Becera propaganda e guerre create ad hoc: Lilin riempie il Lavello
“La prossima volta ci servirà un tendone da circo”. Espressione forse mal interpretabile ma forte quella con cui Luca Caremi, segretario cittadino della Lega e assessore della Giunta Ghezzi, al tavolo però quale referente del Circolo culturale Il Pungolo, ha sottolineato il “tutto esaurito” fatto registrare dall'incontro promosso ieri sera presso la (piccola) sala conferenze del Monastero di Santa Maria del Lavello.
La stessa location che solo qualche settimana fa ha ospitato anche il generale Roberto Vannacci, con strascico di polemiche e richiesta di dimissioni del CdA della Fondazione, come rimarcato anche da Caremi, parlando però dell'ospite dello scorso ottobre come di “una persona tranquilla, autore di un libro che non dice nulla di male”, esprimendo concetti presenti “nei programmi di tutti i partiti di destra”. Vittima dunque del pregiudizio di chi nemmeno ha letto il testo e della distorsione operata da chi ne ha estrapolato frasi condividendole però decontestualizzate. Della manipolazione dell'informazione insomma, tema della serata di giovedì, vero e proprio “processo” - senza contraddittorio – ai media mainstream, giusto per mettergli un'etichetta, pur essendo gli stessi promotori dell'evento contrari alla categorizzazione e rifuggendo a loro volta lo stigma di “covo dell'ultra-destra” impresso da qualcuno al Lavello quale sede del dibattito stesso.
“Oltre la censura. L'informazione ai tempi delle guerre ibride” il titolo dell'incontro. “Incontro che non è la sagra della salamella o con il comico del momento” ha detto ancora in apertura Caremi per rimarcare la soddisfazione per il pienone ottenuto, dopo lo “sfratto” ricevuto per due volte da Lecco nelle scorse settimane, facendo saltare un analogo approfondimento che avrebbe visto quale relatore il fotoreport Giorgio Bianchi (non certo “di destra”) e Marcello Berera, seduto anche ieri sera al fianco di Caremi, quale esponente della redazione di Zenit, “quaderno” che ha approfondito – alla sua seconda uscita, la numero 1 dopo l'edizione 0 della scorsa primavera – proprio l'argomento dell'informazione ai giorni nostri, al tempo della “banalizzazione” di una guerra come quella che si sta combattendo in Ucraina, ridotta, dalla stampa occidentale, alla semplice contrapposizione tra un aggressore e un aggredito.
Senza addentrarsi nella ragioni. Senza evidenziare quale sia l'interesse in gioco. Senza spiegare che l'aver costretto – così è stato detto – la Russia ad entrare in armi nel territorio di Zelensky è servito agli USA per riaffermare il loro potere sull'Europa, costringendo il vecchio continente a interrompere i proprio rapporti con la nazione rappresentata da Putin.
E di “guerra per procura, organizzata dall'oligarchia anglosassone” ha parlato anche l'ospite della serata, lo scrittore russo, naturalizzato italiano, Nicolai Lilin, divenuto celebre quale autore del libro Educazione siberiana (Einaudi, 2009), più volte articolista anche per testate nazionali e ospite in TV, prima di venir emarginato proprio per le sue posizioni sul conflitto Russia-Ucraina, come egli stesso ha sottolineato intervenendo in collegamento video dal Medio Oriente dove ora vive. La sua è stata una appassionata invettiva contro “l'utilizzo criminale dei mass media”, contro una classe – quella dei giornalisti italiani - “senza coscienza umana e professionale”, prestatasi alla “becera propaganda” che, allo scoppio della guerra - dimenticando la presa al potere con Maidan “dei nazisti” e gli otto anni di massacro dei russofoni in Donbass - “ha superato il limite della decenza”.
Come? Dalle immagini prese dai videogiochi spacciate per realtà, alla ricondivisione virale di un video postato da Roberto Saviano (un presunto carro armato russo che schiaccia un'auto civile), smontato “in tre secondi” da Lilin, senza alcuna reazione, però, dell'autore di Gomorra.
