160 anni fa arrivò a Lecco la ferrovia: una mostra ne celebra la storia
Nel novembre 1863 e cioè 160 anni fa, arrivavano a Lecco i binari della ferrovia. Un anniversario non proprio tondo ma comunque da celebrare e proprio in questi giorni è allestita - nella sala Foschini della Canottieri - una piccola mostra proprio dedicata alle ferrovie locale con un plastico di un tratto della linea per Como. L’iniziativa è dell’associazione “Treni Brianza”, presieduta da Alessandro Ghiglioni e che raccoglie gli appassionati lecchesi della rotaia. Oltre alla mostra è stato stilato un calendario di conferenze per illustrare lo sviluppo, l’ascesa e il declino e poi una resurrezione per quanto discutibile, della ferrovia.
Il primo appuntamento è stato curato da Salvo Bordonaro. Autore di più di un libro sulle ferrovie lecchesi, l’ultimo uscito due anni fa: “Saluti a grande velocità da Lecco”. Titolo non casuale: era quanto stampigliato su molte cartoline d’epoca quando il treno era simbolo indiscusso del progresso che avanzava. Un saluto – ha spiegato Bordonaro – ideato in Germania e poi adottato anche in Italia a cavallo tra Otto e Novecento e dilagato in tutte le località raggiunte dal treno.
L’incontro con lo scrittore era proprio dedicato ai “primi sbuffi di vapore tra Lecco e Castello”. Se noi siamo abituati a pensare alla stazione ferroviaria situata nel centro cittadino, in quell’ormai lontano 1863, invece, la linea ferroviaria era situato nella parte più alta di quello che allora era il Comune di Lecco: al di sopra infatti era territorio comunale di Castello ed era ancora campagna, non essendosi ancora sviluppate le industrie sorse nei decenni seguenti e favorite proprio dall’arrivo della ferrovia. E infatti dallo scalo merci si diramavano binari che raggiungevano direttamente le singole aziende, mentre in seguito fu realizzata la “Piccola” dove si scaricava il materiale che poi sui carri veniva trasportato nelle diverse località del circondario.
Del resto, la stessa stazione era soltanto un casotto di legno. Non c’era infatti bisogno di una struttura al servizio dei viaggiatori. I treni che arrivavano infatti rifornivano di ferro le industrie. A questo scopo servivano i primi binari che giungeva a Lecco, collegando la nostra città con Bergamo e con Brescia. Una linea tronca: i binari si arrestavano in corrispondenza dell’attuale ponte di corso Matteotti. Li sorgeva un alto un muro, ai piedi del quale era stato collocato il casotto di legno. Solo una ventina d’anni dopo si realizzò la stazione vera e propria che, a parte gli inevitabili rimaneggiamenti è sostanzialmente quella ancora in funzione, realizzata probabilmente tra il 1880 e 1883, auspicata da quel Giuseppe Badoni, presidente della Camera di commercio, il quale in una lettera sollecitava la realizzazione di una stazione più dignitosa, «magari in pietra». Era comunque già in funzione quando nel 1888 venne inaugurata la linea Como-Lecco. Linea per la quale venne anche realizzato il ponte sull’Adda: un’opera all’avanguardia realizzata con il ferro prodotto nelle fonderie di Castellamare di Stabia dirette da Alfredo Cutreau, amico di un certo Gustave Eiffel: non si sa con certezza chi dei due abbia influenzato l’altro, ma di certo entrambi furono tra i protagonisti della diffusione in Europe delle strutture in ferro. Di gran portata tecnica anche i piloni di cemento immersi nel letto dell’Adda a sostegno del ponte, la cui realizzazione però fu causa di molti infortuni tra le maestranze. I piloni in cemento sono quelli ancora in opera, mentre la struttura in ferro venne sostituita nel 1958, anche in quest’occasione in maniera spettacolare: il vecchio ponte venne infatti tolto dai piloni senza essere smontato e appoggiato su pali di legno per lasciare appunto il posto a quello nuovo realizzato, inutile dirlo tra lecchesi, dalla Badoni.
Prima della linea con Como, comunque, era stato completato il collegamento con Monza (anno 1873). Nel 1892, invece, venne abbattuto il muraglione che troncava la ferrovia per avviarsi lungo la riva del lago e raggiungere prima Bellano (1892) e poi Colico (1893). Che fu la prima linea elettrica italiana.
