Lecco: ricoverata per sospetti calcoli, giovane perde il bimbo che aspettava e parte dell'intestino. Due ginecologhe a giudizio
Era il 21 marzo. Il primo giorno di primavera. Per lei iniziava invece un viaggio all'inferno che l'avrebbe portata a perdere il bambino che portava in grembo oltre a buona parte dell'intestino, finendo in coma e subendo poi una decina di operazioni, ritrovandosi ora “a 35 anni a vivere come un'ottantenne”, come raccontato, con una rara compostezza, quest'oggi in Tribunale al cospetto del giudice monocratico Paolo Salvatore, titolare di un fascicolo con due iscrizioni. A processo ci sono infatti due ginecologhe dell'Ospedale Manzoni di Lecco, chiamate a rispondere in concorso di interruzione colposa di gravidanza. Si tratta delle dottoresse Roberta Tironi (avv. Sala del Foro di Monza) e Elisa Matarazzo (avv. Badessi e avv. Liso), entrambe in servizio in reparto il 22 marzo 2019, giorno del ricovero della giovane paziente, calolziese, classe 1988, alla sua seconda gestazione, dopo aver già messo al mondo un piccolino tre anni prima.
Giovedì 21, in preda a forti dolori, dopo aver vomitato anche la saliva, si era già portata al pronto soccorso ostetrico venendo sottoposta a accertamenti per poi essere rimandata a casa. Dopo “una notte da incubo” il secondo accesso in struttura: diagnosi “sabbiolina”, sospetti calcoli renali, come annotato anche nella corposissima cartella clinica prodotta al fascicolo del dibattimento, dalla pubblica accusa, oggi rappresentata in Aula dal viceprocuratore onorario Caterina Scarselli. Non costituita la trentacinquenne – essendo già stata risarcita dall'ASST – rimasta comunque per tutta l'udienza in Aula, al fianco del marito e dell'avvocato Roberta Mandelli che ha assistito la coppia in sede civile, ascoltando dunque, dopo essere stata sentita lei stessa, le deposizioni dei numerosi testimoni a discarico. Sfilati al microfono, il direttore sanitario di presidio Gedeone Baraldo e il direttore della struttura complessa di Ostetricia e Ginecologia Antonio Pellegrino chiamati a lumeggiare le presenze in corsia il giorno in esame e l'organizzazione dei turni, per poi scendere gerarchicamente fino alle altre ginecologhe in servizio il 22 marzo 2019 e alle due ostetriche che hanno monitorato la paziente. Per due dottoresse – entrambe venute in contatto direttamente con la denunciante – il giudice ha stroncato sul nascere, non ammettendole, tutte le domande che avrebbero potuto portare le testimoni, nel rispondere, a rilasciare dichiarazioni in qualche modo per loro compromettenti, lasciando chiaramente intendere come – pur essendo l'istruttoria ancora in fase embrionale – potrebbero esserci sviluppi in relazione appunto alla necessità di vagliare – da parte della Procura – anche altre posizioni oltre a quelle delle due imputate, con la dottoressa Matarazzo tra l'altro risultata essere – in quanto neo trasferita al Manzoni da altro ospedale – in affiancamento e dunque non autonoma nelle decisioni.
Quest'oggi, da ultimo, tornando all'elenco degli escussi, è stato introdotto anche il dottor Luca Andrea Fumagalli, “il mio angelo”, come l'ha definito la persona offesa, ovvero il chirurgo che l'ha operata, quando ormai era già notte, salvandola. Dopo una giornata passata da degente in reparto, con il “male” sempre presente e solo momentaneamente attutito da quattro somministrazioni di (diverso) antidolorifero. Dopo che le era già stato detto che del bambino non c'era più battito.Quando e perché il piccolo è morto quest'oggi in Aula non è emerso. Lo chiariranno forse i consulenti citati per la prossima udienza. Un infarto intestinale, invece, per quanto detto, la causa di tutto il patire della calolziese che, fin da subito – avendone sofferto durante la prima gravidanza – aveva lei stessa escluso i calcoli, considerando il dolore provato differente, anche per localizzazione. Eppure – a sua memoria - dall'accettazione fino a sera nessun medico parrebbe averla più visitata, nonostante anche il recriminare e le richieste di attenzioni dei suoi genitori, presenti nella stanza. Una ricostruzione la sua, confermata di fatto – pur con qualche sfumatura divergente - dall'ostetrica di turno quel pomeriggio che avrebbe fatto in tre occasione da tramite con il personale medico – nello specifico una delle ginecologhe sentite oggi ma non a giudizio – impegnato su altra emergenza in sala parto, procedendo poi alla somministrazione alla paziente della terapia farmacologica di volta volta indicata, per poi ribadire lo stare male della donna anche alla dottoressa Tironi, anch'ella fino a quel momento alle prese con un cesareo problematico - poco prima di smontare. E proprio l'imputata sarebbe poi accorsa al letto della giovane su sollecitazione – anche – dell'ostetrica entrata in servizio alle 20 che, nell'approcciarsi per la prima volta alla gravida dopo aver ricevuto la consegna dalla collega, aveva ritenuto necessario un consulto. Una prima ecografia fatta dalla Tironi direttamente al letto avrebbe portato a chiederne un'altra – in Radiologia – spingendo poi - altra dottoressa - a contattare la Chirurgia fino ad arrivare alla valutazione di secondo livello del dottor Fumagalli, trovatosi dinnanzi ad un “quadro non coerente con la diagnosi iniziale”.
