La 'piccola' città di Lecco nei giorni di Caporetto di 106 anni fa

“Perché l’Italia nasce da Caporetto”: parola di Aldo Cazzullo, sempre più emergente storico nel panorama nazionale oltre che nell’Olimpo televisivo e tra le pagine di un molto noto quotidiano. “La verità - scrive - è che dopo Caporetto la guerra cambia segnale; non si combatteva più in terra straniera, per conquistare montagne di nome slavo, per avanzare in campagne dove non si sentiva una parola in italiano, per prendere città italiane come Trento e Trieste, in cui, però, nessuno dei nostri nonni era mai stato... Si combatteva la guerra in casa per difendere una Patria giusta, per impedire che ad altre donne venisse fatto quello che stavano subendo le friulane e le venete, al di là del Piave e del Grappa. Una guerra che ai nostri nonni, fanti contadini abituati a badare alla terra ed alla famiglia, risultava quasi naturale... E se fosse vivo ancora uno, uno solo, dei ragazzi del ’99 il suo racconto sarebbe utilissimo ai nostri figli e nipoti cresciuti nel lamento “ci stanno rubando il futuro” e nella rassegnazione, ormai quasi convinti che essere italiani sia una sfortuna”.
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La caserma Sirtori

Ma come visse Lecco i giorni della tragedia di Caporetto? Era la “piccola” città che non andava oltre il quartiere di Pescarenico, dove la stazione ferroviaria indicava il confine tra Lecco e Castello, dove i grandi prati verso il colle Santo Stefano confinavano con Rancio sulle pendici del San Martino. Per una cronaca di quel tempo possiamo consultare gli scritti lasciati da Uberto Pozzoli, al quale è dedicata la biblioteca di via Bovara, e da Arnaldo Ruggiero deceduto qualche mese prima del centesimo compleanno.
Pozzoli nei suoi scritti sottolinea: “Il 28 ottobre 1917, in una piovigginosa sera di domenica, donne e vecchi scorrevano, piangendo, fuori dal municipio (allora in via Roma) il bollettino di Caporetto. Si poteva leggere: “La violenza dell’attacco e la deficiente resistenza di alcuni reparti della seconda armata hanno permesso alle forze austro-germaniche di rompere la nostra ala sinistra sul fronte Giulia. Gli sforzi valorosi delle altre truppe non sono riusciti ad impedire all’avversario di penetrare nel sacro suolo della Patria”.
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La cerimonia inaugurale della lapide che ricorda l'ospedale militare nelle scuole di via Ghislanzoni

La guerra, scrive sempre Pozzoli, si diceva nel giorni successivi “ricomincia da capo”; erano tristi e cariche di preoccupazioni e di notizie tragiche le settimane verso Natale e Capodanno. Il bilancio di guerra del 1917 era veramente pesante: altri 25 lecchesi erano morti per l’Italia. Sempre Pozzoli racconta: “A Lecco, tutte le sere, una folla gremiva la chiesa di San Nicolò, per implorare, seguendo le dolorose stazioni della Via Crucis, la salvezza della Patria minacciata e la pace per i morti, restati soli nei calpestati cimiteri di guerra”.
La ritirata era stata disastrosa: prima la traballante difesa sul Tagliamento, poi la resistenza sulla linea del Piave. Da quei giorni il cuore di molte madri lecchesi sanguinava per il figlio prigioniero. Arnaldo Ruggiero scrive dei giorni di Caporetto e della relativa difesa nei tre volumi “Piccolo mondo antico lecchese” usciti tra il 1972 e il 1978 con le stampe di Arti Grafiche di Annamaria e Mario Colombo. Sottolinea che, con l’apertura del fronte dello Stelvio, Lecco era venuta a trovarsi in una zona di retrovia, mentre quella di guerra aveva inizio a Madonna di Tirano; era il territorio dove si combatteva e dove sostavano le truppe pronte ad essere impiegate. Precise disposizioni del comando supremo proibivano l’uso dei veicoli dopo le 21.00 nelle retrovie. Per passare dalla zona al resto del territorio nazionale bisognava superare posti fissi di guardia: sul ponte Visconti stazionavano i carabinieri controllando i passanti che dovevano essere muniti di passaporto per l’interno. La città era piena di militari; la scuola di via Ghislanzoni venne adibita a ospedale, come ricorda una lapide.
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Palazzo Ghislanzoni di via Roma, sede del municipio nella guerra 1915/1918

Alcuni edifici privati erano stati requisiti come alloggio per le truppe. Presso la cereria Manzoni di via Cavour vi era il 53° battaglione mobile territoriale; alcuni reparti del Genio erano accampati presso l’orfanotrofio del Caleotto di don Salvatore Dell’Oro. Il deposito legnami della prima armata era sistemato sul lungolago dove oggi si trova il monumento ai Caduti. Caserma diventò anche la filanda Scatti di via Bovara; fanti del 73° reggimento, essendo insufficiente la Sirtori, erano alloggiati nell’ex trafileria Mira al Lazzaretto; la bulloneria vicino al ponte Visconti diventò posto tappa per i reparti che transitavano da Lecco diretti o reduci dal fronte dello Stelvio. Erano caserme anche palazzi e ville requisiti sul lungolago di Malgrate.
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Caserme lungo la centralissima via Cavour, "la contrada Larga"

La rotta di Caporetto e l’invasione di alcune province venete aumentarono le sofferenze della guerra nell’inverno 1917. L’avvicinamento del fronte portò a Lecco la minaccia di incursioni aeree. Una vedetta era in permanenza sul terrazzo terminale del campanile di San Nicolò. L’allarme venne dato qualche volta, ma gli aerei austriaci arrivarono a Paderno d’Adda, nel tentativo di colpire l’importante ponte di San Michele.
Il volo aereo era allora regolato dai fiumi e dai laghi, essendo le vie di comunicazione polverose strade interpoderali serpeggianti tra il diffuso verde dei campi. Dopo tre anni di durissima guerra giunse il giorno della vittoria. Nei ricordi dei lecchesi era presente il comizio interventista tenuto da Cesare Battisti da un balcone della casa fronteggiante la caserma Sirtori il 30 aprile 1915. Una lapide in via Leonardo da Vinci, con l’epigrafe dettata da Mario Cermenati, ricorda il nobile appello lanciato ai lecchesi dal martire del Castello del Buon Consiglio a Trento.
A.B.
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