"I conti non tornano. Ci avete rotto le tasche". La Spi Cgil in piazza a Roma il 15 dicembre
La revisione da parte del Governo del meccanismo di adeguamento delle pensioni al costo della vita, la cosiddetta perequazione, si traduce in tagli pesantissimi sugli assegni superiori a 4 volte il trattamento minimo, circa 1700 euro netti. Una decisione che toglierà dalle tasche dei pensionati italiani 60 miliardi di euro da qui al 2032. Un provvedimento inaccettabile per lo SPI CGIL, che il 15 dicembre tornerà nuovamente in piazza a Roma con una manifestazione nazionale dal titolo emblematico: “i conti non tornano. Ci avete rotto le tasche”.Non solo la perequazione, diversi i temi al centro della protesta. Nonostante gli slogan infatti, il Governo non soltanto non ha cancellato la Riforma Monti Fornero, ma ne ha peggiorato le condizioni, azzerando nei fatti le già insufficienti forme di flessibilità in uscita. Per non parlare dei tagli alla sanità e alla non autosufficienza.
“Siamo al fianco di chi vede sempre più allontanarsi il momento della pensione e ha compreso come alcune promesse elettorali in realtà fossero solo propaganda. – spiega Pinuccia Cogliardi, segretaria generale dello SPI CGIL Lecco – E’ necessario individuare meccanismi flessibili di uscita dal lavoro che tengano conto del tipo di attività svolta, oltre che dei differenti percorsi lavorativi e delle condizioni personali e familiari. Una discussione seria e attenta alle trasformazioni in corso in una società con una popolazione destinata a essere sempre più anziana, come dicono tutte le ricerche demografiche, e che presenta vecchie e nuove fragilità”.
“Ma il tema che noi pensionati stiamo mettendo al centro della mobilitazione – prosegue Cogliardi - è il diritto ad avere un assegno pensionistico adeguato al costo della vita, salvaguardando così il potere d’acquisto degli anziani. Un principio basilare improvvisamente messo in discussione e stravolto senza neppure un minimo confronto. Un assegno pensionistico che non è una concessione. Ma il risultato di anni e anni di lavoro e di tasse pagate fino all’ultima lira e poi euro. Una vita di lavoro e di contributi versati in rapporto allo stipendio percepito, nulla di meno”.
“In questi giorni – dice la segretaria generale dello Spi lecchese – c’è chi sta provando a far passare l’adeguamento delle pensioni all’inflazione, ovvero la perequazione, come un aumento delle pensioni. Non è così, non è una concessione. E’ un meccanismo automatico, e in un momento come questo in cui l’inflazione sta mettendo in crisi molti bilanci familiari, è inaccettabile che il Governo abbia forzatamente e senza mediazione alterato il calcolo delle rivalutazioni”.
Nel dettaglio, secondo i calcoli del Dipartimento Previdenza della CGIL e dello SPI-CGIL, chi percepisce una pensione netta di 1786 euro perderà nel biennio 2023-2024 la somma di 585 euro. Chi prende 2095 euro di pensione netta, nello stesso periodo si ritroverà sul conto 2171 euro in meno. Ciò si traduce in una perdita netta media, durante l’intero periodo della pensione, nel primo caso di tra i 6 e i 8 mila euro, nel secondo caso tra i 24 e i 28 mila euro, fino ad arrivare a 36 mila euro per gli assegni più elevati.
“Ci opponiamo fermamente a questa logica. – spiega Pinuccia Cogliardi – Basta usare le pensioni come bancomat per mettere a posto i conti dello Stato! Questa operazione permetterà, a spese dei pensionati, un risparmio per le casse dell’INPS di 3,5 miliardi nel 2023 e di 6,8 miliardi nel 2024. Tagli che resteranno per tutta la durata della nostra vita, mentre in alcuni paesi europei dopo i 75 anni si è esonerati dal pagare le tasse perché viene riconosciuto che l’anziano ha più spese di cura, basti pensare alle rette in RSA”.
“Siamo al fianco di chi vede sempre più allontanarsi il momento della pensione e ha compreso come alcune promesse elettorali in realtà fossero solo propaganda. – spiega Pinuccia Cogliardi, segretaria generale dello SPI CGIL Lecco – E’ necessario individuare meccanismi flessibili di uscita dal lavoro che tengano conto del tipo di attività svolta, oltre che dei differenti percorsi lavorativi e delle condizioni personali e familiari. Una discussione seria e attenta alle trasformazioni in corso in una società con una popolazione destinata a essere sempre più anziana, come dicono tutte le ricerche demografiche, e che presenta vecchie e nuove fragilità”.
“Ma il tema che noi pensionati stiamo mettendo al centro della mobilitazione – prosegue Cogliardi - è il diritto ad avere un assegno pensionistico adeguato al costo della vita, salvaguardando così il potere d’acquisto degli anziani. Un principio basilare improvvisamente messo in discussione e stravolto senza neppure un minimo confronto. Un assegno pensionistico che non è una concessione. Ma il risultato di anni e anni di lavoro e di tasse pagate fino all’ultima lira e poi euro. Una vita di lavoro e di contributi versati in rapporto allo stipendio percepito, nulla di meno”.
“In questi giorni – dice la segretaria generale dello Spi lecchese – c’è chi sta provando a far passare l’adeguamento delle pensioni all’inflazione, ovvero la perequazione, come un aumento delle pensioni. Non è così, non è una concessione. E’ un meccanismo automatico, e in un momento come questo in cui l’inflazione sta mettendo in crisi molti bilanci familiari, è inaccettabile che il Governo abbia forzatamente e senza mediazione alterato il calcolo delle rivalutazioni”.
Nel dettaglio, secondo i calcoli del Dipartimento Previdenza della CGIL e dello SPI-CGIL, chi percepisce una pensione netta di 1786 euro perderà nel biennio 2023-2024 la somma di 585 euro. Chi prende 2095 euro di pensione netta, nello stesso periodo si ritroverà sul conto 2171 euro in meno. Ciò si traduce in una perdita netta media, durante l’intero periodo della pensione, nel primo caso di tra i 6 e i 8 mila euro, nel secondo caso tra i 24 e i 28 mila euro, fino ad arrivare a 36 mila euro per gli assegni più elevati.
“Ci opponiamo fermamente a questa logica. – spiega Pinuccia Cogliardi – Basta usare le pensioni come bancomat per mettere a posto i conti dello Stato! Questa operazione permetterà, a spese dei pensionati, un risparmio per le casse dell’INPS di 3,5 miliardi nel 2023 e di 6,8 miliardi nel 2024. Tagli che resteranno per tutta la durata della nostra vita, mentre in alcuni paesi europei dopo i 75 anni si è esonerati dal pagare le tasse perché viene riconosciuto che l’anziano ha più spese di cura, basti pensare alle rette in RSA”.