Lecco: una Fondazione che investe in relazioni comunitarie. Il Bilancio 2022
Dodici fondi di comunità costituiti nei Comuni del territorio, 330 progetti di enti e associazioni finanziati con una cifra complessiva di 5.5 milioni derivanti da oltre mille donazioni di 853 soggetti tra singoli, imprese ed enti; altri 1.178.000 euro derivanti dai contributi della Fondazione e destinati a progetti strutturali o d’emergenza tra i quali quello per il contrasto alla povertà nel territorio e quello per l’ospitalità ai profughi ucraini.Sono le cifre del 2022 del bilancio della Fondazione comunitaria del Lecchese.
E’ stato presentato ieri all’auditorium della Camera di commercio in un incontro che ha voluto andare oltre la semplice analisi delle cifre e lasciare spazio alle riflessioni sull’attività e il ruolo della Fondazione per il sostegno del territorio non attraverso una mera elargizione di contributi ma promuovendo quello che è stato definito il protagonismo delle stesse comunità, del mondo del volontariato, degli enti pubblici. Concetto sul quale si sono soffermati gli stessi interventi di saluto da parte del presidente della Camera di commercio Marco Galimberti, della presidente provinciale Alessandra Hofmann, del sindaco del Comune di Lecco Mauro Gattinoni, del vicario episcopale Gianni Cesena, del prefetto Sergio Pomponio. I quali hanno sottolineato proprio come la Fondazione rappresenta una comunità intera e come anche nelle situazioni di emergenza costituisca un punto di riferimento importante.
E’ stata poi la volta di Mario Romano Negri, promotore nell’ormai lontano 1999 della Fondazione che ha poi presieduto fino al 2020, quando gli è succeduta Maria Grazia Nasazzi.
Quella lecchese è stata la prima Fondazione comunitaria nata in Italia e, sollecitato da Paolo Dell'Oro che della Fondazione è segretario, Negri ha raccontato la genesi dell’organismo: «Abbiamo indagato un terreno completamente nuovo, ma abbiamo trovati buoni appigli: il contributo di tanti donatori e di tanti volontari, oltre all’entusiasmo dell’allora prefetto Piero Giulio Marcellino».
La sfida – ha spiegato Negri – era cambiare il sistema della beneficenza coinvolgendo le singole comunità chiamate a responsabilizzarsi in prima persona: «Infatti il principio era che la Fondazione avrebbe sostenuto i progetti solo se sostenuti concretamente dalle singole comunità». La prima a mobilitarsi fu quella di Premana e non fu un caso, considerata la lunga tradizione di un paese legato molto più di altri alle proprie radici e capace di mettersi in gioco coralmente nei momenti di necessità: «Quando costituimmo il fondo – ha ricordato Negri – vennero da noi dieci sacerdoti nativi o dimoranti a Premana, ciascuno con un assegno di 10 milioni di lire e si partì, poi ci furono altri lasciti…».
Dopo Premana, vennero Molteno e Garbagnate Monastero associati tra loro, poi Valmadrera e via via tutti gli altri: i rioni lecchesi di Laorca e Malavedo, Malgrate, Civate, Galbiate, Olginate, Introbio, Valgreghentino, Oggiono, La Valletta. In tutto dodici, «ma l’auspicio – ha concluso Negri - è che tutti i paesi del territorio arrivino a gestire un proprio fondo».
L’utilizzo dei fondi è il più svariato, secondo quelle che la singola comunità ritiene essere al momento le necessità più urgenti. Per esempio, a Premana il fondo sta aiutando due giovani fratelli fin da bimbi sofferenti per una malattia misteriosa che si è poi scoperto essere una forma rarissima di atassia, che affligge meno di venti persone in tutto il mondo; a Laorca e Malavedo l’attenzione è rivolta alla salvaguardia del cimitero delle grotte; a Oggiono c’è un progetto per il ripopolamento delle api; tra Malgrate, Valmadrera e Civate il sostegno va alle politiche per gli anziani; nel contempo Civate pensa anche all’illuminazione della basilica di San Pietro al Monte per la quale la stessa Fondazione comunitaria è in prima fila per ottenere il riconoscimento di bene dell’umanità dell’Unesco. Una foto di gruppo con i rappresentanti dei vari Fondi ha concluso l’intervento di Negri.
Con lui e Nasazzi, sul palco sono saliti Corrado Codega (Premana), Cristiana Achille (Laorca e Malavedo), Ambrogina Maggi (Malgrate), il sindaco Antonio Rusconi per Valmadrera, Giandomenico Canali (Civate), Chiara Mignolli (Galbiate), Italo Bruseghini (Olginate), Gianfilippo Milani (Valgreghentino), Filippo Bugiada (Oggiono), Angelo Rigamonti (Molteno e Garbagnate) e Mauro Brivio (La Valletta).