Il tutto per cercare di “manipolare la realtà oggettiva, per suscitare risposta emozionale del pubblico italiano. L'Italia ha fornito all'Ucraina, oltre agli armamenti, l'impianto mediatico, forse la cosa più importante” ha detto, riconducendo poi lo scontro – come del resto quello che sta infiammando il Medio Oriente – a ragioni geopolitiche e economiche. In sintesi, nella sua versione, per paura di una Eurasia unita che non lascia spazio a una forza dominante che si basa sul colonialismo, gli Stati Uniti avrebbero lasciato deflagrare lo scontro, ripristinando la necessità della cortina di ferro, interrompendo così l'importazione di gas dalla Russia per prenderne – a caro prezzo per noi – il posto.
Discorso analogo per Israele-Palestina. Per Lilin, oltre alle note questioni legate a terra e sinionismo versus “un altrettanto feroce resistenza”, la guerra sarebbe legata ai giacimenti di gas di Gaza. Un altro conflitto dunque – per lo scrittore - “creato” ad hoc. “Chi ci guadagna? Gli Stati Uniti. Per quale motivo? Attraverso la guerra in questa zona si mette in difficoltà l'equilibrio del Medio Oriente e in particolare della penisola araba. Nessuno vuole che la guerra esca fuori dai confini di Israele-Palestina. Americani e inglesi vogliono invece scatenare una guerra in tutta la regione, perché porta loro profitti”, spezzando anche in questo caso unità e affari con Putin, con quest'ultimo che starebbe già radunando “un esercito privato senza precedenti, che sarà schierato entro l'estate dell'anno prossimo in Namibia”, anticipando altre mosse di chi – ancora l'oligarchia anglosassone - ci costringerà a vivere “una serie di conflitti organizzati in diversi parti del mondo”, per mantenere il proprio potere. Assisteremo (da spettatori?) dunque, la chiosa del relatore, applaudito calorosamente dalla platea calolziese - a “nuove guerre di un ormai nuovo ordine mondiale”. Nel mentre – e questo viene detto da più voci – a Gaza si sta consumando “un genocidio, non può essere chiamato in altro modo”.
La stessa location che solo qualche settimana fa ha ospitato anche il generale Roberto Vannacci, con strascico di polemiche e richiesta di dimissioni del CdA della Fondazione, come rimarcato anche da Caremi, parlando però dell'ospite dello scorso ottobre come di “una persona tranquilla, autore di un libro che non dice nulla di male”, esprimendo concetti presenti “nei programmi di tutti i partiti di destra”. Vittima dunque del pregiudizio di chi nemmeno ha letto il testo e della distorsione operata da chi ne ha estrapolato frasi condividendole però decontestualizzate. Della manipolazione dell'informazione insomma, tema della serata di giovedì, vero e proprio “processo” - senza contraddittorio – ai media mainstream, giusto per mettergli un'etichetta, pur essendo gli stessi promotori dell'evento contrari alla categorizzazione e rifuggendo a loro volta lo stigma di “covo dell'ultra-destra” impresso da qualcuno al Lavello quale sede del dibattito stesso.
“Oltre la censura. L'informazione ai tempi delle guerre ibride” il titolo dell'incontro. “Incontro che non è la sagra della salamella o con il comico del momento” ha detto ancora in apertura Caremi per rimarcare la soddisfazione per il pienone ottenuto, dopo lo “sfratto” ricevuto per due volte da Lecco nelle scorse settimane, facendo saltare un analogo approfondimento che avrebbe visto quale relatore il fotoreport Giorgio Bianchi (non certo “di destra”) e Marcello Berera, seduto anche ieri sera al fianco di Caremi, quale esponente della redazione di Zenit, “quaderno” che ha approfondito – alla sua seconda uscita, la numero 1 dopo l'edizione 0 della scorsa primavera – proprio l'argomento dell'informazione ai giorni nostri, al tempo della “banalizzazione” di una guerra come quella che si sta combattendo in Ucraina, ridotta, dalla stampa occidentale, alla semplice contrapposizione tra un aggressore e un aggredito.
