettico termine giuridico e quindi sulla morte del piccolo che la paziente portava in grembo. Poteva essere salvato? Questo il tema.
A processo ci sono le dottoresse Elisa Matarazzo (avv. Badessi e avv. Liso del Foro di Lecco) e Roberta Tironi (avv. Sala del Foro di Monza), con la prima - è già stato detto e lo hanno ribadito oggi i consulenti (anche della Procura) - arrivata da poco al Manzoni e dunque ancora in affiancamento, senza autonomia decisionale e tra l'altro, nel pomeriggio del 22 marzo 2019, impegnata in attività ambulatoriale e la seconda sì in reparto, ma senza avere direttamente in carico la paziente, "accettata" e poi seguita - pur non al letto ma per il tramite dell'ostetrica - da altra collega, al momento esclusa dalla vicenda giudiziaria. 
Attorno alle 19.50 il primo contatto face to face tra la gestante e la Tironi - sollecitato da una seconda ostetrica ravvisando possibili problemi al feto - con la dottoressa che, sottoponendo la donna a una ecografia, ne ha poi disposto l'invio in Radiologia per un accertamento più specifico. Quando - secondo il dottor Giulio Orlandoni e il dottor Luca Taiana, consulenti del PM - era già troppo tardi, sia per il bambino che per la signora, non oggetto fino a quel momento di accertamenti diagnostici (neppur un esame delle urine, che – è stato detto - avrebbe potuto fornire qualche informazione in più circa i supposti calcoli renali, ipotizzati al ricovero).
"La donna aveva effettivamente i calcoli renali. Poi ha sviluppato questo volvolo" ha puntualizzato, nella propria deposizione, il dottor Lorenzo Varetto, consulente delle difese come la professoressa Anna Maria Marconi, primario dell'Ostetricia e Ginecologia dell'ASST Santi Carlo e Paolo, con quest'ultima pronta a evidenziare come in tutta la sua carriera abbia visto solo tre occlusioni intestinali acute in donne in gravidanza e di non aver trovato nemmeno molti casi nella letteratura scientifica. Insomma, ciò che ha patito la calolziese sarebbe raro (ma sicuramente tremendamente devastante).
L'istruttoria proseguirà ora il prossimo 1° febbraio, con l'eventuale esame delle due imputate e la discussione.
A.M.
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