La straordinaria vita di 'mamma Albertina', ripercorsa in un libro dalle 'sue guide'
“Albertina Negri Barbieri. Le sue Guide, i ‘suoi’ ragazzi”. Un titolo semplice per un’esperienza di vita straordinaria, appunto quella di Albertina Negri e di Silvio Barbieri. Autrici, “le guide di Albertina”, vale a dire le guide scout (Lunasia Edizioni, Roma, prezzo di copertina 12 euro, patrocinio dei Comuni di Lecco e Olginate).
Una vita che è stata testimonianza concreta di come il mondo si cambia nelle “piccole cose” di tutti i giorni, nell’impegno personale di ciascuno. La straordinarietà del percorso di Albertina e Silvio sta anche in questo: nella dedizione silenziosa e costante a un progetto di vita e società.
Lei è deceduta nel novembre dello scorso anno, poco prima di compiere il secolo e a lei è quindi dedicato il libro che non può trascurare il marito Silvio Barbieri, ancora in vita: proprio nel settembre dello scorso anno avevano festeggiato le nozze di platino, 65 anni assieme. Condividendo appunto un’esperienza straordinaria, quella che il cardinale Carlo Maria Martini definì profetica, prefigurando come hanno fatto nel vivere quotidiano, nella fatica di ogni giorno, tutto quanto in materia di affido e adozione la legislazione italiana avrebbe accolto soltanto vent’anni dopo.
Albertina aveva 22 anni, essendo nata nel febbraio 1923, quando Tilde Galli, una cara amica che studiava a Milano, aveva sentito parlare di “una certa” Nina Kaucisvili voleva organizzare a Milano un gruppo scout femminile. Ne accennò ad Albertina: non ci fu bisogno di molte parole, bastava uno sguardo, s’intendevano e naturalmente l’intendersi significava che un gruppo del genere si doveva fare anche a Lecco, dove peraltro nemmeno i gruppi maschili scout erano ancora arrivati.
Intanto, diplomatasi maestra elementare, Albertina aveva scelto d’insegnare all’istituto Don Guanella che era l’orfanotrofio. E sono i binari sui quali correrà poi l’intera sua vita.
Nel 1950, Teresio Ferraroni che in futuro diventerà vescovo di Como ma in quegli anni è al Santuario della Vittoria propone ad Albertina Negri di gestire una casa per ragazzi a Olgiate Molgora. La casa avrebbe dovuto ospitare ragazzi in difficoltà, provenienti da famiglie ai margini, il cui destino sarebbe stato segnato non ci fosse stato qualcuno che li prendesse per mano e li accompagnasse in direzioni alternative. Nel 1956, in quella casa venne inviato in qualità di direttore Silvio Barbieri e fu un’intesa immediata: si sposarono già nel 1957.
L’incontro al centro Pertini è stato introdotto dal sindaco Mauro Gattinoni che ha detto come non conoscesse Negri, Barbieri e Casa Alber, quasi a testimoniare la necessità del libro appena uscito per far conoscere quel cammino di solidarietà, rilevando come «tutto il bene che è stato fatto si è moltiplicato in ciascuno ed è il bello di una vita e di un’esistenza».
Una vita che è stata testimonianza concreta di come il mondo si cambia nelle “piccole cose” di tutti i giorni, nell’impegno personale di ciascuno. La straordinarietà del percorso di Albertina e Silvio sta anche in questo: nella dedizione silenziosa e costante a un progetto di vita e società.
Oltre a Scotti, all’incontro di Germanedo erano presenti Federica Frattini e Rosanna Moscatelli, curatrici del libro che raccoglie una serie di altre testimonianze; Maurizio Volpi che sull’esperienza di Negri e Barbieri ha dedicato nel 1997 la propria tesi di laurea, con relatore il professor Mario Mozzanica che i lecchesi conoscono per essere stato a lungo responsabile dei servici sociali del Comune; Carlo Micciché, uno dei ragazzi cresciuti nella casa “Alber” di Olginate, la casa che accoglieva bambini in condizioni famigliari difficili, e il cui nome è quello con cui Albertina era comunemente chiamata. Lo ha detto chiaramente Gianfranco Scotti nell’introdurre l’incontro di presentazione del libro avvenuto ieri pomeriggio al centro polivalente “Pertini” di Germanedo: «Un servizio al prossimo senza clamori e con discrezione – le parole di Scotti - Quando li ho conosciuti ciò che mi colpiva era la naturalezza con cui parlavano della loro opera». Come se appunto non fosse stata quell’esperienza prodigiosa ed eccezionale che è stata.
Albertina aveva 22 anni, essendo nata nel febbraio 1923, quando Tilde Galli, una cara amica che studiava a Milano, aveva sentito parlare di “una certa” Nina Kaucisvili voleva organizzare a Milano un gruppo scout femminile. Ne accennò ad Albertina: non ci fu bisogno di molte parole, bastava uno sguardo, s’intendevano e naturalmente l’intendersi significava che un gruppo del genere si doveva fare anche a Lecco, dove peraltro nemmeno i gruppi maschili scout erano ancora arrivati.
Intanto, diplomatasi maestra elementare, Albertina aveva scelto d’insegnare all’istituto Don Guanella che era l’orfanotrofio. E sono i binari sui quali correrà poi l’intera sua vita.
