Lecco: migranti al cinema, con il regista Garrone. Ricordando Bubacarr
Un’Odissea contemporanea, un’epica del nostro tempo: il viaggio dei migranti che partono dall’Africa per raggiungere l’Europa attraversando il deserto, le prigioni libiche, il Mediterraneo. Un’Odissea contemporanea, dunque: così il regista Matteo Garrone definisce il suo film “Io capitano”, premiato a Venezia per la miglior regia e per il miglior attore emergente (il sudanese Seydou Sarr), candidato italiano agli Oscar.
A introdurre il film e a presentare il regista, c’erano il prevosto don Davide Milani e il critico della rivista “Il cinematografo” Gian Luca Pisacane.
«Molte volte – ha iniziato don Milani – si pensa al film come a qualcosa di effimero o semplicemente a un modo di fare soldi. Ma molto spesso nelle arti si fanno le opere perché c’è una visione del mondo e questo è il caso. Non parliamo di un fenomeno sociologico ma di persone. Nel film c’è molto detto ma anche non detto, quello che viene dopo, per esempio: l’accoglienza ma anche il rifiuto. Tutto quello che il film mostra lo sappiamo già, ma quello che Garrone ci fa vedere è il cuore delle persone, quello che pensano e che sentono. Perché non si scappa solo per sfuggire alla guerra, ma si parte anche per inseguire un sogno».
Un sogno come quello di Bubacarr Darboe, annegato questa estate nel lago di Lecco dove era arrivato da pochi giorni dopo aver compiuto il viaggio passando per Lampedusa: «Vorrei – ha aggiunto don Davide – che questa sera pensassimo a lui, che in qualche modo gli dedicassimo questo momento».
Da parte sua, Pisacane, offrendo un ritratto di Matteo Garrone, ha detto: «Ci sono film importanti e film ben riusciti ed è raro che i due aspetti si coniughino. Questa volta invece succede. Garrone è un regista coraggioso perché non si accontenta delle strade già battute e quindi conosciute e facili per raggiungere un pubblico abituale, ogni volta cerca sempre una nuova platea»
«Con questo film ho voluto essere un tramite – le parole del regista - ho cercato di dare voce a chi di solito non ce l’ha. Ho cambiato angolazione. Noi di solito vediamo le barche arrivare, facciamo la conta degli arrivi e dei morti, ma dietro quei numeri ci sono persone e famiglie che sono i veri protagonisti dell’epica contemporanea, di un viaggio epico e nello stesso tempo di un viaggio di formazione perché quando arrivano sono persone cambiate. Sono storie realmente accadute. Tutte le comparse sono persone che hanno vissuto il viaggio, l’avventura, come la chiamano loro».
Protagonista e coprotagonista – ha continuato - «sono due ragazzi che ho trovato in Senegal: Seydou Sarr ha la madre e la sorella attrici, Moustapha Fall aveva frequentato una scuola di teatro. Non avevano copione e scoprivano giorno per giorno quello che dovevano fare. Proprio come durante il viaggio. E la forza del film sta proprio nella loro purezza, nella loro carica vitale, nella loro carica di spiritualità. La mia paura era legata al fatto che entravo in una cultura che non era la mia con il rischio di cadere negli stereotipi ed è per questi motivi che mi sono aggrappato a loro. Temevo d’essere un intruso finché mi è stato detto che non lo ero, che invece ero un messaggero. Ho voluto dare forma e visione a quello che di solito non si vede».
I
Se c’è interesse per le reazioni dei ragazzi migranti arrivati qui e che vedono questo film – proprio come quelli di ieri al cinema Nuovo Aquilone - «sarà anche interessante vedere come il film sarà visto in Africa. Intanto, sono felice che sia visto da molti ragazzi, anche nelle scuole. Può aiutare a sensibilizzare i giovani, a farli riflettere su questi altri ragazzi, su questa ingiustizia del non poter viaggiare».
E in quanto al fatto che il film esca in un momento del tutto particolare nel nostro Paese sul tema dell’immigrazione, Garrone allarga le braccia: «Sono sempre momenti particolari. Sono anni che è così. E lo sarà ancora per molti anni».
