SCAFFALE LECCHESE/183: il (doppio) Canto di Natale di Bellano, con i due Vitali
Anche Bellano ha il suo Canto di Natale. Anzi due. Usciti in quella semplice ma raffinata collana molto bellanese dell’editore “Cinquesensi” nella quale si sono trovati uniti l’estro pittorico di Giancarlo Vitali e quello letterario di Andrea Vitali. La collana non poteva che chiamarsi “i Vitali” e così veniva presentata nel 2010 all’apparizione del primo titolo, “Silhouette”: «i Vitali. Chi sono costoro? Il risultato di una giocosa e felice alchimia. (…) I Vitali sono due. Giancarlo è un pittore di fama consolidata. Mostre rimaste storiche, critici che lo hanno amato fino al dolore e non solo per i suoi risultati artistici ma anche per quella sua riservata, quasi monacale, immersione in un mondo fatto di tele e tavolozze e di ininterrotta e mai incerta vocazione.
Andrea è uno scrittore, ma anche un medico di base, cioè uno di quelli che ogni giorno sono costretti ad ascoltare le sofferenze piccole grandi di tutti e che per uscire da questa pesante responsabilità magari si mettono a scrivere e scrivendo magari diventano famosi e vincono premi letterari e sono amati dalla gente. I due Vitali si conoscono da sempre. Da sempre il più grande, il pittore, quando qualcosa non va, è solito consultare il più giovane, il medico e scrittore. Col tempo i due si scoprono somiglianti e poi amici.
Da lì nasce quest’idea, anzi l’idea nasce dopo. Prima in Giancarlo nasce la voglia di disegnare e di dipingere qualcosa su piccoli fogli di fortuna. Schizzi, carboncini, preziose carte spesso toccate anche col colore. Esercizi virtuosi di spontanea riflessione che hanno il dono del talento. Poi in Andrea sale il desiderio di scrivere qualcosa per questi disegni dipinti. L’idea è semplicemente questa. Agli artisti non si può chiedere il perché di ciò che fanno». Oggi, la collana è arrivata a oltre venti titoli, ospitando anche altri autori e continuando anche se Giancarlo ormai non c’è più (morto nel 2018), come assicura l’editore (l’editrice?) che è poi Sara Vitali, figlia di Giancarlo.
I Canti “bellanesi”, usciti il primo nel 2012 e il secondo nel 2015, in verità si svolgono in luoghi imprecisati, anche se quando si parla di «un paese del lago» il pensiero naturalmente va a Bellano che è il paese dei Vitali, teatro della grande saga ideata dal Vitali scrittore contribuendo alla celebrità del luogo. Che qualcuno ritiene immaginario, come quella signora siciliana incontrata alla presentazione di un libro: «Ma Bellano esiste o è una sua invenzione?»
Nel primo Canto di Natale si racconta dell’ospizio Vistalago venuto su all’improvviso, nel giro di una settimana, «senza che nessuno ne sapesse niente, nemmeno i muratori che l’avevano edificato». Il cantiere, tra l’altro, poté contare su maestranze illustri: per i serramenti, un falegname toscano di nome Geppetto che «aveva con sé un apprendista dal naso lungo con il quale, senza usare trapani di sorta, era riuscito a fare i buchi negli stipi delle finestre e delle porte»; un certo Michelangelo per dipingere gli esterni, mentre il tocco finale «era stato di un architetto attorno al quale correva voce che avesse realizzato un’opera colossale ed estremamente complessa in soli sei giorni». Si trattava del resto di un ospizio d’eccezione visto vi si sono ritirati per godersi la pensione «dapprima Babbo Natale con le sue renne e poi la Befana, Santa Lucia e il suo corrispondente dall’estero Santa Claus, il Topolino dei Denti, la Cicogna Che Portava i Bambini, i Re Magi con i loro cammelli: nessuno ha più bisogno di loro, «un mutamento di costumi che aveva aperto una nuova epoca nella storia dell’umanità».
