Nel parlare di sé l'architetto Maggi con CulturaInsieme fa riaffiorare nel ricordo collettivo la 'Calolzio che era'
Serata nostalgica, quella di ieri, a Calolzio. Ma la politica non c'entra. Il gruppo CulturaInsieme è riuscito infatti – all'esordio del mini-ciclo “Calolzio che era” - a risvegliare ricordi collettivi, partendo dall'esperienza personale dell'architetto Daniele Maggi che, ripercorrendo la propria giovinezza, ha riportato indietro anche la sua attenta platea a quel tempo andato.
Ai “nostri anni più belli” per dirla con l'espressione usata da Adelio Longhi, presentatore della riuscita iniziativa organizzata presso il Bar del Mel, location scelta non a caso. La sala, dall'arredamento vintage a testimonianza dell'abbondante secolo di attività della locanda, ben si prestava a richiamare i ritrovi di una volta, con il senso di “osteria” ricreato dagli animatori di CulturaInsieme offrendo la possibilità ai partecipanti di sorseggiare, nel corso nell'incontro, un bicchiere di buon vino rosso. Un tocco di genio, in una serata curata nei minimi dettagli, con la narrazione del “protagonista” rinforzata da una serie di immagini selezionate dal suo album di famiglia o messe a disposizione da Roberto Valsecchi e inframmezzata da letture a tema tratte dal suo libro “La regina del Lario e altri racconti” e dagli interventi musicali di Renato Matarrese.
Daniele Maggi nasce a Milano il 20 agosto 1946. Ma già a 40 giorni di vita diventa cittadino di quella Calolziocorte divenuta tale tra il 1927 e il 1928, dapprima dall'unificazione dei comuni di Calolzio e Corte e poi con l'incorporazione anche di Lorentino e Rossino. Il titolo di città – è stato ricordato – è solo del 2002. Negli anni interessati dal racconto, dunque, Calolziocorte era un paese, dalla strade inghiaiate ancora poco battute dalla auto, dalle case in gran parte ancora senza servizi igienici ma con il cesso (comune) sul ballatoio, come quella alla Serta prima sistemazione della famiglia Maggi, spostatasi altre tre due volte prima di approdare nel grattacielo di Piazza Vittorio Veneto. Piazza allora in pendenza, non asfaltata, con l'edicola e, al martedì, animata dal mercato.
Tra le mura domestiche, si viveva in cucina, l'unico ambiente riscaldato. Fuori, i bambini – rigorosamente tutti con i pantaloncini corti, “quelli lunghi gli ho messi per la prima volta alle superiori” - nella bella stagione pescavano i gamberi e facevano il bagno nelle pozze del Gallavesa. “Il torrente ha condizionato la mia vita e mi ha formato” ha detto Maggi, strappando sorrisi anche nel ricordare le dighe che, con gli amici, costruiva con terra e sassi lungo il Buliga, a monte del lavatoio - “luogo di socialità completo” - scappando a gambe levate non appena la loro piccola infrastruttura cedeva, l'acqua iniziava a scorrere a valle sporca facendo alzare un coro di grida di donne – intente a sciacquare i panni – inferocite. Nell'ascoltarlo pareva di vedere la scena.
Come è parso, poi, di sentire anche il richiamo del “moléta”, l'arrotino in bicicletta, con il suo lavoro citato insieme allo “scarpolì” e allo “stremassì” per ricordare mestieri oggi abbandonati.
Solleticato anche l'olfatto parlando della tradizionale narcisata del primo maggio a Valcava e dunque dell'intenso profumo dei mazzi giganti con cui, in funivia, calolziesi e gitanti, tornavano poi a casa. Uno degli appuntamenti collettivi che scalettavano lo scorrere delle stagioni. Come, per anni, lo è stata anche – con l'avvento del Maggio a Calolziocorte – la “cronodiscesa per bolidi a propulsione gravitazione”. La corsa delle “biroce”, insomma, ormai un lontano ricordo, vivo però in partecipanti e spettatori. Come ha toccato tutti la citazione di don Pietro, don Giulio – capace di riportare alla commozione Carlo Viganò, voce della prossima serata in programma giovedì, sempre alle 21, sempre al Mel - e don Oliverio. E se la storia del primo cinema del paese – dimenticato da tutti – ha incuriosito, i vecchi soprannomi hanno chiuso l'incontro, tra la Gubeta e Stravacamadon.