Il regista è stato ospite ieri del cinema Nuovo Aquilone dove il film era in programmazione in questi giorni. E ad assistere alla doppia proiezione di ieri c’erano in sala molti di quei ragazzi che l’Odissea l’hanno vissuta in prima persone e in questo periodo sono ospiti delle varie strutture lecchesi: la Casa Don Guanella, la Caritas. Alcuni dei quali hanno portato la propria testimonianza. Con loro anche molti degli operatori impegnati sul fronte dell’accoglienza.
A introdurre il film e a presentare il regista, c’erano il prevosto don Davide Milani e il critico della rivista “Il cinematografo” Gian Luca Pisacane.
«Molte volte – ha iniziato don Milani – si pensa al film come a qualcosa di effimero o semplicemente a un modo di fare soldi. Ma molto spesso nelle arti si fanno le opere perché c’è una visione del mondo e questo è il caso. Non parliamo di un fenomeno sociologico ma di persone. Nel film c’è molto detto ma anche non detto, quello che viene dopo, per esempio: l’accoglienza ma anche il rifiuto. Tutto quello che il film mostra lo sappiamo già, ma quello che Garrone ci fa vedere è il cuore delle persone, quello che pensano e che sentono. Perché non si scappa solo per sfuggire alla guerra, ma si parte anche per inseguire un sogno».
Un sogno come quello di Bubacarr Darboe, annegato questa estate nel lago di Lecco dove era arrivato da pochi giorni dopo aver compiuto il viaggio passando per Lampedusa: «Vorrei – ha aggiunto don Davide – che questa sera pensassimo a lui, che in qualche modo gli dedicassimo questo momento».
Da parte sua, Pisacane, offrendo un ritratto di Matteo Garrone, ha detto: «Ci sono film importanti e film ben riusciti ed è raro che i due aspetti si coniughino. Questa volta invece succede. Garrone è un regista coraggioso perché non si accontenta delle strade già battute e quindi conosciute e facili per raggiungere un pubblico abituale, ogni volta cerca sempre una nuova platea»
«Con questo film ho voluto essere un tramite – le parole del regista - ho cercato di dare voce a chi di solito non ce l’ha. Ho cambiato angolazione. Noi di solito vediamo le barche arrivare, facciamo la conta degli arrivi e dei morti, ma dietro quei numeri ci sono persone e famiglie che sono i veri protagonisti dell’epica contemporanea, di un viaggio epico e nello stesso tempo di un viaggio di formazione perché quando arrivano sono persone cambiate. Sono storie realmente accadute. Tutte le comparse sono persone che hanno vissuto il viaggio, l’avventura, come la chiamano loro».
Protagonista e coprotagonista – ha continuato - «sono due ragazzi che ho trovato in Senegal: Seydou Sarr ha la madre e la sorella attrici, Moustapha Fall aveva frequentato una scuola di teatro. Non avevano copione e scoprivano giorno per giorno quello che dovevano fare. Proprio come durante il viaggio. E la forza del film sta proprio nella loro purezza, nella loro carica vitale, nella loro carica di spiritualità. La mia paura era legata al fatto che entravo in una cultura che non era la mia con il rischio di cadere negli stereotipi ed è per questi motivi che mi sono aggrappato a loro. Temevo d’essere un intruso finché mi è stato detto che non lo ero, che invece ero un messaggero. Ho voluto dare forma e visione a quello che di solito non si vede».
I
Se c’è interesse per le reazioni dei ragazzi migranti arrivati qui e che vedono questo film – proprio come quelli di ieri al cinema Nuovo Aquilone - «sarà anche interessante vedere come il film sarà visto in Africa. Intanto, sono felice che sia visto da molti ragazzi, anche nelle scuole. Può aiutare a sensibilizzare i giovani, a farli riflettere su questi altri ragazzi, su questa ingiustizia del non poter viaggiare».
E in quanto al fatto che il film esca in un momento del tutto particolare nel nostro Paese sul tema dell’immigrazione, Garrone allarga le braccia: «Sono sempre momenti particolari. Sono anni che è così. E lo sarà ancora per molti anni».
D.C.