PAROLE CHE PARLANO/152

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Tagliare la corda

Quante volte abbiamo usato questa espressione, sinonimo di svignarsela, darsela a gambe, fuggire probabilmente senza conoscerne l’esatta origine. Però, vale la pena domandarsi perché chi scappa dovrebbe metaforicamente tagliare la corda.

La risposta dobbiamo cercarla nel mondo marinaresco che ci comunica che, quando una nave vuole salpare, è necessario che siano sciolti gli ormeggi, cioè le corde che la legano al porto. È addirittura necessario che quelle corde siano subito tagliate, se l’azione deve essere repentina.
Scrive Virgilio nel suo terzo libro dell’Eneide:

Nos procul inde fugam trepidi celerare recepto
supplice sic merito tacitique inci
dere funem vertimus et proni certantibus aequora remis.

Noi trepidanti ci decidiamo ad accelerare la fuga di lì, raccolto il supplice così benemerito e taciti tagliare la fune, e chini sui remi vincenti le acque.

In quest’opera del poeta latino, vi è la prima attestazione di questo modo di dire: incidere funem, tagliare la corda, sia realmente sia metaforicamente.

Enea, nella fuga dalla sua patria, si ritrova in Sicilia, nella terra dei Ciclopi, già visitata da Ulisse. L’eroe omerico, fuggendo precipitosamente da Polifemo, aveva abbandonato il suo compagno Achemenide. Enea lo accoglie sulla sua nave, ma incalzato dai Ciclopi, è costretto a una fuga precipitosa e a tagliare letteralmente la corda.

Quindi non c’è nulla di male - ce lo dicono anche i poeti - a tagliare la corda per scappare da una situazione sgradevole, imbarazzante o noiosa.

Rubrica a cura di Dino Ticli
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