La geografia della città in questi 160 anni è completamente cambiata. E più volte. Le grandi industrie non ci sono più e i binari di servizio sono scomparsi, la “Piccola” sta per conoscere un nuovo destino dopo anni d’abbandono, il deposito locomotive è stato smentellato.
Ma – è l’auspicio di Bordonaro – chissà che la necessità di una mobilità sostenibile non conduca a una nuova stagione gloriosa per le ferrovie.
La mostra resterà aperta fino al 26 novembre (negli orari di apertura della Canottieri).
Il primo appuntamento è stato curato da Salvo Bordonaro. Autore di più di un libro sulle ferrovie lecchesi, l’ultimo uscito due anni fa: “Saluti a grande velocità da Lecco”. Titolo non casuale: era quanto stampigliato su molte cartoline d’epoca quando il treno era simbolo indiscusso del progresso che avanzava. Un saluto – ha spiegato Bordonaro – ideato in Germania e poi adottato anche in Italia a cavallo tra Otto e Novecento e dilagato in tutte le località raggiunte dal treno.
L’incontro con lo scrittore era proprio dedicato ai “primi sbuffi di vapore tra Lecco e Castello”. Se noi siamo abituati a pensare alla stazione ferroviaria situata nel centro cittadino, in quell’ormai lontano 1863, invece, la linea ferroviaria era situato nella parte più alta di quello che allora era il Comune di Lecco: al di sopra infatti era territorio comunale di Castello ed era ancora campagna, non essendosi ancora sviluppate le industrie sorse nei decenni seguenti e favorite proprio dall’arrivo della ferrovia. E infatti dallo scalo merci si diramavano binari che raggiungevano direttamente le singole aziende, mentre in seguito fu realizzata la “Piccola” dove si scaricava il materiale che poi sui carri veniva trasportato nelle diverse località del circondario.
Del resto, la stessa stazione era soltanto un casotto di legno. Non c’era infatti bisogno di una struttura al servizio dei viaggiatori. I treni che arrivavano infatti rifornivano di ferro le industrie. A questo scopo servivano i primi binari che giungeva a Lecco, collegando la nostra città con Bergamo e con Brescia. Una linea tronca: i binari si arrestavano in corrispondenza dell’attuale ponte di corso Matteotti. Li sorgeva un alto un muro, ai piedi del quale era stato collocato il casotto di legno. Solo una ventina d’anni dopo si realizzò la stazione vera e propria che, a parte gli inevitabili rimaneggiamenti è sostanzialmente quella ancora in funzione, realizzata probabilmente tra il 1880 e 1883, auspicata da quel Giuseppe Badoni, presidente della Camera di commercio, il quale in una lettera sollecitava la realizzazione di una stazione più dignitosa, «magari in pietra». Era comunque già in funzione quando nel 1888 venne inaugurata la linea Como-Lecco. Linea per la quale venne anche realizzato il ponte sull’Adda: un’opera all’avanguardia realizzata con il ferro prodotto nelle fonderie di Castellamare di Stabia dirette da Alfredo Cutreau, amico di un certo Gustave Eiffel: non si sa con certezza chi dei due abbia influenzato l’altro, ma di certo entrambi furono tra i protagonisti della diffusione in Europe delle strutture in ferro. Di gran portata tecnica anche i piloni di cemento immersi nel letto dell’Adda a sostegno del ponte, la cui realizzazione però fu causa di molti infortuni tra le maestranze. I piloni in cemento sono quelli ancora in opera, mentre la struttura in ferro venne sostituita nel 1958, anche in quest’occasione in maniera spettacolare: il vecchio ponte venne infatti tolto dai piloni senza essere smontato e appoggiato su pali di legno per lasciare appunto il posto a quello nuovo realizzato, inutile dirlo tra lecchesi, dalla Badoni.
Prima della linea con Como, comunque, era stato completato il collegamento con Monza (anno 1873). Nel 1892, invece, venne abbattuto il muraglione che troncava la ferrovia per avviarsi lungo la riva del lago e raggiungere prima Bellano (1892) e poi Colico (1893). Che fu la prima linea elettrica italiana.
La geografia della città in questi 160 anni è completamente cambiata. E più volte. Le grandi industrie non ci sono più e i binari di servizio sono scomparsi, la “Piccola” sta per conoscere un nuovo destino dopo anni d’abbandono, il deposito locomotive è stato smentellato.
Ma – è l’auspicio di Bordonaro – chissà che la necessità di una mobilità sostenibile non conduca a una nuova stagione gloriosa per le ferrovie.
D.C.