SCAFFALE LECCHESE/176: le storie (da catalogo) dei tanti Monumenti ai Caduti

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Fine settimana di celebrazioni per il IV Novembre, ricorrenza della vittoria italiana nella prima guerra mondiale: quella Grande Guerra destinata a cambiare non solo la mappa europea ma, come si sa, anche il concetto stesso di guerra, aprendo il tempo dei conflitti “moderni”, delle mobilitazioni di massa, dei grandi massacri del Novecento che peraltro ancora continuano in quest’altro secolo.
Che la Grande Guerra abbia rappresentato anche per il nostro Paese un immane trauma collettivo è dimostrato dai monumenti ai Caduti, dai parchi della Rimembranza e da altri sacrari e santuari che cominciarono a sorgere subito all’indomani della fine dello scontro bellico, andando in pochi a anni a creare una fitta rete di architetture commemorative dedicate ai soldati “martiri” che sorsero fin nei Comuni più piccoli perché ogni Comune, per la prima volta, aveva da piangere propri morti al fronte.
Fanno ormai parte del paesaggio che ormai non se ce ne si accorge neppure più. E non solo negli orizzonti abituali. Perché un monumento ai Caduti è presenza scontata ovunque ci si rechi.
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Come accaduto per altre province lombarde, anche per il Lecchese negli anni scorsi è stato effettuato un censimento dei monumenti esistenti, curato da Lucia Ronchetti, i cui risultati sono stati raccolti in volume promosso da diversi enti pubblici e pubblicato dall’editore varesino Pietro Macchione nel 2014, all’avvio dunque delle celebrazioni del centenario della prima guerra mondiale (“I monumenti ai Caduti della Grande Guerra. Il censimento per la provincia di Lecco”).
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Sempre da Macchione, inoltre, usciva nel 2017 un volumetto curato da Eugenio Guglielmi e dedicato espressamente al monumento della città di Lecco realizzato in occasione dei lavori di restauro (“Il monumento ai Caduti di Lecco. Racconto a cielo aperto di popoli ed eroi. 1926-1907)”.
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L’anno successivo, per una mostra curata da Antonio Battaglia e allestita a Villa Monastero a cavallo fra 2018 e 2019, usciva un interessante catalogo stampato dall’editore Cattaneo per conto dell’Archivio di Stato (“Il loro nome è Italia. Il ricordo dei caduti della Grande Guerra nelle cartoline e nelle cronache dell’epoca”) che pure passa in rassegna monumenti e parchi delle rimembranze.
Naturalmente, molte delle considerazioni contenute in queste pubblicazioni non sono differenti da quelle relative ad altre località italiane. La specificità sta nelle forme e nei modi che ciascuna amministrazione comunale scelse. Forme e modi i più diversi, dalle semplici lapidi alle più sontuose strutture. Ai monumenti ufficiali vanno inoltre aggiunti anche quelli minori voluti da associazioni o scuole per un ulteriore particolare memoria. 
La gran parte vide la luce negli anni immediatamente seguenti la fine della guerra. Addirittura già nel 1918, come la lapide di marmo bianco affissa sotto il portico del palazzo comunale di Paderno d’Adda che avrà poi dieci anni dopo il suo monumento vero e proprio innalzato all’interno del cimitero. Del resto – ci ricorda Eugenio Guglielmi - nell’ottobre 1918 e quindi a guerra non ancora conclusa, la redazione del giornale lecchese “Il Resegone” «sentiva la necessità di coinvolgere tutta la cittadinanza “per un monumento ai concittadini caduti in guerra”. L’occasione era quella legata al “mesto giorno, sacro al ricordo dei defunti” per accumulare nel ricordo “tutta la generosa falange dei prodi che, per la libertà e la grandezza d’Italia, per il trionfo della causa, della giustizia e del diritto, hanno sacrificato la loro promettente esistenza».
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Il monumento di Airuno
L’anno successivo sorsero i monumenti Acquate (allora popoloso Comune autonomo), Airuno, Rossino di Calolziocorte, Margno; vennero posate lapidi a Ello e Brongio di Garbagnate Monastero. Molte opere sono datate 1920 e tante altre vennero realizzate in qual decennio, alcuni ancora negli anni Trenta. Successivamente, vi furono un’altra guerra e altri Caduti per i quali il più delle volte si aggiunsero i nomi ai monumenti già esistenti. Le opere più moderne sono andate semplicemente a sostituire quelle già esistenti, perché deterioratesi nel tempo o non ritenute sufficientemente dignitose. E dopo il 1945, i nuovi monumenti erano quelli dedicati alla Resistenza e ai “Martiri della Liberazione” dal regime fascista e dall’occupazione nazista
In quanto alle dorme e ai “contenuti” dei Monumenti della Grande guerra, secondo le sensibilità locali o l’estro degli scultori e degli architetti, ci sono altari, obelischi, stele, colonne, tante aquile con le ali spiegate, soldati in pose marziali o in azione, madri dolenti o Vittorie, fiaccole e crocifissi, corone d’alloro e qualche bandiera, sorprendentemente rari ordigni, tanti sassi a ricordare le asperità naturali del fronte austriaco. A Barzio, c’è anche un leone in bronzo, diventato quasi un vero e proprio simbolo del paese. E’ il leone che difende il tricolore: così lo aveva progettato e realizzato lo scultore Michele Vedani nel 1923. Come tante altre strutture in bronzo disseminate nelle piazze italiane, anche il leone barziese venne rastrellato e fuso per esigenze belliche all’inizio della seconda guerra mondiale: «Saturno che divora i suoi figli – la considerazione della soprintendente Chiara Rostagno -: è una figurazione spaventosa, che si presta però compiutamente a descrivere la difficile stagione compresa tra il 1940 e il 1942 quando, per le fabbricazioni di guerra, venne disposto di provvedere  alla rimozione (requisizione) dei monumenti, delle targhe e degli oggetti non aventi valore artistico o storico».