La parola è poi passata a Lelio Cavallier (presidente di Lario Reti Holding), al sindaco mandellese Riccardo Fasoli e a Marco Canzi (presidente del gruppo Acinque) che si sono soffermati da un lato sui rapporti tra i Comuni e le società partecipate e dall’altro hanno presentato il bilancio degli interventi messi in cantiere inizialmente su due fronti con bandi della durata di cinque anni: quello dell’ambiente e in particolare per la realizzazione di piste ciclo-pedonali e quello culturale: complessivamente 60 progetti con il coinvolgimento di oltre ottanta enti, per una spesa di 2 miliomi e 500mila euro: una parte (2 milioni) messi dai Comuni soci di Lario Reti Holding e un’altra (500mila euro) dalla Fondazione. A queste due direttrici si è aggiunto il Fondo per le arti dal vivo costituito durante l’emergenza Covid, quando molte delle attività rischiavano di non più ripartire. Un fondo costituito ancora da Lario Reti, Acinque e Fondazione comunitaria, che ha messo sul tavolo 450mila euro distribuiti a 71 enti con la realizzazione di oltre mille spettacoli diffusi nel territorio. Questo fondo – ha assicurato Canzi – dovrebbe garantire risorse ancora per tre anni. «Anche se – ha sottolineato Fasoli – le associazioni non devono assuefarsi. E dovranno quindi tornare a muoversi per conto proprio».
Lo stesso Fasoli ha rilevato come questa serie di interventi ha portato i Comuni a parlarsi e a progettare assieme, anziché pensare ciascuno al proprio singolo finanziamento.
Sono poi stati presentati i due progetti fiori all’occhiello della Fondazione: da una parte il recupero della cosiddetta Officina Badoni, lo stabile della mensa della grande carpenteria lecchese ormai scomparsa; dall’altra il riconoscimento Unesco per San Pietro al Monte.
Dell’Officina Badini hanno parlato Simone Buzzella che coordina il gruppo di lavoro che sta predisponendo il piano di gestione del complesso e Maddalena Medici, presidente del Fai lecchese.
I lavori all’Officina, uno stabile su tre piani per complessivi 900 metriquadri, dovrebbero concludersi nella prossima primavera. Nel mese di giugno in una parte del primo piano troverà posto la sede della stessa Fondazione. Il resto degli spazi sarà appunto utilizzato per una serie di iniziative indirizzate principalmente ai giovani secondo le direttrici del concorso di idee bandito nel 2021 e il cui esito non ha visto un vero e proprio vincitore: la scelta, infatti, è stata quella di assemblare in un progetto coerente le indicazioni interessanti contenute nelle proposte inviate da una decina tra enti e associazioni. Se per alcuni spazi, il dibattito è ancora aperto, per il piano terreno la destinazione è già stata indicata: vi sorgerà un bar-caffetteria (gestito dalla cooperativa “Il Grigio” e dalla scuola professionale Enaip) che deve essere soprattutto un luogo dove gli studenti possano ritrovarsi per studiare o semplicemente per incontrarsi. Con un punto fermo: l’accesso ai locali sarà libero, uno studente potrà portarsi anche il panino da casa, non dovranno insomma prevalere logiche commerciali.
Da parte sua, Medici ha invece raccontato le giornate Fai d’autunno tenutesi lo scorso fine settimane e che vedevano tra i luoghi aperti proprio l’Officina Badoni. Complessivamente, i partecipanti alle visite del Fai sono stati 3mila e mille sono stati coloro che hanno visitato l’Officina Badoni.
In collegamento da Torino, Marco Valle della Fondazione Links ha quindi parlato del progetto Unesco che vede la basilica di San Pietro inserita nel circuito delle abbazie benedettine: Subiaco, Cassino, Fara in Sabina, Castel San Vincendo, la Sacra di San Michele, Genga e Capua. Un progetto che coinvolge otto Comuni, sei regioni (Lazio, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte e Campania), una decina di università, l’Ordine monastico dei Benedettini e appunto la Fondazione comunitaria del Lecchese.
L’incontro è stato concluso da un dialogo-intervista tra Maria Grazia Nasazzi in veste di intervistatrice e il presidente della Fondazione Cariplo, Giovanni Azzone. Il quale ha definito molto bella l’esperienza lecchese: «I problemi della società di oggi sono complessi e nessuno ha la risposta in tasca. E allora occorre trovare le risposte mettendo assieme le forze che hanno anche visioni differenti. E il ruolo della Fondazione è proprio quello di integrare le varie visioni». E’ un’esperienza “giusta” e non a caso «parte da Lecco che è una comunità abituata a lavorare assieme al di là delle differenze politiche».