Sennonché arriva la letterina di un bimbo con la richiesta a Babbo Natale di salvare un piccolo bosco minacciato dalla speculazione edilizia. In verità, il Vecchio con la barba consegna la lettera alle renne perché se la mangino. Sono proprio le renne a escogitare un piano segreto che poi si rivelerà non essere così segreto. Dimostrando soprattutto che il mondo ha ancora bisogno degli ospiti della casa di riposo “Vistalago” se questa, poi, non è stato solo un sogno.
A illustrare il testo di Andrea ci sono le opere di Giancarlo. Il quale – scrive nell’introduzione Leonardo Castellucci - «durante la lettura del racconto del suo sodale comprende presto che questa volta non avrà da immaginare nessun nuovo soggetto da disegnare ma semmai avrà da eseguire nuove opere dei suoi tempi più cari. Quel mesto Babbo Natale dell’inizio, infatti, è “ricalcato” sul volto consueto di uno dei suoi personaggi più amati, il farmacista Pirola, druido/guaritore di tanti bellanesi del passato; come quella befana rinsecchita, pare proprio il ritratto di una delle sue vecchie bellanesi o delle sue smemorate, quasi non del tutto dimenticate dame dei gatti e perfino le tante presenze mute di quell’ospizio vistalago sembrano ritagliate sulle sagome dei suoi vecchi di paese».
Il secondo Canto ha come sottotitolo “I grandi non dicono mai la verità” e c’è di mezzo il bambino Pietro detto Pietruccio che la notte di Natale se ne resta alzato per vedere se il vecchio con la barba bianca portatore di doni esista davvero. Non si fida mica tanto dei genitori considerati certi “precedenti”: gli avevano detto che il minestrone è buono e invece fa schifo, che a scuola ci si diverte e invece ci si annoia….
Il problema è che quella volta lì, Babbo Natale ha qualche inghippo con le renne: sono ammalate e il dottor Dolittle dice che non sia il caso di sottoporle alla sfacchinata della consegna dei doni. Dunque? Babbo Natale – il consiglio – si rivolga ai Re Magi e si faccia prestare i cammelli. Ed è una slitta trainata da cammelli quella che vede il piccolo Pietro detto Puetruccio. La prova che i grandi non dicono mai la verità: parlavano di una slitta trainata da renne, loro… Ed è ciò che Pietro detto Pietruccio contesta ai genitori (e tra l’altro dovrà anche finire questo vezzo del nomignolo, «ormai ho otto anni», ma questo dopo, ora il problema è un altro). I quali genitori poi s’interrogano: «Fu la mamma che si decise a rompere il silenzio, a dare voce al dubbio che la tormentava: “Tu ci credi?”, Il papà di Piero stava guardando il fondo della tazzina. Aveva anche lui il suo stesso pensiero?, si stava chiedendo la mamma. “A cosa?”, chiese lui. “Al fatto che questa notte Pietro abbia visto Babbo Natale?” Insomma… Per quanto fosse un fatto eccezionale non se la sentiva di pensare che suo figlio si fosse inventato tutto. “magari è già successo”, disse. Magari qualche altro bambino, in chissà quale angolo del mondo, spinto dalla stessa curiosità di Pietro era riuscito nella straordinaria impresa di vedere Babbo Natale, e loro non ne sapevano niente. La mamma a quel punto lo interruppe. “Non intendevo dire questo”, affermò. “Ah no?”, fece il papà. No. Il senso della domanda era un altro. “Cioè?” chiese il papà. “Volevo dire”, chiarì la mamma, “tu ci credi che la slitta di Babbo Natale sia trainata da cammelli anziché da un tiro di renne?”».
L’apparato illustrativo, in questo caso, vede le opere di Giancarlo Vitali integrate dai disegni della nipotina Emma: «Una sera di qualche anno fa - ci dice l’editore - il maestro Vitali entra nel suo studio per prendere a lavorare e si accorge che la nipotina Emma, oggi quattordicenne, s’è appartata a disegnare: la mano libera e spontanea, la postura acciambellata di un cucciolo. Disegna bene, Emma, e poi canticchia serena, com’è di molti piccoli umani ancora non gravati dal peso dell’esistenza de al nonno salta in testa un’idea affettuosa, possibilmente da mettere in pratica sul momento. Di quelle idee felici che lasciano nei nipoti un ricordo di tenerezza. Si tratta di un dono reciproco da realizzare a quattro mani. A semplificare le cose accorre un racconto dell’amico Andrea di tema squisitamente natalizio. (…) “Lo illustriamo assieme?” chiese il nonno alla nipotina. La risposta entusiasta e un po’ sorpresa di lei mette in moto la macchina dell’invenzione. Ed escono 12 piccole opere a quattro mani che tecnicamente potremmo definire dei collage ma che in questo caso assumono soprattutto il senso di una reciproca letterina d’amore».
