Polenta e formaggio/1: il granoturco di Taceno e il 'semigrasso' di Vegno aprono una nuova rubrica
Grasso o magro. Fresco o stagionato. Inizia oggi una mini-rubrica dedicata, sulla scia del successo riscontrato dall'analoga proposta “Insoliti a chilometro zero”, ai formaggi prodotti da piccole realtà della Valsassina, fuori dai più conosciuti circuiti commerciali.
E quale miglior accompagnamento se non una scodella (per chi la preferisce fatta al momento) o una fetta (per chi, invece, non butta via niente) di polenta? Per prepararla – rigorosamente nel paiolo in rame – vi suggeriamo anche una farina local. Perché, sì, in Valle c'è anche chi pianta granoturco. Come i ragazzi dell’azienda agricola Ol Tusit di Taceno, avviata nel 2005 dai fratelli Michele e Andrea Fioroni, 36 anni il primo, 33 il secondo.
Hanno iniziato piantando patate, per poi introdurre la canapa e il mais, portando avanti, contemporaneamente l'allevamento di vacche Higland Cattle, una razza originaria della Scozia.
La canapa, oltre a tisane e oli, regala anche dell’ottima farina, naturalmente senza glutine e adatta quindi a persone celiache: viene utilizzata, in abbinamento ad altre, per realizzare dell’ottimo pane direttamente nel forno aziendale.
Un ettaro, invece, la superficie dedicata al mais, ricavando del trinciato che andrà ad alimentare le mucche della stalle e, per l'appunto, della farina, dal colore giallo, a grana grossa, che sarà poi utilizzata sia all’interno dell’agriturismo sia venduta ai clienti, per preparare a casa la polenta, pietanza immancabile sulla tavola, in tutte le occasioni.
Preparato “il piatto”, veniamo dunque al formaggio, protagonista di questa prima puntata dalla nuova rubrica.
Il latte appena munto – dal profumo dolce e dal colore bianco candido – viene versato nella caldaia per essere miscelato con quello delle mungiture precedenti cui è già stata tolta la parte grassa, la panna, da cui si ricaverà il burro.
Sul fornello - alimentato a GPL, all’interno di un vecchio camino - il contenuto viene portato ad una temperatura di 34°, per poi aggiungere il caglio. Per questa preparazione viene scelto un prodotto in polvere che, dopo essere stato sciolto nell’acqua, sarà mescolato al latte.
40 minuti il tempo di riposo, necessario alla coagulazione: poi la rottura della cagliata, prima in una “grana grossa” – del calibro di una noce – poi, dopo un nuovo riposo di una decina di minuti, un nuovo passaggio per ottenere una grana più fine, dello spessore di un chicco di riso.
Da ultimo, il ritorno sul fornello, per raggiungere i 41°.
Così, Daniela Galluzzi, allevatrice di Vegno, frazione di Crandola Valsassina, ci spiega come ottiene il formaggio semigrasso dal latte prodotto dalle sue vacche di razza pezzata rossa italiana, mostrandoci anche come, per evitare, il deposito di granelli di formaggio sul fondo, si sia “inventata” l'uso di un motore elettrico la cui pala, fissata al supporto, fa girare il contenuto dell’enorme pentola, così da movimentare la massa stessa fino ad arrivare alla temperatura stabilita, quei 41° da raggiungere molto, molto, lentamente.
Solo allora, il fornello viene spento rispettando altri 10 minuti di riposo, “il tempo necessario per permettere al siero contenuto nei granelli di iniziare ad uscire da questi”, spiega la donna.
“I granelli di formaggio bianchissimi e il siero che cambia colore, passando dal giallo chiaro ad uno più scuro, sono segno di buona qualità del prodotto e, indicano che il procedimento è stato fatto nel modo giusto” sottolinea, soddisfatta del suo lavoro.
Massa e siero vengono così scolati - usando in un telo di lino – con i granelli ormai attaccati l'uno all'altro messi poi all’interno della “fascera”, per prendere le fattezze definitive, appoggiandovi sopra una piccola tavola in legno e un peso.
Un numero e la lettera T - da Taio, nome del nonno di Paolo, marito di Daniela, che la affianca nei lavori di allevamento - contraddistingueranno poi ogni forma.
La donna, con grande creatività, ha pensato anche di arricchire parte della sua produzione di formaggio semigrasso diversificandone il sapore aggiungendo timo selvatico o peperoncino.
Un’arte, questa della produzione del formaggio, che Daniela ha acquisito dai familiari, per ottenere questo buon prodotto a pasta semidura o dura, con un sapore che varia da delicato a intenso a seconda della stagionatura e dall’aroma caratteristico dato dal latte di produzione.
