I SANTI DANNO FASTIDIO

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''Questi santi son curiosi'' (A. Manzoni, ''Promessi sposi'', cap. XXV)

Capita spesso, per merito della sottilissima ironia manzoniana mai sufficientemente indagata e apprezzata, che leggendo i Promessi sposi ci si imbatta nelle frasi più icastiche messe in bocca ai personaggi meno simpatici.

Basterebbe cercare sul web uno di quei siti che antologizzano gli aforismi o le frasi famose nelle opere di questo o quello, e poi controllare nel testo del romanzo chi, e in quale circostanza, pronuncia quella frase che sul principio, estrapolata dal suo contesto, ci era parsa così bella, o così riprovevole. Otterremmo due effetti ugualmente proficui: smettere di citare ad minchiam Manzoni, e capirne l’intento reale, che non era apologetico né didascalico né tantomeno moraleggiante.
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Ecco perché, oggi, che ricorre la festività di Tutti i Santi, piuttosto che l’omonimo inno sacro Ognissanti mi piace di più lasciarci provocare da alcuni passi dei Promessi sposi, laddove si dice che “tutti i santi sono ostinati”, e che “i santi hanno l’argento vivo addosso”, e se hanno qualche fine nobile da perseguire “tirano in ballo, se potessero, tutto il genere umano”.

Non è forse vero? Non sono forse delle belle epigrafi per sigillare qualche ritratto di vite esemplari? Per celebrare l’attivismo della carità, che non è mai stanca, non è mai doma, è benigna – come scrive San Paolo nella Lettera ai Corinti – ma è anche intraprendente, fantasiosa, testona. Peccato che queste espressioni vengano dalla bocca del cappellano che assiste all'incontro tra l'innominato e il cardinal Federigo, e da quella di don Abbondio, la perfetta antitesi della santità nel romanzo. Si dirà che sono peggio la monaca di Monza, o l’innominato, ma a loro, grandi nel male, Manzoni concede la possibilità della conversione per divenire grandi nel bene (sì, anche Gertrude si converte, per chi non lo sapesse). Ai mediocri nel male come don Rodrigo, niente più che un bestione di paese, o ai tiepidi nel bene come don Abbondio, questa santità non è concessa.

Del resto, è il curato a dichiarare apertamente la sua renitenza: “Un pochino di flemma, un pochino di prudenza, un pochino di carità, mi pare che possa stare anche con la santità... E se fosse tutto un'apparenza? Chi può conoscer tutti i fini degli uomini?”, dice al cap. XXV, insinuando il peggiore dei sospetti che il popolo fomenta quando vede qualcuno troppo grande, troppo magnanimo, troppo impegnato: e se fosse solo apparenza? E se avesse un qualche secondo fine per comportarsi così?

I santi danno fastidio. Non dico quelli incensati dalla Chiesa, dico le persone curiose, ostinate, intraprendenti che incontriamo ogni giorno sulla nostra strada. Suscitano invidia in alcuni, stupore in molti, sospetti in quasi tutti, specie in un certo tipo di ecclesiastici. Il don Abbondio infastidito dal fervore del cardinal Federigo è lo stesso che additava Lucia come “una madonnina infilzata” e lasciava intendere tra le righe che tutti quei suoi rossori, quel suo voler essere perfetta e pudica, in realtà nascondessero qualche pasticcio che aveva fatto col suo Renzo e che adesso doveva riparare in fretta col matrimonio. Ecco cosa pensa la gente quieta dei santi: non li riconosce, e se li intravede cerca di raffreddarne lo slancio. 

E io mi chiedo dove abitino i santi, oggi. Se ancora siano da ricercare tra i fumi dell’incenso e sotto il peso dei paramenti sacri. Se non siano invece da riconoscere nelle strade di tutti i giorni, sulle barche che salvano vite in mare, nei volontari che aiutano i senzatetto, in chi apre le proprie case per dare ospitalità ai poveri. Che sono esattamente le azioni dell’innominato nei Promessi sposi, il vero santo del romanzo. Ispirato dall’innocenza coraggiosa di Lucia, accolto dal perdono del card. Federigo, “contagiato” da questa loro specie di piccola santità (è il cugino Carlo a essere stato proclamato santo, non Federigo Borromeo), diventa lui stesso strumento della Provvidenza, coraggioso nel compiere il bene tanto quanto era stato risoluto prima nel male. Non c’è peccatore che non possa diventare santo, se solo si lascia contagiare dal bene. Tranne chi è tiepido, come don Abbondio. “Io conosco le tue opere, che tu non sei né freddo né caldo. Oh, fossi tu freddo o caldo! Così, perché sei tiepido e non sei né freddo né caldo, io sto per vomitarti dalla mia bocca”. Che non è parola di Manzoni, ma è il libro terzo dell’Apocalisse, cioè parola di Dio.
Stefano Motta
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