C’è nell’aria qualcosa di Freddo che inverno non è
Ottobre 2023. Ritorna una strofa di una canzone:” Che cos'è? /C'è nell'aria qualcosa di freddo/ Che inverno non è/ Che cos'è? Questa sera i bambini per strada/ Non giocano più /Non so perché /L'allegria degli amici di sempre /Non mi diverte più/ Uno mi ha detto che (Sergio Endrigo).
Nell’aria c’è qualcosa di freddo che si espande sulla scena dell’esistenza contaminando emozioni, confini, mura, reticolati: c’è qualcosa nell’aria che abbruttisce i corpi e le menti.
Dopo le pandemie solitamente si generano reazioni primordiali violente, l’individuo sembra impotente e dominato da un daimon sconosciuto che nemmeno la tecnica riconosce perché non sventola delle bandiere. Di fronte a questa sterminata impotenza l’inconscio collettivo genera mostri che disseminano violenze individuali, gruppali, religiose e nazionali.
Non è ancora inverno ma il gelo della disperazione e della morte sta già congelando i teneri arbusti e le rocciose querce secolari. Non c’è un riparo per scaldarsi, compaiono soltanto dei lampi che potrebbero confondersi con le aurore boreali, sono aurore prodotte dall’urto della polvere di zolfo, carbonio, nitrato di potassio: per fuggire dalla reazione esplosiva bisogna chiudere la porta, nascondersi in una cantina profonda e sperare di avercela fatta.
Questa sera i bambini per strada in alcune parti del mondo non giocano più, devono scappare, correre, fuggire lasciando nell’immediato la palla, l’amico di strada, di casa, abbandonando la bambola, il quaderno, il libro, perché quello che sta accadendo non è un gioco, una partita al pallone, una corsa campestre.
Non so perché, ma non capisco l’allegria degli amici del bar, del centro commerciale che incontro tutte le mattine quando prendo il caffè con la mia brioche. C’è qualcosa nell’aria di triste, eppure i colori dell’autunno in Central Park a New York sono romantici, il laghetto è quieto, mi accompagna il giallo dei 150 olmi del viale The Mall. Il lungo Nilo scorre lento tra pezzi di deserto, piccoli villaggi che si appostano attorno alla riva. Sono le acque che salvarono Mosè dalla furia del faraone eppure il vento del deserto scaraventa in faccia la puzza del petrolio e della polvere da sparo.
Uno mi ha detto che ci sono suoni che penetrano nel padiglione auricolare e prendono a schiaffi le cellule di Corti; l’altro mi dice che quando si vedono le bestie feroci nel parco di Kruger in Sud africa bisogna stare chiusi nella vettura con il ranger che ti accompagna; l’altro mi dice che nella città di Carran, dove è nato Abramo in Turchia i venditori di acqua, di tè si sono seduti e stanno aspettando che il rumore assordante scompaia; l’altro mi ha detto che nel Teddy Park a Gerusalemme le fontane zampillanti hanno smesso di gettare l’acqua verso il cielo azzurro; l’altro mi ha detto che a Kerbala e Najaf in Iran le donne sono libere di togliersi il velo e le cupole d’oro brillano come i girasoli armeni.
Ma ci sono due piccoli lembi di terra che guardano il Mediterraneo dove gli occhi dei bimbi sono sporchi di lacrime bianche com’è bianca la luna piena nella Notte Stellata di Van Gogh.
Mi appoggio ad ascoltare una stanca e vecchia fontana ammalata che tossisce, tossisce, un poco si tace…di nuovo tossisce. Mia povera fontana, il male che hai, il cuore mi preme. Si tace, non getta più nulla … (Aldo Palazzeschi.)
Nell’aria c’è qualcosa di freddo che si espande sulla scena dell’esistenza contaminando emozioni, confini, mura, reticolati: c’è qualcosa nell’aria che abbruttisce i corpi e le menti.
Dopo le pandemie solitamente si generano reazioni primordiali violente, l’individuo sembra impotente e dominato da un daimon sconosciuto che nemmeno la tecnica riconosce perché non sventola delle bandiere. Di fronte a questa sterminata impotenza l’inconscio collettivo genera mostri che disseminano violenze individuali, gruppali, religiose e nazionali.
Non è ancora inverno ma il gelo della disperazione e della morte sta già congelando i teneri arbusti e le rocciose querce secolari. Non c’è un riparo per scaldarsi, compaiono soltanto dei lampi che potrebbero confondersi con le aurore boreali, sono aurore prodotte dall’urto della polvere di zolfo, carbonio, nitrato di potassio: per fuggire dalla reazione esplosiva bisogna chiudere la porta, nascondersi in una cantina profonda e sperare di avercela fatta.
Questa sera i bambini per strada in alcune parti del mondo non giocano più, devono scappare, correre, fuggire lasciando nell’immediato la palla, l’amico di strada, di casa, abbandonando la bambola, il quaderno, il libro, perché quello che sta accadendo non è un gioco, una partita al pallone, una corsa campestre.
Non so perché, ma non capisco l’allegria degli amici del bar, del centro commerciale che incontro tutte le mattine quando prendo il caffè con la mia brioche. C’è qualcosa nell’aria di triste, eppure i colori dell’autunno in Central Park a New York sono romantici, il laghetto è quieto, mi accompagna il giallo dei 150 olmi del viale The Mall. Il lungo Nilo scorre lento tra pezzi di deserto, piccoli villaggi che si appostano attorno alla riva. Sono le acque che salvarono Mosè dalla furia del faraone eppure il vento del deserto scaraventa in faccia la puzza del petrolio e della polvere da sparo.
Uno mi ha detto che ci sono suoni che penetrano nel padiglione auricolare e prendono a schiaffi le cellule di Corti; l’altro mi dice che quando si vedono le bestie feroci nel parco di Kruger in Sud africa bisogna stare chiusi nella vettura con il ranger che ti accompagna; l’altro mi dice che nella città di Carran, dove è nato Abramo in Turchia i venditori di acqua, di tè si sono seduti e stanno aspettando che il rumore assordante scompaia; l’altro mi ha detto che nel Teddy Park a Gerusalemme le fontane zampillanti hanno smesso di gettare l’acqua verso il cielo azzurro; l’altro mi ha detto che a Kerbala e Najaf in Iran le donne sono libere di togliersi il velo e le cupole d’oro brillano come i girasoli armeni.
Ma ci sono due piccoli lembi di terra che guardano il Mediterraneo dove gli occhi dei bimbi sono sporchi di lacrime bianche com’è bianca la luna piena nella Notte Stellata di Van Gogh.
Mi appoggio ad ascoltare una stanca e vecchia fontana ammalata che tossisce, tossisce, un poco si tace…di nuovo tossisce. Mia povera fontana, il male che hai, il cuore mi preme. Si tace, non getta più nulla … (Aldo Palazzeschi.)
Dr. Enrico Magni, Psicologo, giornalista