Spaccio in Alto Lario: la Procura chiede 4 pesanti condanne
5 anni di reclusione e 5mila euro di multa a Ettore M. (classe 1965), 2 anni e 3mila euro al figlio Paolo (classe 1995), 5 anni e 5mila euro a Sergio L. (1970) e 4 anni e 4mila euro di multa a Roberto C. (1985): queste le richieste di condanna avanzate quest'oggi dal Vpo Mattia Mascaro in riferimento al procedimento che ha visto i quattro al banco degli imputati per un presunto giro di spaccio nelle zone dell'Alto Lago.
Secondo l'accusa, a cui si è arrivati a partire da un'indagine del 2017 della Squadra Mobile di Sondrio, i quattro sarebbero responsabili di aver acquistato tra dicembre 2016 e aprile 2017 almeno 8 chili e mezzo di cocaina e un chilo di marijuana.
Quest'oggi la discussione finale delle parti, con la pubblica accusa che si è espressa per confermare la penale responsabilità degli imputati e le difese, che hanno invece portato avanti le proprie richieste di assoluzione con formula piena.
Prima è toccato all'avvocato Fabrizio Consoloni ricostruire la vicenda giudiziaria per provare l'innocenza di Sergio L.: secondo il legale la sua presenza al banco degli imputati sarebbe dovuta ad un “macroscopico” scambio di persona.
Partendo dalle testimonianze rese in aula da due “corrieri” (già condannati nel 2018 in fase di indagini preliminari a Sondrio) che secondo gli inquirenti avrebbero incastrato gli odierni imputati: davanti al giudice Gianluca Piantadosi, i due avevano ritrattato tutto, negando di aver fatto affari con i quattro a giudizio. Poi, in merito alla posizione processuale di Sergio L. avevano ammesso di aver ceduto della cocaina al defunto fratello, Diego. Ed ecco spiegato (secondo il difensore) il motivo per cui il proprio cliente sarebbe finito a giudizio: durante un appostamento davanti ad un bar di Colico nel marzo del 2017, le forze dell'ordine avrebbero ritratto insieme uno dei supposti corrieri ed il fratello dell'odierno imputato, salvo scrivere nella didascalia il nome errato, confondendosi con il nome di battesimo di un terzo soggetto presente.
Infine c'è il tema delle intercettazioni ai due corrieri (ripreso anche nelle requisitorie successive), da cui gli inquirenti avrebbero estrapolato nomi e riferimenti ai quattro imputati: tutto smentito in dibattimento dal perito nominato dalle difese.
Ancora la difesa di Roberto C., l'avvocato William Limonta del foro di Como, ha parlato di “processo puramente indiziario”, smontando il quadro accusatorio e concludendo come non fosse stato dimostrato in sede di istruttoria alcun elemento a carico del proprio assistito.
La stessa tesi è stata portata avanti dall'avvocato Michele Cervati, che insieme alla collega Laura Redaelli del foro di Lecco si è occupato di difendere Ettore e Paolo M.: secondo le due toghe l'intera attività di indagine che ha trascinato i due a giudizio non sarebbe stata niente altro che una serie di deduzioni e conferme di un'ipotesi investigativa già presente a priori.
Se, da un lato, i due presunti corrieri non avrebbero avuto alcun contatto con il figlio Paolo, con Ettore sarebbero invece intercorse chiamate solo ed esclusivamente per motivi di lavoro.
Insomma, tutti i difensori si sono trovati d'accordo nel concludere che non è stata provata oltre ogni ragionevole dubbio la colpevolezza dei quattro coimputati: “nessuna sostanza stupefacente rinvenuta, nessun flusso di denaro, nessun intercettazione telefonica o ambientale che si riferisse direttamente a Ettore o Paolo M., nessuna ripresa fotografica o video, nessuna indagine patrimoniale o bancaria, nessuna verifica dei rapporti tra le parti e nemmeno dell'attività lavorativa svolta” ha snocciolato l'avvocato Cervati, a sottolineare le presunte lacune dell'attività investigativa, volta, a parere delle difese, a confermare una “pista” di cui gli inquirenti si sarebbero convinti a priori.
La sentenza si avrà il prossimo 29 marzo, data per cui il vpo Mattia Mascaro ha già anicipato repliche.