Lecco: 'Manzoni è insuperabile', parola del regista Salvatore Nocita
Per mandare un messaggio occorre raccontare una storia, dando corpo a personaggi che indichino qualcosa di preciso. E in questo Manzoni è insuperabile. Ospite del cinema Nuovo Aquilone, il regista Salvatore Nocita ha spiegato i “suoi” Promessi sposi in un pomeriggio che è a sorpresa è andato ad arricchire il calendario delle iniziative cittadine per i 150 anni della morte di Alessandro Manzoni.
Introducendo l’incontro, don Milani ha ricordato come proprio domenica scorsa abbia incontrato alla messa solenne in San Nicolò due giovani sposi brasiliani: «Cattolici – ha detto il prevosto - avevano sentito papa Francesco citare i “Promessi sposi”: hanno letto il libro e hanno deciso che in viaggio di nozze sarebbero venuti sui luoghi del romanzo. E così è stato».
Da parte sua, Nocita ha ricordato le fasi di realizzazione dello sceneggiato: un lungo periodo di lavoro; la sponsorizzazione dell’allora Cassa di risparmio della province lombardo (poi diventata Cariplo) per cui l’opera venne presentata con la proiezione di una puntata in ognuno dei capoluoghi della regione: Lecco non lo era di fatto ma certo in sostanza e soprattutto certo non poteva mancare; i luoghi difficili da ritrovare per cui gli scorci autenticamente lecchesi sono soltanto la cresta del Resegone e un tratto dell’Adda a Pescarenico. «Ma se il “materiale” è importante, quello che importa trasmettere è lo spirito, non dico dei luoghi… Manzoni era lombardo ma non era una persona semplice, sotto ogni punto di vista».
«Ho cercato di fare una storia del Seicento – le parole del regista – ambientata nel Seicento: una storia gotica perché nel Seicento il gotico si imponeva, ma il gotico è anche una filosofia e una cultura forse poco frequentate in Italia. Tre le immagini prese dall’arte: i pitocchi lombardi, i borghesi olandesi, i quadri del Rinascimento e della pittura spagnola per i nobili. Seguendo tre filoni iconografici così precisi era impossibile sbagliare».
Correggendo anche qualche incongruenza storica manzoniana, come ha sottolineato Martini: vale a dire gli spilloni dell’acconciatura di Lucia che allora non esistevano, nonostante siano ormai diventati il simbolo di tutte le lucie da souvenir e un don Rodrigo che mangiava con la forchetta.
«Avevamo un manifesto – ha ricordato Nocita – che riproduceva la Lucia con gli spilloni e sotto in grande era scritto: non così!»
Si è poi parlato del cast che annoverava grandi attori italiani ma anche star internazionali del calibro di Burt Lancaster nei panni del cardinale Federico Borromeo ed Helmut Berger in quelli di Egidio.
«Per il pubblico internazionale – ha ricordato Nocita – ci volevano attrattive forti e il cast ci ha garantito una conoscenza internazionale. All’estero, “I Promessi sposi” sono un romanzo poco noto: Manzoni non è Gide, Proust, Victor Hugo e Dostoevskij, in quanto a notorietà. E allora il pubblico va attirato con la storia. Del resto, un signore che si chiamava Stendhal è stato uno dei primi a capire che i sentimenti vanno raccontati vestendoli di persone. E leggendo Manzoni, attraverso le persone, si vede oltre: c’è un grande messaggio culturale e anche fideistico anche se, più che a Cristo, Manzoni crede nella provvidenza, crede in qualcuno che ci aiuta. Nelle pagine del Lazzaretto, ci si accorge che c’è qualcosa oltre a fra’ Cristoforo, oltre alla peste. C’è appunto qualcosa che ci aiuta, che richiama in noi un sentimento di autopositività circondati come siamo da negatività».
E a proposito dell’oltre, «ho la presunzione di non essermi ingabbiato in una storia cattolica, ma di avere fatto una storia di gente buona e gente cattiva. Del resto, il cardinale Carlo Maria Martini mi diceva che “Dio non è cattolico” ed è vero: se riducessimo Dio alla storia di Santa Romana Chiesa saremmo finiti».
«I “Promessi sposi” sono fatti di due personaggi e mezzo: Lucia, l’Innominato e mezzo Federigo. E forse un po’ don Abbondio, per fare un po’ ridere e per attirare l’attenzione sulla viltà delle persone. Ci siamo posti il problema di rispettare il pubblico che non è fatto solo di critici cinematografici o esegeti. Per far passare un messaggio, positivo ma anche negativo, si racconta una storia. E Manzoni, oltre a essere uno storico, è anche un grande romanziere e un romanzo è fatto di creature e personaggi. Manzoni è così preciso e puntuale nella creazione dei personaggi che indicano qualcosa, sia quelli piccoli e insignificanti che quelli grandiosi come la monaca di Monza. In questo, Manzoni è insuperabile».