Andrea è uno scrittore, ma anche un medico di base, cioè uno di quelli che ogni giorno sono costretti ad ascoltare le sofferenze piccole grandi di tutti e che per uscire da questa pesante responsabilità magari si mettono a scrivere e scrivendo magari diventano famosi e vincono premi letterari e sono amati dalla gente. I due Vitali si conoscono da sempre. Da sempre il più grande, il pittore, quando qualcosa non va, è solito consultare il più giovane, il medico e scrittore. Col tempo i due si scoprono somiglianti e poi amici.
Da lì nasce quest’idea, anzi l’idea nasce dopo. Prima in Giancarlo nasce la voglia di disegnare e di dipingere qualcosa su piccoli fogli di fortuna. Schizzi, carboncini, preziose carte spesso toccate anche col colore. Esercizi virtuosi di spontanea riflessione che hanno il dono del talento. Poi in Andrea sale il desiderio di scrivere qualcosa per questi disegni dipinti. L’idea è semplicemente questa. Agli artisti non si può chiedere il perché di ciò che fanno». Oggi, la collana è arrivata a oltre venti titoli, ospitando anche altri autori e continuando anche se Giancarlo ormai non c’è più (morto nel 2018), come assicura l’editore (l’editrice?) che è poi Sara Vitali, figlia di Giancarlo.
I Canti “bellanesi”, usciti il primo nel 2012 e il secondo nel 2015, in verità si svolgono in luoghi imprecisati, anche se quando si parla di «un paese del lago» il pensiero naturalmente va a Bellano che è il paese dei Vitali, teatro della grande saga ideata dal Vitali scrittore contribuendo alla celebrità del luogo. Che qualcuno ritiene immaginario, come quella signora siciliana incontrata alla presentazione di un libro: «Ma Bellano esiste o è una sua invenzione?»
Nel primo Canto di Natale si racconta dell’ospizio Vistalago venuto su all’improvviso, nel giro di una settimana, «senza che nessuno ne sapesse niente, nemmeno i muratori che l’avevano edificato». Il cantiere, tra l’altro, poté contare su maestranze illustri: per i serramenti, un falegname toscano di nome Geppetto che «aveva con sé un apprendista dal naso lungo con il quale, senza usare trapani di sorta, era riuscito a fare i buchi negli stipi delle finestre e delle porte»; un certo Michelangelo per dipingere gli esterni, mentre il tocco finale «era stato di un architetto attorno al quale correva voce che avesse realizzato un’opera colossale ed estremamente complessa in soli sei giorni». Si trattava del resto di un ospizio d’eccezione visto vi si sono ritirati per godersi la pensione «dapprima Babbo Natale con le sue renne e poi la Befana, Santa Lucia e il suo corrispondente dall’estero Santa Claus, il Topolino dei Denti, la Cicogna Che Portava i Bambini, i Re Magi con i loro cammelli: nessuno ha più bisogno di loro, «un mutamento di costumi che aveva aperto una nuova epoca nella storia dell’umanità».
Sennonché arriva la letterina di un bimbo con la richiesta a Babbo Natale di salvare un piccolo bosco minacciato dalla speculazione edilizia. In verità, il Vecchio con la barba consegna la lettera alle renne perché se la mangino. Sono proprio le renne a escogitare un piano segreto che poi si rivelerà non essere così segreto. Dimostrando soprattutto che il mondo ha ancora bisogno degli ospiti della casa di riposo “Vistalago” se questa, poi, non è stato solo un sogno.