Del resto, il territorio su cui opera la Fondazione Cariplo è una Lombardia “allargata” visto che va a comprendere anche le province di Novara e Verbania, «un territorio integrato ma le cui comunità hanno ciascuna le proprie specificità e c’è bisogno di intercettare le persone singole perché sono possibili risposte generali valide per tutti. In questa direzione, il ruolo delle Fondazioni locali è fondamentale: esse «sono i sensori che consentono di sapere quotidianamente come si evolve un territorio».
E’ stato presentato ieri all’auditorium della Camera di commercio in un incontro che ha voluto andare oltre la semplice analisi delle cifre e lasciare spazio alle riflessioni sull’attività e il ruolo della Fondazione per il sostegno del territorio non attraverso una mera elargizione di contributi ma promuovendo quello che è stato definito il protagonismo delle stesse comunità, del mondo del volontariato, degli enti pubblici. Concetto sul quale si sono soffermati gli stessi interventi di saluto da parte del presidente della Camera di commercio Marco Galimberti, della presidente provinciale Alessandra Hofmann, del sindaco del Comune di Lecco Mauro Gattinoni, del vicario episcopale Gianni Cesena, del prefetto Sergio Pomponio. I quali hanno sottolineato proprio come la Fondazione rappresenta una comunità intera e come anche nelle situazioni di emergenza costituisca un punto di riferimento importante.
E’ stata poi la volta di Mario Romano Negri, promotore nell’ormai lontano 1999 della Fondazione che ha poi presieduto fino al 2020, quando gli è succeduta Maria Grazia Nasazzi.
Quella lecchese è stata la prima Fondazione comunitaria nata in Italia e, sollecitato da Paolo Dell'Oro che della Fondazione è segretario, Negri ha raccontato la genesi dell’organismo: «Abbiamo indagato un terreno completamente nuovo, ma abbiamo trovati buoni appigli: il contributo di tanti donatori e di tanti volontari, oltre all’entusiasmo dell’allora prefetto Piero Giulio Marcellino».
La sfida – ha spiegato Negri – era cambiare il sistema della beneficenza coinvolgendo le singole comunità chiamate a responsabilizzarsi in prima persona: «Infatti il principio era che la Fondazione avrebbe sostenuto i progetti solo se sostenuti concretamente dalle singole comunità». La prima a mobilitarsi fu quella di Premana e non fu un caso, considerata la lunga tradizione di un paese legato molto più di altri alle proprie radici e capace di mettersi in gioco coralmente nei momenti di necessità: «Quando costituimmo il fondo – ha ricordato Negri – vennero da noi dieci sacerdoti nativi o dimoranti a Premana, ciascuno con un assegno di 10 milioni di lire e si partì, poi ci furono altri lasciti…».
Dopo Premana, vennero Molteno e Garbagnate Monastero associati tra loro, poi Valmadrera e via via tutti gli altri: i rioni lecchesi di Laorca e Malavedo, Malgrate, Civate, Galbiate, Olginate, Introbio, Valgreghentino, Oggiono, La Valletta. In tutto dodici, «ma l’auspicio – ha concluso Negri - è che tutti i paesi del territorio arrivino a gestire un proprio fondo».
L’utilizzo dei fondi è il più svariato, secondo quelle che la singola comunità ritiene essere al momento le necessità più urgenti. Per esempio, a Premana il fondo sta aiutando due giovani fratelli fin da bimbi sofferenti per una malattia misteriosa che si è poi scoperto essere una forma rarissima di atassia, che affligge meno di venti persone in tutto il mondo; a Laorca e Malavedo l’attenzione è rivolta alla salvaguardia del cimitero delle grotte; a Oggiono c’è un progetto per il ripopolamento delle api; tra Malgrate, Valmadrera e Civate il sostegno va alle politiche per gli anziani; nel contempo Civate pensa anche all’illuminazione della basilica di San Pietro al Monte per la quale la stessa Fondazione comunitaria è in prima fila per ottenere il riconoscimento di bene dell’umanità dell’Unesco. Una foto di gruppo con i rappresentanti dei vari Fondi ha concluso l’intervento di Negri.
Con lui e Nasazzi, sul palco sono saliti Corrado Codega (Premana), Cristiana Achille (Laorca e Malavedo), Ambrogina Maggi (Malgrate), il sindaco Antonio Rusconi per Valmadrera, Giandomenico Canali (Civate), Chiara Mignolli (Galbiate), Italo Bruseghini (Olginate), Gianfilippo Milani (Valgreghentino), Filippo Bugiada (Oggiono), Angelo Rigamonti (Molteno e Garbagnate) e Mauro Brivio (La Valletta).