Come anticipato, il processo riprenderà ora dando la parola ai consulenti. La prossima udienza è fissata per il 17 gennaio.
Giovedì 21, in preda a forti dolori, dopo aver vomitato anche la saliva, si era già portata al pronto soccorso ostetrico venendo sottoposta a accertamenti per poi essere rimandata a casa. Dopo “una notte da incubo” il secondo accesso in struttura: diagnosi “sabbiolina”, sospetti calcoli renali, come annotato anche nella corposissima cartella clinica prodotta al fascicolo del dibattimento, dalla pubblica accusa, oggi rappresentata in Aula dal viceprocuratore onorario Caterina Scarselli. Non costituita la trentacinquenne – essendo già stata risarcita dall'ASST – rimasta comunque per tutta l'udienza in Aula, al fianco del marito e dell'avvocato Roberta Mandelli che ha assistito la coppia in sede civile, ascoltando dunque, dopo essere stata sentita lei stessa, le deposizioni dei numerosi testimoni a discarico. Sfilati al microfono, il direttore sanitario di presidio Gedeone Baraldo e il direttore della struttura complessa di Ostetricia e Ginecologia Antonio Pellegrino chiamati a lumeggiare le presenze in corsia il giorno in esame e l'organizzazione dei turni, per poi scendere gerarchicamente fino alle altre ginecologhe in servizio il 22 marzo 2019 e alle due ostetriche che hanno monitorato la paziente. Per due dottoresse – entrambe venute in contatto direttamente con la denunciante – il giudice ha stroncato sul nascere, non ammettendole, tutte le domande che avrebbero potuto portare le testimoni, nel rispondere, a rilasciare dichiarazioni in qualche modo per loro compromettenti, lasciando chiaramente intendere come – pur essendo l'istruttoria ancora in fase embrionale – potrebbero esserci sviluppi in relazione appunto alla necessità di vagliare – da parte della Procura – anche altre posizioni oltre a quelle delle due imputate, con la dottoressa Matarazzo tra l'altro risultata essere – in quanto neo trasferita al Manzoni da altro ospedale – in affiancamento e dunque non autonoma nelle decisioni.
Quest'oggi, da ultimo, tornando all'elenco degli escussi, è stato introdotto anche il dottor Luca Andrea Fumagalli, “il mio angelo”, come l'ha definito la persona offesa, ovvero il chirurgo che l'ha operata, quando ormai era già notte, salvandola. Dopo una giornata passata da degente in reparto, con il “male” sempre presente e solo momentaneamente attutito da quattro somministrazioni di (diverso) antidolorifero. Dopo che le era già stato detto che del bambino non c'era più battito.Quando e perché il piccolo è morto quest'oggi in Aula non è emerso. Lo chiariranno forse i consulenti citati per la prossima udienza. Un infarto intestinale, invece, per quanto detto, la causa di tutto il patire della calolziese che, fin da subito – avendone sofferto durante la prima gravidanza – aveva lei stessa escluso i calcoli, considerando il dolore provato differente, anche per localizzazione. Eppure – a sua memoria - dall'accettazione fino a sera nessun medico parrebbe averla più visitata, nonostante anche il recriminare e le richieste di attenzioni dei suoi genitori, presenti nella stanza. Una ricostruzione la sua, confermata di fatto – pur con qualche sfumatura divergente - dall'ostetrica di turno quel pomeriggio che avrebbe fatto in tre occasione da tramite con il personale medico – nello specifico una delle ginecologhe sentite oggi ma non a giudizio – impegnato su altra emergenza in sala parto, procedendo poi alla somministrazione alla paziente della terapia farmacologica di volta volta indicata, per poi ribadire lo stare male della donna anche alla dottoressa Tironi, anch'ella fino a quel momento alle prese con un cesareo problematico - poco prima di smontare. E proprio l'imputata sarebbe poi accorsa al letto della giovane su sollecitazione – anche – dell'ostetrica entrata in servizio alle 20 che, nell'approcciarsi per la prima volta alla gravida dopo aver ricevuto la consegna dalla collega, aveva ritenuto necessario un consulto. Una prima ecografia fatta dalla Tironi direttamente al letto avrebbe portato a chiederne un'altra – in Radiologia – spingendo poi - altra dottoressa - a contattare la Chirurgia fino ad arrivare alla valutazione di secondo livello del dottor Fumagalli, trovatosi dinnanzi ad un “quadro non coerente con la diagnosi iniziale”.
Come anticipato, il processo riprenderà ora dando la parola ai consulenti. La prossima udienza è fissata per il 17 gennaio.
A.M.