Senza addentrarsi nella ragioni. Senza evidenziare quale sia l'interesse in gioco. Senza spiegare che l'aver costretto – così è stato detto – la Russia ad entrare in armi nel territorio di Zelensky è servito agli USA per riaffermare il loro potere sull'Europa, costringendo il vecchio continente a interrompere i proprio rapporti con la nazione rappresentata da Putin.
E di “guerra per procura, organizzata dall'oligarchia anglosassone” ha parlato anche l'ospite della serata, lo scrittore russo, naturalizzato italiano, Nicolai Lilin, divenuto celebre quale autore del libro Educazione siberiana (Einaudi, 2009), più volte articolista anche per testate nazionali e ospite in TV, prima di venir emarginato proprio per le sue posizioni sul conflitto Russia-Ucraina, come egli stesso ha sottolineato intervenendo in collegamento video dal Medio Oriente dove ora vive. La sua è stata una appassionata invettiva contro “l'utilizzo criminale dei mass media”, contro una classe – quella dei giornalisti italiani - “senza coscienza umana e professionale”, prestatasi alla “becera propaganda” che, allo scoppio della guerra - dimenticando la presa al potere con Maidan “dei nazisti” e gli otto anni di massacro dei russofoni in Donbass - “ha superato il limite della decenza”.
Come? Dalle immagini prese dai videogiochi spacciate per realtà, alla ricondivisione virale di un video postato da Roberto Saviano (un presunto carro armato russo che schiaccia un'auto civile), smontato “in tre secondi” da Lilin, senza alcuna reazione, però, dell'autore di Gomorra.
Il tutto per cercare di “manipolare la realtà oggettiva, per suscitare risposta emozionale del pubblico italiano. L'Italia ha fornito all'Ucraina, oltre agli armamenti, l'impianto mediatico, forse la cosa più importante” ha detto, riconducendo poi lo scontro – come del resto quello che sta infiammando il Medio Oriente – a ragioni geopolitiche e economiche. In sintesi, nella sua versione, per paura di una Eurasia unita che non lascia spazio a una forza dominante che si basa sul colonialismo, gli Stati Uniti avrebbero lasciato deflagrare lo scontro, ripristinando la necessità della cortina di ferro, interrompendo così l'importazione di gas dalla Russia per prenderne – a caro prezzo per noi – il posto.
Discorso analogo per Israele-Palestina. Per Lilin, oltre alle note questioni legate a terra e sinionismo versus “un altrettanto feroce resistenza”, la guerra sarebbe legata ai giacimenti di gas di Gaza. Un altro conflitto dunque – per lo scrittore - “creato” ad hoc. “Chi ci guadagna? Gli Stati Uniti. Per quale motivo? Attraverso la guerra in questa zona si mette in difficoltà l'equilibrio del Medio Oriente e in particolare della penisola araba. Nessuno vuole che la guerra esca fuori dai confini di Israele-Palestina. Americani e inglesi vogliono invece scatenare una guerra in tutta la regione, perché porta loro profitti”, spezzando anche in questo caso unità e affari con Putin, con quest'ultimo che starebbe già radunando “un esercito privato senza precedenti, che sarà schierato entro l'estate dell'anno prossimo in Namibia”, anticipando altre mosse di chi – ancora l'oligarchia anglosassone - ci costringerà a vivere “una serie di conflitti organizzati in diversi parti del mondo”, per mantenere il proprio potere. Assisteremo (da spettatori?) dunque, la chiosa del relatore, applaudito calorosamente dalla platea calolziese - a “nuove guerre di un ormai nuovo ordine mondiale”. Nel mentre – e questo viene detto da più voci – a Gaza si sta consumando “un genocidio, non può essere chiamato in altro modo”.
A.M.