Nel 1950, Teresio Ferraroni che in futuro diventerà vescovo di Como ma in quegli anni è al Santuario della Vittoria propone ad Albertina Negri di gestire una casa per ragazzi a Olgiate Molgora. La casa avrebbe dovuto ospitare ragazzi in difficoltà, provenienti da famiglie ai margini, il cui destino sarebbe stato segnato non ci fosse stato qualcuno che li prendesse per mano e li accompagnasse in direzioni alternative. Nel 1956, in quella casa venne inviato in qualità di direttore Silvio Barbieri e fu un’intesa immediata: si sposarono già nel 1957.
Da parte sua, Albertina, pur avendo lasciato l’impegno diretto, non aveva reciso i legami con lo scoutismo. A Olgiate aveva chiesto che un esponente scout fosse presente nel Direttivo, mentre il primo presidente di Casa Alber fu don Aldo Mauri, prete monzese che all’indomani dell’8 settembre 1943 fu costretto alla clandestinità. L’anno dopo nacque il primo figlio, Marco, e nel 1958 il secondo, Paolo. Due figli che si aggiungevano agli altri ragazzi che ospitavano. Ma la casa di Olgiate andava stretta. E cominciarono a pensare a una casa che fosse davvero la “loro” casa, la casa di mamma Albertina. E così, nel 1960 si trasferirono a Olginate e misero in piedi Casa Alber: fino al 1986 avrebbe continuato a ospitare ragazzi in difficoltà. Complessivamente ne sono passati 121, con una presenza media di una trentina, alcuni rimasti per poco e altri per molti anni, alcuni usciti perché affidati ad altre famiglie, altri perché diventati maggiorenni e indipendenti. E sta nei progetti educativi realizzati in quegli anni la straordinarietà del lavoro di Negri e Barbieri: veniva abbattuta l’istituzionalizzazione, le grandi strutture, per favorire un rapporto più a misura, per dare a bambini e ragazzi non istitutori ma genitori. E in Albertina e Silvio, i ragazzi hanno infatti trovato dei genitori.
E l’impegno nello scoutismo, per Albertina tornò quando appunto nel 1986 venne interrotta per ragioni di età l’esperienza di Casa Alber. Negri ricontattò tutte le scout degli anni Quaranta per rilanciare sotto forme diverse l’impegno secondo le linee guide del fondatore del movimento, Baden Powell. Di ciò, ieri, ha dato conto una di quelle prime scout lecchesi, Mariangela Fumagalli.
L’incontro al centro Pertini è stato introdotto dal sindaco Mauro Gattinoni che ha detto come non conoscesse Negri, Barbieri e Casa Alber, quasi a testimoniare la necessità del libro appena uscito per far conoscere quel cammino di solidarietà, rilevando come «tutto il bene che è stato fatto si è moltiplicato in ciascuno ed è il bello di una vita e di un’esistenza».
Da parte sua, Scotti ha sottolineato come bussola dell’agire di Albertina e Silvio vi fosse il rispetto e l’amore per i ragazzi. Volpi ha raccontato invece la genesi della sua tesi di laurea, ricordando come Silvio Barbieri avesse il ruolo principale nel racconto, ma la memoria reale ce l’avesse appunto Albertina «e io approfittavo della merenda quando arrivava con il tè o del pranzo per aggirare Silvio e interrogare lei». L’esperienza di Casa Alber era già chiusa e il rischio era che tutta la documentazione andasse distrutta e perduta. Con la tesi qualcosa di quel materiale è stato salvato. Perché Casa Alber «ha indicato la strada ad altre famiglie e ai più grandi istituti, anticipando di 22 anni le leggi sull’affido e l’adozione».
All’incontro ha portato il suo contributo anche Carlo Micciché, uno dei primi bambini arrivati a Casa Alber, nel 1962 all’età di tre anni, ricordando le carezze prima di andare a dormire la sera, una vita che era davvero quella di una famiglia: «Grazie mamma Albertina». Ed è ringraziamento al quale molti altri ragazzi possono unirsi, ragazzi con i quali ancora ci si sente, «abbiamo creato un gruppo per non perdersi di vista» e mantenere saldi legami come in tutti questi non sono mai venuti meno quelli con i “genitori” di Casa Alber.
Infine Frattini e Moscatelli hanno raccontato il libro. Era stata prevista una grande festa per i cento anno di Albertina che però è mancata qualche mese prima: «Ma abbiamo comunque festeggiato, rileggendo tutte assieme alcuni degli scritti di Albertina. E proprio in quell’occasione è nata l’idea del libro. Perché Albertina ha significato molto per tutte noi.
Con quel “Ci provo” che pronunciò nel 1950 rispondendo a don Ferraroni» e filo rosso dell’impegno di Albertina: prima lo scoutismo, poi la Casa dei ragazzi di Olgiate e la Casa Alber di Olginate, infine la ripresa dello scoutismo. E quanti ricordi: le pedalate in bicicletta fino a Milano per incontrare Nina Kaucisvili o a Colico lo stesso Baden Powell. E le difficoltà economiche nel mandare avanti i progetti: di fronte ai pochi ragazzi ospitati, le istituzioni rispondevano che avevano già da sostenere strutture ben più affollate. Difficoltà di fronte alle quali, Albertina Negri e Silvio Barbieri non si scomponevano: «Resteremo poveri ma con le nostre idee».
Dario Cercek