PAROLE CHE PARLANO/155
Età
Il termine età proviene dal latino aetāte, a sua volta dall'arcaico aevĭtas, derivato di āevum, evo, tempo. Che l’età abbia a che fare col tempo non ci meraviglia né ci stupisce. Ma quando pensiamo all’età di noi uomini e donne, le cose si fanno un po’ più complicate. Per poterci destreggiare nelle varie fasi della vita, abbiamo cercato di suddividerla in infanzia, adolescenza, gioventù, maturità, vecchiaia (o anzianità), anche se sappiamo bene come sia complesso, se non impossibile, porre dei limiti superati i quali si passa da una condizione all’altra.
Proviamo a considerare il termine adolescente; scopriamo che l’abbiamo “rubato” al latino adolescens, participio presente di adolescere, cioè “che si sta nutrendo”. Quindi un adolescente deve preoccuparsi di crescere per diventare adulto (giovane, maturo, anziano). Quest’ultima parola non è altro che il participio passato dello stesso verbo adolescere, quindi gli adulti sono coloro che si sono già nutriti, che sono cresciuti, insomma. I Romani ponevano arbitrariamente la fine dell’adolescenza a 25 anni, grosso modo come possiamo leggere anche negli attuali manuali di biologia, psicologia e pedagogia che ci parlano di sviluppo ormonale, sessuale e caratteriale. Tuttavia, se, giustamente, intendiamo questa crescita anche come formazione della personalità e arricchimento delle conoscenze, ecco allora un problema: un adulto non deve più crescere? In realtà, sappiamo bene che non si finisce mai di imparare né di cambiare e quindi di “nutrirsi”.
L’anziano (l’etimologia ci rimanda al latino antěa, prima), a parte la naturale decadenza fisica, è semplicemente colui che viene prima, che è nato prima, che quindi è ricco di esperienza e “nutrimento”.
L’età fisica non mente, certo, ma se non vengono a mancare la curiosità, il desiderio di riempire il cervello, più che lo stomaco, di cose nuove e di nuovo entusiasmo, si può tentare di rimanere “adolescenti”, e quindi di nutrirsi e di crescere, per tutta la vita.