Salvatore Nocita, 89 anni in splendida forma, è stato il regista dell’edizione 1989 dei “Promessi sposi” in versione sceneggiato televisivo prodotto dalla Rai, uno spezzone del quale è stato proiettato nel pomeriggio del “Nuovo Aquilone” a fare da cornice all’incontro al quale sono intervenuti il critico cinematografico Giulio Martini (docente di cinema e tv alla “Bicocca”), il prevosto don Davide Milani, il direttore dei musei cittadini Mauro Rossetto e l’assessore comunale Renata Zuffi che ha consegnato una targa al regista.
Introducendo l’incontro, don Milani ha ricordato come proprio domenica scorsa abbia incontrato alla messa solenne in San Nicolò due giovani sposi brasiliani: «Cattolici – ha detto il prevosto - avevano sentito papa Francesco citare i “Promessi sposi”: hanno letto il libro e hanno deciso che in viaggio di nozze sarebbero venuti sui luoghi del romanzo. E così è stato».
Da parte sua, Nocita ha ricordato le fasi di realizzazione dello sceneggiato: un lungo periodo di lavoro; la sponsorizzazione dell’allora Cassa di risparmio della province lombardo (poi diventata Cariplo) per cui l’opera venne presentata con la proiezione di una puntata in ognuno dei capoluoghi della regione: Lecco non lo era di fatto ma certo in sostanza e soprattutto certo non poteva mancare; i luoghi difficili da ritrovare per cui gli scorci autenticamente lecchesi sono soltanto la cresta del Resegone e un tratto dell’Adda a Pescarenico. «Ma se il “materiale” è importante, quello che importa trasmettere è lo spirito, non dico dei luoghi… Manzoni era lombardo ma non era una persona semplice, sotto ogni punto di vista».
Correggendo anche qualche incongruenza storica manzoniana, come ha sottolineato Martini: vale a dire gli spilloni dell’acconciatura di Lucia che allora non esistevano, nonostante siano ormai diventati il simbolo di tutte le lucie da souvenir e un don Rodrigo che mangiava con la forchetta.
«Avevamo un manifesto – ha ricordato Nocita – che riproduceva la Lucia con gli spilloni e sotto in grande era scritto: non così!»
Si è poi parlato del cast che annoverava grandi attori italiani ma anche star internazionali del calibro di Burt Lancaster nei panni del cardinale Federico Borromeo ed Helmut Berger in quelli di Egidio.
«Per il pubblico internazionale – ha ricordato Nocita – ci volevano attrattive forti e il cast ci ha garantito una conoscenza internazionale. All’estero, “I Promessi sposi” sono un romanzo poco noto: Manzoni non è Gide, Proust, Victor Hugo e Dostoevskij, in quanto a notorietà. E allora il pubblico va attirato con la storia. Del resto, un signore che si chiamava Stendhal è stato uno dei primi a capire che i sentimenti vanno raccontati vestendoli di persone. E leggendo Manzoni, attraverso le persone, si vede oltre: c’è un grande messaggio culturale e anche fideistico anche se, più che a Cristo, Manzoni crede nella provvidenza, crede in qualcuno che ci aiuta. Nelle pagine del Lazzaretto, ci si accorge che c’è qualcosa oltre a fra’ Cristoforo, oltre alla peste. C’è appunto qualcosa che ci aiuta, che richiama in noi un sentimento di autopositività circondati come siamo da negatività».
E a proposito dell’oltre, «ho la presunzione di non essermi ingabbiato in una storia cattolica, ma di avere fatto una storia di gente buona e gente cattiva. Del resto, il cardinale Carlo Maria Martini mi diceva che “Dio non è cattolico” ed è vero: se riducessimo Dio alla storia di Santa Romana Chiesa saremmo finiti».
«I “Promessi sposi” sono fatti di due personaggi e mezzo: Lucia, l’Innominato e mezzo Federigo. E forse un po’ don Abbondio, per fare un po’ ridere e per attirare l’attenzione sulla viltà delle persone. Ci siamo posti il problema di rispettare il pubblico che non è fatto solo di critici cinematografici o esegeti. Per far passare un messaggio, positivo ma anche negativo, si racconta una storia. E Manzoni, oltre a essere uno storico, è anche un grande romanziere e un romanzo è fatto di creature e personaggi. Manzoni è così preciso e puntuale nella creazione dei personaggi che indicano qualcosa, sia quelli piccoli e insignificanti che quelli grandiosi come la monaca di Monza. In questo, Manzoni è insuperabile».
D.C.