A Barzio, nel 1952 si procedette quindi a restaurare il monumento: vi tornarono leone e tricolore realizzati dallo scultore Giuseppe Mozzanica. 
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Il monumento di Valmadrera

Di grande evidenza, per quanto costituito da due bassorilievi bronzei e una semplice dedica, il tributo del Comune di Costa Masnaga che ai Caduti ha dedicato l’intera facciata del municipio. Slanciato il monumento di Pagnano a Merate eretto nel 1965, un altare imponente è invece l’esedra di Valmadrera realizzata nel 1923, una rotonda neoclassica il monumento di Mondonico di Olgiate Molgora innalzato nel 1921.
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La colonna di Campofiorenzo
Arrivando all’epoca contemporanea, quasi essenziali le recenti colonnine di porfido di Campofiorenzo a Casatenovo, come pure la colonna spezzata del Lazzaretto di Oggiono inaugurato nel 2008 e sul quale i linguaggi alati ed eroici d’un tempo ha lasciato il posto a un più attuale ma altrettanto sterile “Mai più la guerra”, più elaborata invece la spirale in granito di Sirtori realizzata nel 1982, «una spirale in granito nero posata su un basamento circolare ricoperto da lastre lapidee e spezzata da un cuneo in granito rosso: nella ciclicità del tempo la vita dei soldati è stata spezzata anticipatamente dalla guerra in cui hanno combattuto».
Il monumento più recente è una cappelletta campestre a Sueglio, per la quale non c’è la data di edificazione, pur essendo collocata già nel XXI secolo.
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Il più imponente è il monumento di Lecco, realizzato dallo scultore Giannino Castiglioni ed eretto nel 1926 anche se già nel 1922 ne era cominciata l’ideazione. «L’idea iniziale – ci informa ancora Guglielmi – era quella di porre una lapide nel locale cimitero. A questo proposito erano state raccolte 436,47 lire, cifra che apparve subito insufficiente per il numero raggiunto dalle giovani vittime proprio nell’ultimo anno di conflitto. Ora non si parlava più di semplice omaggio, ma di un “memento” più duraturo e degno, trasformando così l’idea della lapide marmorea in un monumento vero e proprio che accogliesse anche i resti dei Caduti».
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Dopo un gran discutere si arrivò appunto al progetto dell’attuale monumento inaugurato il 24 ottobre 1926 ormai in pieno fascismo. Le cronache di quella naturalmente “radiosa giornata” ci sono fornite appunto dal catalogo della mostra di Varenna che, anche per le altre località della provincia, raccoglie gli articoli scritti sui giornali d’epoca per raccontare l’inaugurazione di monumenti e parchi della Rimembranza.
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A proposito dell’inaugurazione lecchese, si legge in una cronaca lunghissima e dettagliatissima, quasi pedante oltre che tronfia, del “Nuovo Prealpino”: «Giornata radiosa veramente, splendente di sole – dopo qualche tempo di pioggia e vento impetuoso che avevano fatto temere per la riuscita della cerimonia – irradiata dal commosso e devoto concorso di migliaia e migliaia di persone riunite da ogni lato della Provincia e della Lombardia. (…) Spettacolo meraviglioso e indimenticabile. Di fronte, i monti ciclopici e asprigni guardano, giganti immani posti a guardia dell’enorme anfiteatro. Squilla l’attenti. (…) Il grande momento è giunto. (…) La tela cade. Squilla la “Marcia Reale” le sue note potenti e trascinanti. Un incidente, si produce, che ha dato modo al capo pompiere Rigamonti Luigi di dimostrare, agli occhi di tutta la massa del popolo trepidante un sangue freddo ed un’audacia mirabili. Il vento, che aveva cominciato a levarsi alquanto vivace, si era in quel momento scatenato un po’ più violento, cosicché quando occorse la manovra per lasciar cadere il telone che ricopriva la stele le corde s’impigliarono dapprima e poi sotto lo sforzo energico dei manovratori si ruppero. (…) Rapidamente il pompiere Rigamonti vi salì, s’abbrancò alla stele e si pose a cavalcioni sulla statua, disponendosi tranquillamente a tagliare il groviglio dei cordoni che tenevano avvinto il telone. In breve esci riuscì nell’intento fra gli applausi vivissimi del popolo. La splendida opera d’arte appare in tutta la sua magnifica mole. Un basamento di pietra aspra e sbozzata, a gradinate, porta tre lapidi. (…) Sul basamento una stele altissima, squadrata alla brava, porta incise le tappe più gloriose della nostra epopea: sulla stele su appoggia, il capo arrovesciato, le braccia distese lungo la persona, ieratica l’Italia dolorosa e orgogliosa, stupendamente modellata e scolpita nella pietra. Intorno un gruppo di bronzo, a fascia, presenta in sintesi tutta la passione del glorioso combattente, che lascia la sua terra e la sua donna e il suo bimbo, per combattere, balzare all’assalto e cadere vittorioso. Figure piene di vigoria, di espressione, di significato».
Dario Cercek
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