A illustrare il testo di Andrea ci sono le opere di Giancarlo. Il quale – scrive nell’introduzione Leonardo Castellucci - «durante la lettura del racconto del suo sodale comprende presto che questa volta non avrà da immaginare nessun nuovo soggetto da disegnare ma semmai avrà da eseguire nuove opere dei suoi tempi più cari. Quel mesto Babbo Natale dell’inizio, infatti, è “ricalcato” sul volto consueto di uno dei suoi personaggi più amati, il farmacista Pirola, druido/guaritore di tanti bellanesi del passato; come quella befana rinsecchita, pare proprio il ritratto di una delle sue vecchie bellanesi o delle sue smemorate, quasi non del tutto dimenticate dame dei gatti e perfino le tante presenze mute di quell’ospizio vistalago sembrano ritagliate sulle sagome dei suoi vecchi di paese».
Il secondo Canto ha come sottotitolo “I grandi non dicono mai la verità” e c’è di mezzo il bambino Pietro detto Pietruccio che la notte di Natale se ne resta alzato per vedere se il vecchio con la barba bianca portatore di doni esista davvero. Non si fida mica tanto dei genitori considerati certi “precedenti”: gli avevano detto che il minestrone è buono e invece fa schifo, che a scuola ci si diverte e invece ci si annoia….
Il problema è che quella volta lì, Babbo Natale ha qualche inghippo con le renne: sono ammalate e il dottor Dolittle dice che non sia il caso di sottoporle alla sfacchinata della consegna dei doni. Dunque? Babbo Natale – il consiglio – si rivolga ai Re Magi e si faccia prestare i cammelli. Ed è una slitta trainata da cammelli quella che vede il piccolo Pietro detto Puetruccio. La prova che i grandi non dicono mai la verità: parlavano di una slitta trainata da renne, loro… Ed è ciò che Pietro detto Pietruccio contesta ai genitori (e tra l’altro dovrà anche finire questo vezzo del nomignolo, «ormai ho otto anni», ma questo dopo, ora il problema è un altro). I quali genitori poi s’interrogano: «Fu la mamma che si decise a rompere il silenzio, a dare voce al dubbio che la tormentava: “Tu ci credi?”, Il papà di Piero stava guardando il fondo della tazzina. Aveva anche lui il suo stesso pensiero?, si stava chiedendo la mamma. “A cosa?”, chiese lui. “Al fatto che questa notte Pietro abbia visto Babbo Natale?” Insomma… Per quanto fosse un fatto eccezionale non se la sentiva di pensare che suo figlio si fosse inventato tutto. “magari è già successo”, disse. Magari qualche altro bambino, in chissà quale angolo del mondo, spinto dalla stessa curiosità di Pietro era riuscito nella straordinaria impresa di vedere Babbo Natale, e loro non ne sapevano niente. La mamma a quel punto lo interruppe. “Non intendevo dire questo”, affermò. “Ah no?”, fece il papà. No. Il senso della domanda era un altro. “Cioè?” chiese il papà. “Volevo dire”, chiarì la mamma, “tu ci credi che la slitta di Babbo Natale sia trainata da cammelli anziché da un tiro di renne?”».
L’apparato illustrativo, in questo caso, vede le opere di Giancarlo Vitali integrate dai disegni della nipotina Emma: «Una sera di qualche anno fa - ci dice l’editore - il maestro Vitali entra nel suo studio per prendere a lavorare e si accorge che la nipotina Emma, oggi quattordicenne, s’è appartata a disegnare: la mano libera e spontanea, la postura acciambellata di un cucciolo. Disegna bene, Emma, e poi canticchia serena, com’è di molti piccoli umani ancora non gravati dal peso dell’esistenza de al nonno salta in testa un’idea affettuosa, possibilmente da mettere in pratica sul momento. Di quelle idee felici che lasciano nei nipoti un ricordo di tenerezza. Si tratta di un dono reciproco da realizzare a quattro mani. A semplificare le cose accorre un racconto dell’amico Andrea di tema squisitamente natalizio. (…) “Lo illustriamo assieme?” chiese il nonno alla nipotina. La risposta entusiasta e un po’ sorpresa di lei mette in moto la macchina dell’invenzione. Ed escono 12 piccole opere a quattro mani che tecnicamente potremmo definire dei collage ma che in questo caso assumono soprattutto il senso di una reciproca letterina d’amore».
Dario Cercek