“Calolzio amore mio”, il titolo scelto per il suo intervento da Daniele Maggi. “Calolzio amore nostro”, per quel che si è visto, la risposta del suo pubblico.
Ai “nostri anni più belli” per dirla con l'espressione usata da Adelio Longhi, presentatore della riuscita iniziativa organizzata presso il Bar del Mel, location scelta non a caso. La sala, dall'arredamento vintage a testimonianza dell'abbondante secolo di attività della locanda, ben si prestava a richiamare i ritrovi di una volta, con il senso di “osteria” ricreato dagli animatori di CulturaInsieme offrendo la possibilità ai partecipanti di sorseggiare, nel corso nell'incontro, un bicchiere di buon vino rosso. Un tocco di genio, in una serata curata nei minimi dettagli, con la narrazione del “protagonista” rinforzata da una serie di immagini selezionate dal suo album di famiglia o messe a disposizione da Roberto Valsecchi e inframmezzata da letture a tema tratte dal suo libro “La regina del Lario e altri racconti” e dagli interventi musicali di Renato Matarrese.
Daniele Maggi nasce a Milano il 20 agosto 1946. Ma già a 40 giorni di vita diventa cittadino di quella Calolziocorte divenuta tale tra il 1927 e il 1928, dapprima dall'unificazione dei comuni di Calolzio e Corte e poi con l'incorporazione anche di Lorentino e Rossino. Il titolo di città – è stato ricordato – è solo del 2002. Negli anni interessati dal racconto, dunque, Calolziocorte era un paese, dalla strade inghiaiate ancora poco battute dalla auto, dalle case in gran parte ancora senza servizi igienici ma con il cesso (comune) sul ballatoio, come quella alla Serta prima sistemazione della famiglia Maggi, spostatasi altre tre due volte prima di approdare nel grattacielo di Piazza Vittorio Veneto. Piazza allora in pendenza, non asfaltata, con l'edicola e, al martedì, animata dal mercato.
Tra le mura domestiche, si viveva in cucina, l'unico ambiente riscaldato. Fuori, i bambini – rigorosamente tutti con i pantaloncini corti, “quelli lunghi gli ho messi per la prima volta alle superiori” - nella bella stagione pescavano i gamberi e facevano il bagno nelle pozze del Gallavesa. “Il torrente ha condizionato la mia vita e mi ha formato” ha detto Maggi, strappando sorrisi anche nel ricordare le dighe che, con gli amici, costruiva con terra e sassi lungo il Buliga, a monte del lavatoio - “luogo di socialità completo” - scappando a gambe levate non appena la loro piccola infrastruttura cedeva, l'acqua iniziava a scorrere a valle sporca facendo alzare un coro di grida di donne – intente a sciacquare i panni – inferocite. Nell'ascoltarlo pareva di vedere la scena.
Come è parso, poi, di sentire anche il richiamo del “moléta”, l'arrotino in bicicletta, con il suo lavoro citato insieme allo “scarpolì” e allo “stremassì” per ricordare mestieri oggi abbandonati.
Solleticato anche l'olfatto parlando della tradizionale narcisata del primo maggio a Valcava e dunque dell'intenso profumo dei mazzi giganti con cui, in funivia, calolziesi e gitanti, tornavano poi a casa. Uno degli appuntamenti collettivi che scalettavano lo scorrere delle stagioni. Come, per anni, lo è stata anche – con l'avvento del Maggio a Calolziocorte – la “cronodiscesa per bolidi a propulsione gravitazione”. La corsa delle “biroce”, insomma, ormai un lontano ricordo, vivo però in partecipanti e spettatori. Come ha toccato tutti la citazione di don Pietro, don Giulio – capace di riportare alla commozione Carlo Viganò, voce della prossima serata in programma giovedì, sempre alle 21, sempre al Mel - e don Oliverio. E se la storia del primo cinema del paese – dimenticato da tutti – ha incuriosito, i vecchi soprannomi hanno chiuso l'incontro, tra la Gubeta e Stravacamadon.
“Calolzio amore mio”, il titolo scelto per il suo intervento da Daniele Maggi. “Calolzio amore nostro”, per quel che si è visto, la risposta del suo pubblico.
A.M.