Calolzio: ritrova la vista con gli occhi del beato Don Gnocchi. E oggi ne è testimone

E' una storia di solidarietà e di luce, di un incontro che cambia la vita, quella che ha come protagonista Silvio Colagrande, che ha riacquistato la vista grazie al beato Don Carlo Gnocchi.
Silvio è il bambino che, nel 1956, ha ricevuto le cornee del beato, un trapianto che ha fatto la storia.
Fino ad allora non esisteva infatti in Italia alcuna normativa in merito: i trapianti ero effettuati solo all'estero, per chi poteva permetterselo. Il gesto di don Carlo innescò cosi un vivace dibattito pubblico che portò alla promulgazione di una legge in materia l'anno dopo, aprendo la strada alla donazione di organi del nostro paese.

Cesare Valsecchi, Lionello Cattaneo (Avis), Massimo Tavola, Silvio Colagrande, Dario Bonaiti e Cristiano Bonacina (Aido)

Oggi Silvio Colagrande ha 70 anni e dopo una vita trascorsa proprio nella Fondazione Don Carlo Gnocchi come dirigente ha deciso di mettere nero su bianco la storia della sua vita, passata sempre al fianco del beato, nel libro "Lembi di cielo" che ha presentato venerdi sera a Calolziocorte, in occasione del compleanno delle sezioni locali di Aido e Avis.

Silvio Colagrande

Accompagnato dalle domande del giornalista calolziese Dario Bonaiti, Colagrande ha cosi ripercorso le vicende della sua vita, partendo proprio da quel maledetto giorno in cui perse la vista, a soli 8 anni. Silvio sta giocando tra i cortili del suo piccolo paesino abruzzese quando entra in contatto con della calce viva che gli brucia completamente gli occhi.

Iniziano cosi anni di buio per il piccolo Silvio, e subito i medici capiscono che per tornare a vedere come un tempo c'è una sola possibilità: il trapianto di cornea.
Il piccolo inizia a frequentare le scuole per ragazzi come lui e nel 1954 arriva a Inverigo, nel centro che il beato Gnocchi ha costruito per accogliere orfani e bambini con difficoltà.

Don Carlo infatti era stato Alpino durante la campagna di Russia, vedendo morire giovanissimi ragazzi tra il freddo e la neve della steppa, caduti esanimi nella terribile marcia di ritirata. Il giovane prete li assiste, ascolta le loro ultime parole, raccoglie i messaggi che hanno mandato in punto di morte alle loro famiglie e - tornato miracolosamente in Italia - inizia una lunga peregrinazione per portare alle madri, alle mogli, alle fidanzate, notizie dei loro amati dispersi in guerra.
Capisce ben presto che bisogna far qualcosa per i tanti orfani, e si dedica loro anima e corpo per tutta la vita.


Rivolge dapprima la sua opera assistenziale agli orfani degli alpini, ospitandoli nell'Istituto Arosio; successivamente dedica le sue cure ai mutilatini ed ai piccoli invalidi di guerra e civili, fondando per loro una vastissima rete di collegi in molte città d'Italia (Inverigo, Parma, Pessano con Bornago, Torino, Roma, Salerno, Milano, Firenze, Genova,...); e, infine, apre le porte di modernissimi Centri di rieducazione ai bambini affetti di poliomielite. "Siamo tornati dalla Russia per fare bella l'Italia" amava raccontare il sacerdote.

Lionello Cattaneo

"Fu Don Carlo a farmi visitare dal dottor Galeazzi, che fu poi colui che effettuò il trapianto" ha spiegato Colagrande. "Nella primavera del 1955 fui mandato a Roma per studiare alla scuola di Braille, e si paventò l'ipotesi di essere trasferito in Svizzera con la Croce Rossa Italiana per il trapianto, ma questa eventualità, per motivi che vi spiegherò poi, saltò".


Passano i mesi. Silvio ha ormai 12 anni, cerca di studiare il braille, trascorre le giornate con i ragazzi del collegio, in un ambiente famigliare. "Don Carlo diceva sempre alle suore: per questi bambini dovete fare le mamme, non le monache...".
Poi, il 27 febbraio del 1956, Silvio viene portato d'urgenza a Milano: c'è un donatore e c'è anche un dottore (Galeazzi appunto) disposto a rischiare la galera perché quel piccolo bambino abruzzese possa tornare a leggere, a scrivere, a condurre una vita normale. "Fui accompagnato dal maestro di musica, Angelo Fattori, presso il Pio Istituto Oftalmico. Io non sapevo nulla: ricordo che seppi della morte di Don Carlo alla radio, la sera del 28 febbraio" ha continuato. "Il giorno dopo fui operato. Nella mia mente c'è solo la luce del faro della sala operatorio e poi nulla, fino al mio risveglio al fianco di una infermiera che mi diceva di stare tranquillo e non muovermi".
In quelle ore che Silvio non ricorda, Don Carlo ha compiuto una delle sue rivoluzioni. Ha abbattuto con la forza della generosità e dell'altruismo il muro che allora ancora impediva i trapianti, donando le sue cornee a Colagrande e alla piccola Amabile Battistello.

Cristiano Bonacina


"I giornali parlarono moltissimo della vicenda. Anche l'allora cardinale Montini venne a farmi visita all'Ospedale, posando le sue mani su di me" ha sottolineato. Anche la Chiesa fu interrogata. Non tutti approvavano la pratica del trapianto, e per questo Papa Pio XII elogiò pubblicamente il dono del sacerdote, eliminando ogni dubbio.
Per Silvio si apre una nuova vita: "Ho potuto studiare e laurearmi. Devo a Don Carlo la ricchezza della mia vita e per questo ho deciso di impegnarmi per tutta la mia vita nella sua fondazione: lui fa parte di tutta la mia storia, non solo per quanto riguarda il trapianto. Mi ha trasmesso un senso di responsabilità, la voglia di restituire a chi aveva bisogno quanto io avevo ricevuto da Don Carlo, impegnandomi in prima persona a diffondere il suo pensiero e la sua figura".
"Anni dopo ho scoperto che fu proprio Don Carlo ha far saltare il mio viaggio in Svizzera. Probabilmente sapeva di essere malato e aveva già deciso di donare le proprie cornee e ha voluto che fossi proprio io a riceverle".

Per questo si è dedicato tutta la vita alla Fondazione, diventando anche dirigente del centro di Inverigo: guardando con gli occhi di Don Carlo e vivendo con il suo cuore, con il suo spirito.
"Il Beato ci ha insegnato a fare del quotidiano il momento di vera straordinarietà della nostra vita. Ha saputo ridare speranza a quanti avevano motivo di non averne più"
è il commosso ricordo di quel sacerdote che ha donato tutta la propria vita ai più bisognosi. "Era una persona capace di coinvolgere gli altri, credenti o no. Si affidava alla sensibilità di quanti volevano seguire le sue idee. Contava solo questo per lui".


Ed è solo grazie a persone come Don Carlo Gnocchi che oggi a Calolziocorte è stato possibile festeggiare il 50° anniversario dell'Avis e il 40° dell'Aido. Due associazioni che hanno fatto della solidarietà il loro scopo.

Sono passati 59 anni da quel 29 febbraio 1956 quando il beato, come ha detto il vicesindaco di Calolzio Massimo Tavola, "è riuscito ad aprire varchi verso il futuro" e ancora oggi Silvio Colagrande continua a portare al collo la catenina d'oro che un anonimo gli ha donato poco dopo il trapianto sulla quale si legge: "Io sono la massima reliquia di don Carlo Gnocchi, rendo gloria a Dio e onore alla scienza".
P.V.

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