La parola è poi passata a Lelio Cavallier (presidente di Lario Reti Holding), al sindaco mandellese Riccardo Fasoli e a Marco Canzi (presidente del gruppo Acinque) che si sono soffermati da un lato sui rapporti tra i Comuni e le società partecipate e dall’altro hanno presentato il bilancio degli interventi messi in cantiere inizialmente su due fronti con bandi della durata di cinque anni: quello dell’ambiente e in particolare per la realizzazione di piste ciclo-pedonali e quello culturale: complessivamente 60 progetti con il coinvolgimento di oltre ottanta enti, per una spesa di 2 miliomi e 500mila euro: una parte (2 milioni) messi dai Comuni soci di Lario Reti Holding e un’altra (500mila euro) dalla Fondazione. A queste due direttrici si è aggiunto il Fondo per le arti dal vivo costituito durante l’emergenza Covid, quando molte delle attività rischiavano di non più ripartire. Un fondo costituito ancora da Lario Reti, Acinque e Fondazione comunitaria, che ha messo sul tavolo 450mila euro distribuiti a 71 enti con la realizzazione di oltre mille spettacoli diffusi nel territorio. Questo fondo – ha assicurato Canzi – dovrebbe garantire risorse ancora per tre anni. «Anche se – ha sottolineato Fasoli – le associazioni non devono assuefarsi. E dovranno quindi tornare a muoversi per conto proprio».
Lo stesso Fasoli ha rilevato come questa serie di interventi ha portato i Comuni a parlarsi e a progettare assieme, anziché pensare ciascuno al proprio singolo finanziamento.
Sono poi stati presentati i due progetti fiori all’occhiello della Fondazione: da una parte il recupero della cosiddetta Officina Badoni, lo stabile della mensa della grande carpenteria lecchese ormai scomparsa; dall’altra il riconoscimento Unesco per San Pietro al Monte.
Dell’Officina Badini hanno parlato Simone Buzzella che coordina il gruppo di lavoro che sta predisponendo il piano di gestione del complesso e Maddalena Medici, presidente del Fai lecchese.
I lavori all’Officina, uno stabile su tre piani per complessivi 900 metriquadri, dovrebbero concludersi nella prossima primavera. Nel mese di giugno in una parte del primo piano troverà posto la sede della stessa Fondazione. Il resto degli spazi sarà appunto utilizzato per una serie di iniziative indirizzate principalmente ai giovani secondo le direttrici del concorso di idee bandito nel 2021 e il cui esito non ha visto un vero e proprio vincitore: la scelta, infatti, è stata quella di assemblare in un progetto coerente le indicazioni interessanti contenute nelle proposte inviate da una decina tra enti e associazioni. Se per alcuni spazi, il dibattito è ancora aperto, per il piano terreno la destinazione è già stata indicata: vi sorgerà un bar-caffetteria (gestito dalla cooperativa “Il Grigio” e dalla scuola professionale Enaip) che deve essere soprattutto un luogo dove gli studenti possano ritrovarsi per studiare o semplicemente per incontrarsi. Con un punto fermo: l’accesso ai locali sarà libero, uno studente potrà portarsi anche il panino da casa, non dovranno insomma prevalere logiche commerciali.
Da parte sua, Medici ha invece raccontato le giornate Fai d’autunno tenutesi lo scorso fine settimane e che vedevano tra i luoghi aperti proprio l’Officina Badoni. Complessivamente, i partecipanti alle visite del Fai sono stati 3mila e mille sono stati coloro che hanno visitato l’Officina Badoni.
In collegamento da Torino, Marco Valle della Fondazione Links ha quindi parlato del progetto Unesco che vede la basilica di San Pietro inserita nel circuito delle abbazie benedettine: Subiaco, Cassino, Fara in Sabina, Castel San Vincendo, la Sacra di San Michele, Genga e Capua. Un progetto che coinvolge otto Comuni, sei regioni (Lazio, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte e Campania), una decina di università, l’Ordine monastico dei Benedettini e appunto la Fondazione comunitaria del Lecchese.
L’incontro è stato concluso da un dialogo-intervista tra Maria Grazia Nasazzi in veste di intervistatrice e il presidente della Fondazione Cariplo, Giovanni Azzone. Il quale ha definito molto bella l’esperienza lecchese: «I problemi della società di oggi sono complessi e nessuno ha la risposta in tasca. E allora occorre trovare le risposte mettendo assieme le forze che hanno anche visioni differenti. E il ruolo della Fondazione è proprio quello di integrare le varie visioni». E’ un’esperienza “giusta” e non a caso «parte da Lecco che è una comunità abituata a lavorare assieme al di là delle differenze politiche».
Del resto, il territorio su cui opera la Fondazione Cariplo è una Lombardia “allargata” visto che va a comprendere anche le province di Novara e Verbania, «un territorio integrato ma le cui comunità hanno ciascuna le proprie specificità e c’è bisogno di intercettare le persone singole perché sono possibili risposte generali valide per tutti. In questa direzione, il ruolo delle Fondazioni locali è fondamentale: esse «sono i sensori che consentono di sapere quotidianamente come si evolve un territorio».
D.C.