Patrick Zaki e altri 2 attivisti ospiti del Compresivo Lecco 3: 'continueremo a spingere'

Fortunato, dice. «Rispetto ad altri sono stati fortunatissimo. Perché avevo alle spalle amici, persone, un movimento che hanno dato rilevanza al mio caso». Patrick Zaki, il giovane universitario bolognese di nazionalità egiziana, arrestato nel febbraio 2020 e detenuto in Egitto per quasi due anni con una vicenda giudiziaria che si è poi protratta fino all’estate di quest’anno quando ha potuto tornare in Italia, è stato ospite della nostra città su invito dell’istituto scolastico “Lecco Tre”, incontrandosi nel pomeriggio con gli studenti della scuola Stoppani e in serata con il pubblico in una sala dai posti esauriti.
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Accanto a lui, altri due attivisti egiziani che hanno vissuto vicende analoghe: Ahmed Stakoza e Sanaa Seif.  A condurre l’incontro, il giornalista Luca Cereda, spalleggiato da Riccardo Mauri con il compito di traduttore, avendo preferito discorrere in inglese. Una scelta che non ha comunque scoraggiato la platea.
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In apertura, il sindaco Mauro Gattinoni ha porto a Zaki il benevenuto della città, regalandogli la fotografia del cortile comunale quando, proprio durante la detenzione, vi era esposto il suo volto disegnato con un intreccio di parole.
Si è cominciato con il delineare la situazione politica dell’Egitto, il regime di Mubarak, la stagione delle “primavere”, la mobilitazione di piazza Tahir, le elezioni del 2012 che hanno promosso i Fratelli Musulmani, il colpo di Stato del 2014 di Al Sisi anche con la benedizione di Usa e Occidente preoccupati che l’Egitto diventasse un Paese instabile in un momento storico e in luogo politico cruciali. 
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Ahmed Stakoza

«Vivere sotto un regime - la testimonianza di Stakoza, anch’egli imprigionato a lungo – è come trovarsi in un film horror, ma è la vita vera. E ripensando alla mia esperienza la divido in due fasi, quella prima dell’arresto con l’attivismo sulle questioni sociali, la battaglia per il rifiuto della leva obbligatoria in un Paese dove la prima autorità è l’esercito e il problema dei diritti umani. La seconda fase, dopo l’arresto è solo una questione di sopravvivenza. Si entra in un circolo vizioso. Nessuno è libero finché non tutti sono liberi. Tu sei in prigione e poi quando esci, altri finiscono in prigione. La lotta deve essere collettiva. Anche chi non si interessa di politica non può chiamarsi fuori. Questa cosa non ha mai fine. Quando esci sei tecnicamente libero, ma non mentalmente. E poi, la polizia viene ogni due mesi a perquisire la casa, ti ferma a ogni posto di blocco. Anche ora che vivo in Italia ho la sicurezza fisica ma non quella interiore non c’è più. E poi in Egitto ho ancora la famiglia, gli amici. Però, adesso in Italia, lavoro con i migranti e mi sono accorto che ci sono  strade ancora più pericolose per arrivare qui».
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Patrick Zaki

E proprio sulla società, sulla mentalità delle persone comune ha posto l’attenzione Luca Cereda sottolineano un brano del libro scritto da Zaki (“Sogni e illusioni di libertà. La mia storia” appena pubblicato dall’editrice “La nave di Teseo”), vale a dire l’episodio in cui lo stesso Zaki venne colpito con una violenta bottigliata da un funzionario che l’aveva incrociato casualmente in un corridoio del tribunale, evidentemente sentendosi autorizzato a infierire liberamente contro quello che era dipinto come un fuorilegge.
«E’ un regime – ha detto Zaki – che pratica la violenza sistematica. Io sono uno dei più fortunati: ho subito meno violenze fisiche o persecuzioni rispetto ad altri. Va detto che la mentalità violenta è radicata nelle forze di polizia. Esisteva prima di Al Sisi e con Al Sisi si è inasprita nei confronti degli oppositori. Bisognerebbe approfondire per capire ciò che ha cambiato la mentalità. C’erano alcuni momenti, quando mi trovavo ammanettato e bendato in una stanza, in cui mi aspettavo l’arrivo della violenza. E invece è successo in un corridoio mentre aspettavo per consegnare dei documenti da una persona incontrata per caso. Un regime in cui ogni diritto viene negato genera individui capaci di agire in quel modo…».
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Sanaa Seif

Da parte sua Sanaa Seif è stata arrestata mentre protestava per poter avere notizie del fratello in carcere ormai da nove anni: «Quando c’era la pandemia non si potevano effettuare visite in carcere. L’unico canale di comunicazione erano le lettere. Poi le autorità hanno proibite anche quelle. Non per tutti, solo mio fratello. Pensavamo che non stesse bene, che volessero nascondere qualcosa, che si fosse ammalato di covid. Mia mamma, una professoressa di matematica, ha deciso di fare un sit-in. La prima sera ci è andata solo lei, la seconda ci siamo unite io e mia sorella. Ci hanno picchiate e quando il giorno dopo siamo andate a denunciare l’accaduto mi hanno arrestata dicendomi che non era tanto per me quanto per dare una lezione a mia madre. Mi hanno condannata a 18 mesi di prigione».

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Sul futuro dell’Egitto, almeno quello prossimo, ci sono poche speranze. Le nuove elezioni programmate per il prossimo anno sono considerate una farsa, gli oppositori di Al Sisi sono arrestati e l’esito è quindi scontato. La sensazione è che «la nostra generazione» non vedrà la fine del tunnel. 
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«Inoltre – ha aggiunto Zaki – la guerra a Gaza ha reso la situazione ancora più difficile. Quindi per adesso ci concentriamo sulla salvaguardia della popolazione palestinese. Chiediamo il “cessate il fuoco”». Quello che si prefigura – ha chiosato – Seif – è la deportazione dei palestinesi in Egitto.  Ma prima o poi il mondo dovrà accorgersi che sta diventando troppo costoso mantenere lo status quo». «Adesso – la conclusione di  Stakoza – siamo un po’ più vecchi e lasceremo spazio ai giovani, ma continueremo a spingere».
D.C.
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