Omicidio di Germanedo: 'preso dalla disperazione mi sono trovato con le mani al collo'. Parla l'imputato

“Ho ucciso la mamma. Chiama la polizia, chiama i carabinieri”. Quando il cellulare di Stefano Antonello è squillato, era notte fonda. Erano le 3.53 del 6 febbraio, come ricordato con assoluta precisione dal lecchese, seduto quest'oggi al banco dei testimoni al cospetto della Corte d'Assise di Como. Dall'altro capo del telefono c'era suo padre, ora chiamato a rispondere dell'omicidio (aggravato dal vincolo di parentela) della moglie Antonietta Vacchelli, 86 anni, sua coetanea.
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Il condominio di Germanedo teatro della tragedia
Alle 4.15 – il ricordo in questo caso è stato meno preciso, più ovattato dalla sorpresa forse non ancora del tutto metabolizzata – un'altra chiamata, ad altro numero. Risponde Elisa Bussani, nipote dei coniugi Antonello, in casa con la sorella. “Perdonatemi. Volevo che lo sapeste da me: ho strangolato la Antonietta”. A parlare è ancora Umberto, “la persona più buona che io ho mai potuto conoscere”, secondo l'espressione scelta dalla nipote Martina che, con i nonni, trascorreva – compatibilmente con i propri impegni – gran parte della sua giornata, assistendo impotente alle fatiche a carico di entrambi. Antonietta quasi sorda ma testardamente senza apparecchio acustico.  Antonietta, da anni e anni, alle prese con le conseguenze dell'osteoporosi, ostinatamente convinta a non voler mettere il corsetto pur con la schiena sempre più ricurva. Antonietta sempre più “scavata” in volto – in poco tempo aveva perso una decina di chili – e dilaniata da dolori ovunque, imputabili, forse, anche ad un tumore in stadio avanzato scoperto solo con l'autopsia. Antonietta che “doveva essere accompagnata anche dal divano al bagno” ma allo stesso tempo rifiutava di essere portata in ospedale e ogni genere di aiuto esterno, arrivando a cacciare la ragazza assunta per dare una mano nelle faccende domestiche, pretendendo fosse il marito a fare tutto in quella casa di via dell'Eremo ed ad assisterla perfino massaggiandole i piedi, anche di notte, per alleviare quel fastidio insopportabile che avvertiva alle estremità stando ferma. Antonietta dunque “che non ha fatto niente per sgravare mio padre”, secondo quando detto in Aula dal figlio Stefano, parlando dinnanzi alla giuria presieduta dalla dottoressa Valeria Costi, arrivata alla commozione durante l'escussione di Martina. “Nonno per lei c'è sempre stato, qualsiasi cosa nonna chiedeva lui faceva. Voglio bene alla nonna, per me è stata come una mamma. Ma non ho mai sentito un grazie”. E così Umberto cuciva e rassettava, mestieri preclusi anche alla nipote. Umberto – a sua volta reduce da un tumore e più operazioni - andava in farmacia a recuperare di volta in volta qualcosa per alleviare i dolori, sempre più diffusi, della moglie. Umberto non riusciva nemmeno più a dormire perché “di notte esplodeva la cosa”, ha sostenuto ancora Stefano che non si capacita di come il 1° febbraio, dopo aver portato la madre “a forza” in pronto soccorso, la stessa sia stata dimessa in otto ore, con la prescrizione della Tachipirina al bisogno, senza nemmeno un esame del sangue che forse “poteva evitare tutto questo”. 
E si arriva così – con Antonietta che ripeteva “come un mantra, voglio morire, fatemi morire, non voglio più vivere così” - al 5 febbraio. “Io ero lì” ha dichiarato Martina, in riferimento alla giornata di domenica. “Nonna era dilaniata dal dolore, non sapeva neanche più cosa le faceva male”. Eppure, ancora, alle 10 di sera avrebbe risposto al figlio “non se ne parla, non ne voglio sapere” all'ennesima proposta di chiamare l'ambulanza. Alle 3.53 di notte era già morta. Stefano, l'ha trovata con uno strofinaccio sul volto.
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Umberto Antonello in una foto scattata dopo l'interrogatorio di garanzia
“A un un certo punto ho una nebbia, mi pare di aver visto un rivolo di sangue. Non ricordo” ha raccontato, rendendo esame, incalzato dalle domande del suo difensore, l'avvocato Richard Martini, lo stesso imputato. “Io quell'attimo li non ho idea se abbiamo se litigato o cosa, non ho idea di cosa sia successo...” ha asserito parlando del momento in cui, dopo essere stato svegliato dalla moglie che chiedeva di essere sollevata, l'ha strangolata. “Non ne poteva più, preso dalla disperazione
mi sono trovato con le mani al collo”. 
Al PM – il sostituto procuratore Pasquale Gaspare Esposito – che gli ha chiesto se avesse intenzione di uccidere la moglie, Umberto Antonello ha ricordato di essere stato tra i primi iscritti all'AIDO, di aver effettuato oltre 130 donazioni all'AVIS, di aver sempre cercato di aiutare il prossimo. “Ho sempre pensato che uno singolarmente non può essere l'arbitro della vita delle altre persone”, aggiungendo, sconsolato, “ritengo che non ero in me”.
“Sono convinto che in quel momento si sia spento un interruttore” ha sostenuto anche un vicino di casa, sentito come testimone della difesa, al pari di un ulteriore nipote dei coniugi. E lo stesso, più tecnicamente, ha riferito anche il dottor Giuseppe Giunta, medico psichiatra, parlando di “un raptus”, dopo aver descritto il rapporto di “dipendenza” tra moglie e marito, con la prima che si appoggiava solo al secondo ed il secondo, emotivamente condizionato dalla prima, che si prestava a tutto. 
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Alla notte dell'omicidio, dunque, l'anziano sarebbe arrivato “stremato. E' andato lì per cercare di sollevare Antonietta, qualcosa nel cervello ha creato però un blackout e le ha messo le mani al collo, strangolandola. Lei non ha fatto resistenza, non ne aveva la forza (…). E' stato un aspetto dissociativo importante, il suo pensiero si è dissociato dalla parte emotiva” ha spiegato il professionista incaricato dalla difesa, ritenendo l'86enne “sopraffatto dalla stanchezza e dallo stress” e dunque non in grado di intendere e volere nel momento dell'uxoricidio. 
Di diverso avviso il PM che, chiamato a esprimersi sulla richiesta di perizia avanzata dall'avvocato Martini in apertura del dibattimento, ha chiesto il rigetto dell'istanza, ritenendo priva dei presupposti. Ha insistito la toga lecchese. E la Corte – dopo mezz'ora di camera di consiglio – ha acconsentito, nominando il dottor Nicola Molteni. L'incarico gli verrà conferito all'udienza del prossimo 29 novembre. 
A.M.
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