Nulla dunque da invidiare al più famoso formaggio Valtellinese Casera, simile per molti tratti, adatto ad essere consumato da solo, con la “nostra” polenta o per diventare poi l'ingrediente alla base di diverse ricette, come i tipici pizzoccheri o gli sciatt.
E quale miglior accompagnamento se non una scodella (per chi la preferisce fatta al momento) o una fetta (per chi, invece, non butta via niente) di polenta? Per prepararla – rigorosamente nel paiolo in rame – vi suggeriamo anche una farina local. Perché, sì, in Valle c'è anche chi pianta granoturco. Come i ragazzi dell’azienda agricola Ol Tusit di Taceno, avviata nel 2005 dai fratelli Michele e Andrea Fioroni, 36 anni il primo, 33 il secondo.
Hanno iniziato piantando patate, per poi introdurre la canapa e il mais, portando avanti, contemporaneamente l'allevamento di vacche Higland Cattle, una razza originaria della Scozia.
La canapa, oltre a tisane e oli, regala anche dell’ottima farina, naturalmente senza glutine e adatta quindi a persone celiache: viene utilizzata, in abbinamento ad altre, per realizzare dell’ottimo pane direttamente nel forno aziendale.
Un ettaro, invece, la superficie dedicata al mais, ricavando del trinciato che andrà ad alimentare le mucche della stalle e, per l'appunto, della farina, dal colore giallo, a grana grossa, che sarà poi utilizzata sia all’interno dell’agriturismo sia venduta ai clienti, per preparare a casa la polenta, pietanza immancabile sulla tavola, in tutte le occasioni.
Preparato “il piatto”, veniamo dunque al formaggio, protagonista di questa prima puntata dalla nuova rubrica.
Il latte appena munto – dal profumo dolce e dal colore bianco candido – viene versato nella caldaia per essere miscelato con quello delle mungiture precedenti cui è già stata tolta la parte grassa, la panna, da cui si ricaverà il burro.
Sul fornello - alimentato a GPL, all’interno di un vecchio camino - il contenuto viene portato ad una temperatura di 34°, per poi aggiungere il caglio. Per questa preparazione viene scelto un prodotto in polvere che, dopo essere stato sciolto nell’acqua, sarà mescolato al latte.
40 minuti il tempo di riposo, necessario alla coagulazione: poi la rottura della cagliata, prima in una “grana grossa” – del calibro di una noce – poi, dopo un nuovo riposo di una decina di minuti, un nuovo passaggio per ottenere una grana più fine, dello spessore di un chicco di riso.
Da ultimo, il ritorno sul fornello, per raggiungere i 41°.
Così, Daniela Galluzzi, allevatrice di Vegno, frazione di Crandola Valsassina, ci spiega come ottiene il formaggio semigrasso dal latte prodotto dalle sue vacche di razza pezzata rossa italiana, mostrandoci anche come, per evitare, il deposito di granelli di formaggio sul fondo, si sia “inventata” l'uso di un motore elettrico la cui pala, fissata al supporto, fa girare il contenuto dell’enorme pentola, così da movimentare la massa stessa fino ad arrivare alla temperatura stabilita, quei 41° da raggiungere molto, molto, lentamente.
Solo allora, il fornello viene spento rispettando altri 10 minuti di riposo, “il tempo necessario per permettere al siero contenuto nei granelli di iniziare ad uscire da questi”, spiega la donna.
“I granelli di formaggio bianchissimi e il siero che cambia colore, passando dal giallo chiaro ad uno più scuro, sono segno di buona qualità del prodotto e, indicano che il procedimento è stato fatto nel modo giusto” sottolinea, soddisfatta del suo lavoro.
Massa e siero vengono così scolati - usando in un telo di lino – con i granelli ormai attaccati l'uno all'altro messi poi all’interno della “fascera”, per prendere le fattezze definitive, appoggiandovi sopra una piccola tavola in legno e un peso.
Un numero e la lettera T - da Taio, nome del nonno di Paolo, marito di Daniela, che la affianca nei lavori di allevamento - contraddistingueranno poi ogni forma.
La donna, con grande creatività, ha pensato anche di arricchire parte della sua produzione di formaggio semigrasso diversificandone il sapore aggiungendo timo selvatico o peperoncino.
Un’arte, questa della produzione del formaggio, che Daniela ha acquisito dai familiari, per ottenere questo buon prodotto a pasta semidura o dura, con un sapore che varia da delicato a intenso a seconda della stagionatura e dall’aroma caratteristico dato dal latte di produzione.
Nulla dunque da invidiare al più famoso formaggio Valtellinese Casera, simile per molti tratti, adatto ad essere consumato da solo, con la “nostra” polenta o per diventare poi l'ingrediente alla base di diverse ricette, come i tipici pizzoccheri o gli sciatt.
Moira Acquistapace